DE ROSSI (Rossi), Giuseppe
Frammentarie e lacunose sono le notizie su questo musicista nato a Roma verso la metà del XVII secolo. Non è tuttavia da escludere che qualche vincolo di parentela lo legasse a Emidio De Rossi, suo predecessore nella direzione musicale della cappella lauretana; al di là di questa supposizione non disponiamo di alcuna notizia circa la sua famiglia. Sicuramente, come si desume da una lettera di Girolamo Chiti al p. Giovan Battista Martini, datata 1746, fu sullo scorcio del secolo, maestro di cappella a Castel Sant'Angelo. Il 16 marzo 1701 (come riporta l'Archivio musicale della cappella lauretana) fu chiamato a coprire lo stesso incarico per la S. Casa di Loreto; qui rimase fino al luglio del 1711.
Il Tebaldini sottolinea il valore di questa sua decennale attività, svolta in un momento in cui la "cappella lauretana veniva a mano a mano trasformando il suo indirizzo artistico liturgico e perdendo di rilievo".
Di fatto ... "i maestri compositori di musica sacra del secolo XVIII non diedero importanza allo stile polifonico contrappuntistico, da essi poi confuso con lo stile dozzinale a cappella, per riserbare le maggiori preferenze allo stile lirico drammatico in cui venivano componendo le stesse opere teatrali; sforzandosi così di soddisfare, anche in Chiesa, alle pretese del virtuosismo canoro salito in grande considerazione, se si riflette che pur da Loreto i più reputati cantanti partivano per recarsi a calcare le maggiori scene d'Italia e dell'estero". Nel contesto delle progressive trasformazioni che interessarono, nel periodo barocco, la musica liturgica portandola ad assimilare forme e stilemi del genere monodico, il D. si pone tra i più autorevoli e rappresentativi sostenitori della pratica polifonica, anche se poi, in più di un'occasione, non disdegnò di cimentarsi nella scrittura omofonica, conseguendo soddisfacenti risultati.
Morì a Roma nel 1719 o nel 1720.
Fu autore di un discreto numero di messe: Messa a 5 con istrumenti (Roma, Biblioteca Corsini, ms. 2531), Messa a 8 piena e breve (1702), Missa brevis a 8 S. Ignatii Loiolae, Missa pro defunctis a 8 (1708), Missa Letitiae a 8 piena (1717) (Roma, Archivio mus. lateranense di S. Giovanni in Laterano), Missa solem expecto a 12 voci (1676), Missa 'Maria meliorem partem elegit' a 16 voci, Missa 'Maria intenti dulcedini' a 16 voci, Missa 'Maria suaviter audiret' a 16 voci, Missa 'Maria iam iucundabatur' a 16 voci e altre messe e parti di messa di incerta attribuzione. conservate manoscritte a Bologna (Bibl. del Conserv. G. B. Martini) e Roma (Biblioteca Casanatense, Bibl. Apost. Vaticana, Biblioteca Corsiniana).La restante produzione è costituita da antifone: (Regina Coeli a solo con ripieni; Domine quinque talenta a 3 voci, del 1715; due Ave Regina Coelorum, due Salve 'a solo con ripieni' e 'a 4 piena', Regina, 'a 2'e 'a solo con ripieni' e sette antifone per i vespri, graduali: Suscepimus Deus a due voci e basso continuo del 1713, e Audi filia a 3 voci con strumenti e ripieni, del 1717, i salmi: In exitu a 8 voci, del 1709; Laetatus sum a 8 concertato del 1713; tre Laudate pueri, 'a 6', 'a 8 pieno' e 'a 8 concertato; Miserere a quattro voci; due Beatus vir, 'a 8 pieno' e 'a 8 concertato' e cinque Dixit a 4, 8, 12, 16 voci, i mottetti: o salutaris hostia a tre voci, Caro mea a due voci, o sacrum convivium a tre voci, Ecce panis a tre voci; inni: Pange lingua a quattro voci e due Christus factus est a quattro voci; ventisette Responsoria maioris hebdomadae a quattro voci, un Benedictus a quattro voci e un Magnificata 8 concertato, e altre composizioni conservate anche in biblioteche straniere (per un catalogo più dettagliato si veda U. Mischiati in Die Musik in Gesch. und Gegenwart).
A giudicare dalle tendenze che affiorano nella sua opera, il D. fu, probabilmente, allievo diretto di Orazio Benevoli e, comunque, dovette avere grande familiarità con gli ambienti e le scuole musicali della Roma barocca, di cui condivise il prevalente indirizzo policorale. È comunque innegabile che lo studio e l'applicazione delle tecniche policorali, di cui il Benevoli era il maggior rappresentante, abbiano costituito un momento basilare della sua formazione e, in seguito, il fulcro di tutta la sua attività di compositore.
Estremo epigono del barocco musicale romano, il D. ne riassunse le maggiori tendenze e contraddizioni - soprattutto nel tentativo di assimilare lo splendore timbrico dello stile concertato veneziano alle forme più essenziali della polifonia palestriniana - aprendosi anche a quelle esperienze che la musica sacra, sulla scia dell'esempio monteverdiano, andava compiendo nel campo della monodia; quest'ultimo aspetto riveste però un'importanza secondaria se si considera il quasi esclusivo interesse che il musicista nutrì sempre per la pratica polifonica.
Nella produzione del D. spiccano, tra tutte, le messe a 8, 12, 16 voci - suddivise, secondo la tradizione veneziana, in 2, 3, 4 cori -; in esse l'abile scrittura contrappuntistica, tutta giocata sul sapiente alternarsi delle masse corali, ricorda da vicino il modello policorale del Benevoli ed in genere della grandiosità del tardo barocco romano. Talvolta all'insieme vocale si aggiunge un organico strumentale di riempimento: ne risulta una splendida combinazione timbrica che tradisce quella matrice veneziana comune a buona parte della produzione sacra del tempo. Il D. rivela una mano esperta anche nella scrittura a quattro voci, - adottata nei ventisette responsori e in poche altre occasioni -; la riduzione dell'organico torna qui a favore di una maggiore trasparenza del tessuto polifonico e contribuisce ad evocare, nella semplicità delle forme, le raccolte sonorità dei cori palestriniani.
Gli artifici contrappuntistici di cui il D. fece sfoggio sono i più svariati: si va dallo stile imitativo alla pratica, più arcaica, del cantus firmus (ottenuta attraverso il procedimento del "thema per augmentationem"); segno, questo, di quanto il compositore, tenendo fede alla sua vena di severo accademismo, si adoperasse nell'imitazione dei modelli classici della polifonia, risalendo sino alle fonti più autorevoli dell'arte contrappuntistica. Questo tradizionalismo di fondo comporta necessariamente un rifiuto dei principi dinamico-armonici della musica barocca e propende, piuttosto, a un recupero di quei valori puramente strutturali che costituiscono il fondamento della polifonia rinascimentale.
Le composizioni in stile monodico costituiscono un aspetto minore e certo poco rappresentativo della personalità del musicista; in questi pezzi, scritti per una o due voci, il D., pur attenendosi ai modelli riconosciuti della monodia sacra, amava ispirarsi a forme di vocalità di chiara impronta operistica.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della basilica di S. Giovanni in Laterano, Inventario musicale della Ss. Archibasilica lateranense 1776 (ms.), ad nomen; Carteggio inedito del padre G. B. Martini, a cura di F. Parisini, Bologna 1888, pp. 151, 253; G. Gaspari, Catal. della Biblioteca del Liceo musicale di Bologna, II, Bologna 1892, p. 134; G. Tebaldini, L'Archivio musicale della Cappella lauretana, Loreto 1921, pp. 67, 81, 118; R. Eitner, Quellen Lexikon der Musiker, VIII, pp. 322 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, II, p. 402; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XI, coll. 935 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, p. 215.