LEVIS (Levi, di Levi), Giuseppe de
Ritenuto un artista attardato di provincia (Planiscig), forse ebreo, dato il cognome e la predilezione della forma latina con cui si firmava, considerata un modo di celare la sua origine (Benjamin, p. 415), il L. nacque in realtà a Verona nel 1552 da Servo detto da Levo, dal nome del piccolo villaggio nel Bergamasco da cui proveniva (Rognini, p. 71). Il padre si era trasferito a Verona nel 1539, e nello stesso anno fu ascritto all'arte dei casolini (formaggeri). Fu Santo, il secondogenito di Servo nato nel 1539, a intraprendere per primo l'arte della fusione dei metalli, pur continuando a esercitare il mestiere paterno. Il L. era filatore, come il fratello maggiore Giovan Donato, ma seguendo l'esempio di Santo si diede anch'egli alla scultura in bronzo, di cui in famiglia divenne il più geniale interprete. Si ignora presso quale bottega si sia formato (forse i Bonaventurini, Alessandro in particolare, all'epoca i più famosi fonditori della città); ma certo la sua opera si iscrive stilisticamente nel contesto veneto-padovano della seconda metà del Cinquecento, da Iacopo Sansovino ad Alessandro Vittoria.
Nel 1576, morto Santo, il L. cominciò a dirigere la bottega di famiglia, coordinando forse l'attività dei tre nipoti, Servo, Giovan Battista e Ottavio.
La prima opera firmata e datata di sua mano deve identificarsi nella placchetta con la Deposizione del 1577 (Ferrara, Musei civici), derivata forse da un prototipo dell'orefice medaglista Giovan Federico Bonzagni, nativo di Parma e attivo presso la Zecca papale negli anni Cinquanta. Alla stessa tipologia appartiene il bronzo con la Deposizione (Berlino, Staatliche Museen), copia del marmo attribuito a Guglielmo Della Porta o a Vittoria (Milano, Castello Sforzesco: Gramberg, p. 181; Avery, 1981, pp. 55 s.).
Negli anni Ottanta realizzò numerose campane, tipo di manufatto di cui la bottega di famiglia era specialista.
Si ricordano quella con il numero "83" (forse 1583) e un sole radiante dal volto umano, forse l'impresa di una famiglia o di una corporazione veronese (Londra, Victoria and Albert Museum: Avery, 1992, p. 47); quella firmata e datata 1585 in corrispondenza del medaglione con una Madonna con Bambino, nella fascia mediana (Berlino, già mercato antiquario: Gramberg, p. 180); quella per il santuario della Madonna del Frassino a Peschiera del Garda, decorata da numerosi medaglioni raffiguranti Cristo alla colonna, la Madonna col Bambino, la Crocifissione, S. Francesco, S. Caterina e S. Rocco. Perduta, ma ricordata da un documento, la campana per le benedettine di San Michele Extra (già San Michele di Campagna) del 1594. Un'altra serie di manufatti permette di ricostruire, seppure limitatamente, il contesto di committenti privati per cui il L. operò: è il caso del mortaio datato 1589 (Düsseldorf, Kunstmuseum) con lo stemma di Pietro Loreto, di probabile famiglia genovese, e di un'altra campana databile al 1590 con l'impresa dei Gagiona di Verona (Hannover, collezione privata: Avery, 1981, p. 50), per i quali eseguì anche il campanello del Virginia Museum di Richmond, firmato con la sigla "LCFV" (forse "Levis Compagnia Fecit Veronae") e datato 1587 (Avery, 1992, pp. 47 s.). Tra i campanelli senza data, particolarmente preziosi per la straordinaria fattura sono quello per il Collegio dei giudici veronesi (Firenze, Museo del Bargello), con l'impugnatura in forma di magistrato veneto (Avery, 1981, p. 51), e quello al Castello sforzesco di Milano sormontato dalla figurina di Ercole, con lo stemma e l'indicazione del nome del committente Cosimo Valenti (dei Valenti di Mantova, probabilmente: ibid., p. 50).
Nell'ambito della scultura cosiddetta maggiore il L. si associò al veronese Angelo Rossi, cui si deve l'"invenzione" delle statuine di S. Giorgio e S. Giovanni Battista, databili al 1600 circa, per le acquasantiere di S. Giorgio in Braida a Verona (Avery, 1981, p. 57). Il nome di Rossi si leggerebbe con una certa difficoltà, insieme con quello del L., sul bellissimo calamaio con i dragoni alternati a figure di arpie e le tre Grazie, datato 1599 (New York, Metropolitan Museum). Nel 1600 il L. firmò e datò anche il Busto d'uomo della Walker Art Gallery di Liverpool, che tanto sembra debitore dei ritratti scolpiti di tradizione veneziana e dei busti di Vittoria in particolare (Avery, 1981, p. 61).
Si menzionano infine i due alari del Victoria and Albert Museum, sormontati dalle figurine di Giove e della Venus pudica, la cui fattura sembrerebbe risentire dell'assenza di Rossi, e dunque precedenti al 1599 (ibid., pp. 63, 65), oltre al battente di bronzo del 1600 (Svizzera, collezione privata) e al mortaio con la data 1605 (Londra, Victoria and Albert Museum), ultima opera in ordine cronologico fra quelle rinvenute dell'artista (Avery, 1981, pp. 71, 74 s.). Il L. morì, probabilmente a Verona, tra il 1611, anno in cui fuse la perduta campana per la città di Soave (Avery, 1992, p. 50), e il 1614 (Rognini, p. 73).
Lasciò alla guida della bottega i due figli, Paolo (nato nel 1572 e morto prima del 1635) e Francesco (1573-1630), quest'ultimo stimato dal mecenate Agostino Giusti che nel 1599 gli tenne a battesimo la figlia Lucia Paola. I due figli del L. collaboravano con altri esponenti della famiglia, Giovan Battista di Gian Donato e Santo di Servo. Risiedevano tutti nella contrada di San Silvestro e ciascun membro esercitava, secondo gli estimi, la professione di "campanarius" o "fabricator campanarum". Solo Giovan Battista di Santo, che abitava a Santa Croce di Cittadella e forse fornì i disegni per i motivi decorativi delle opere bronzee, divenne pittore.
Fonti e Bibl.: D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi…, Verona 1891, p. 322; L. Planiscig, Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp. 628-639; W. Gramberg, Der veroneser Bildhauer G. de L. und Guglielmo dalla Porta, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, XI (1937), pp. 179-188; U. Middeldorf, Una miscellanea di placchette, in Scritti di storia dell'arte in onore di Ugo Procacci, II, Milano 1977, pp. 326-330; L. Rognini, I Levi, in Fonditori di campane a Verona dall'XI al XX secolo (catal.), a cura di L. Franzoni, Verona 1979, pp. 71-75; C. Avery, G. de L. of Verona bronze founder and sculptor of the late sixteenth century: 1, Bells and mortars; 2, Figure style; 3, Decorative utensils and domestic ornaments; 4, New discoveries, in Studies in European sculpture, London 1981, pp. 45-79; C. Benjamin, The Stieglitz Collection. Masterpieces of Jewish art (catal.), Jerusalem 1987, schede 279 (per Servo) e 280 (per il L.), pp. 413-419, 450 s. (note); C. Avery, in Gardens and ghettos. The art of Jewish life in Italy (catal.), New York 1989, pp. 284-289, schede 170-176; Id., G. de L. (1552-1611/14) and his relatives in the bronze casting industry in Verona, in Verona illustrata, V (1992), pp. 45-52 e figg. 16-33; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 155 s.; The Dictionary of art, XIX, pp. 274 s.