DE FINETTI, Giuseppe
Nacque a Milano il 5 marzo 1892 da Antonio e da Marianna Degani. Terminati gli studi classici, nel 1912 sì trasferì a Berlino e l'anno seguente a Vienna dove divenne allievo di Adolf Loos. Fu in questo primo periodo di studi, determinante per la sua formazione, che apprese dal maestro le basi di un'architettura semplificata nelle forme, antidecorativa, determinata da volumi scanditi razionalmente. Tornato in Italia allo scoppio del primo conflitto mondiale, combattè come capitano degli alpini. Dopo la fine della guerra fece ritorno a Vienna. Nel 1920, rientrato in patria, conseguì, presentandosi come privatista, il diploma di professore di disegno architettonico presso il Regio Istituto di belle arti di Bologna con un progetto per il palazzo dei congressi del lavoro; nello stesso-anno si stabilì a Milano dove diede inizio alla sua attività professionale. Ebbe le prime verifiche della sua formazione loosiana nell'ambiente degli architetti del "Novecento" milanese, soprattutto G. Muzio e A. Alpago Novello, e trovò nella cultura del neoclassicismo lombardo del primo Ottocento un chiaro punto di riferimento.
I suoi primi impegni riguardarono il tema architettonico dell'albergo: nel 1920 eseguì i progetti, non realizzati, per gli alberghi Scala in via Verdi e "Hic Manebimus Optime" in via Borgonuovo; nel 1922 cominciarono i lavori di ristrutturazione dell'hôtel Diana Majestic in viale Piave, che rimase l'unica realizzazione del D. in questo campo. L'anno successivo progettò, pur non realizzandolo, l'hotel Touring che doveva sorgere, con il patrocinio del Touring Club italiano (T.C.I.), su un'area comunale in via Parini.
Nel 1923 venne pubblicato il Manuale di tecnica alberghiera, a cura del T. C. I., alla cui realizzazione contribuì lo stesso D. scrivendo il cap. II, "Costruzione dell'albergo", il cap. III, "I materiali per costruzione e finitura", e il cap. IV, "Finitura e arredamento". Nel libro si definiva il nuovo concetto di cellula base dell'albergo - la stanza unita ai servizi - adottato per la prima volta nella sistemazione dell'hotel Diana; per il D. ogni spazio doveva essere risolto tenendo conto delle particolari esigenze e delle diverse funzioni da assolvere e ciò poteva essere raggiunto solo con l'intervento di progettisti specializzati: "Occorre una preparazione di studi e di esperienze dirette intorno alle case speciali destinate ai privati" (G. D. ..., 1981, p. 9).
Nel 1922 partecipò al concorso indetto dall'Accademia di Brera per il piano regolatore dell'isola Comacina nel lago di Como, donata allo Stato italiano dal re del Belgio nel 1920.
L'intento era quello di realizzare sull'isola le abitazioni e gli studi per gli artisti dell'Accademia, i locali per le mostre e un albergo per i visitatori. Il D. progettò gli alloggi e gli ateliers, in un complesso unico, prospiciente il lago, mentre preferì dislocare in strutture separate i restanti locali (le riproduzioni fotografiche dei disegni vennero pubblicate nel testo Concorso per il piano regolatore dell'Isola Comacina, edito a Milano dalla Reale Accademia di Brera nel 1922).
Del 1923 è la sistemazione dei locali della "Bottega di Poesia" in via Montenapoleone (non più esistente), una galleria d'arte e libreria aperta nel 1920 dal conte Castelbarco, da Sandro Piattanida e da Walter Toscanini, alla quale il D. seppe dare un carattere intimo, proprio dei locali privati (P. Mezzanotte, Quattro interni milanesi, in Architettura e arti decorative, II [1922-1923], pp. 301 s.). Nel 1924 acquistò dalla famiglia Melzi un appezzamento di terreno dietro il palazzo Pertusati-Melzi. Lo scopo era quello di realizzare più di quattrocento locali abitativi secondo le norme previste dal piano regolatore del 1912.
Così scrisse il D. al Comune di Milano il 25 giugno 1924: "Partendo dalle disposizioni volute da detto piano, il progetto è svolto con ampiezza per quel che riflette la conservazione del giardino, con particolare riguardo alle più belle piante di essa e alle più interessanti prospettive. Dei 10.400 mq., che il giardino Melzi misura, meno di 1/5 viene destinato alle costruzioni nuove..." (G. D., 1981, p. 47). Dell'intero complesso edilizio, chiamato "Giardino dell'Arcadia", del quale egli fu architetto e imprenditore, furono realizzati solo due edifici: la casa della Meridiana (1924-1925) e la casa di via S. Calimero (1929-1930), le uniche abitazioni urbane costruite dal De Finetti. La casa della Meridiana prevedeva cinque appartamenti disposti su sei piani, con alcuni ambienti (la portineria, la lavanderia, i locali per il riscaldamento, le cantine, gli ascensori) in comune. "La forma esterna dell'edificio rivela i volumi interni, decrescenti verso l'alto e si fonde ritmicamente con la massa a piramide tronca di un cedro del Libano centenario che sorge a levante della casa. Al sommo della parte più alta della facciata sud è disegnata in una cornice di poco aggetto una grande meridiana" (G. Minucci, La casa della Meridiana in Milano..., in Architettura e arti decorative, II [1916-27], 8, pp. 373, 380). La casa di via S. Calimero venne costruita con la fronte principale sulla strada e la facciata posteriore sul cortile interno della casa della Meridiana. L'ascensore, progettato in sostituzione dello scalone centrale, permetteva l'ingresso direttamente in ogni appartamento garantendo in questo modo una totale autonomia per ogni abitazione.
Nel 1927, insieme agli architetti A. Alpago Novello, T. Buzzi, O. Cabiati, G. Ferrazza, A. Gadola, E. Lancia, M. Morelli, A. Minali, G. Muzio, P. Palumbo, G. Ponti, F. Reggiori, riuniti nel Club degli architetti, presentò il progetto Forma Urbis Mediolani che si classificò al secondo posto nel concorso per il nuovo piano regolatore della città.
Il progetto indicava nuove linee di sviluppo urbano contrarie sia a un'espansione circolare dei quartieri periferici, sia alla politica degli sventramenti, sia alla scarsa considerazione dell'ambiente. Per il D. lo studio dell'urbanistica si identificava con il desiderio di trovare regole che disciplinassero l'espansione dell'abitato, riproponendo il rigore morale e lo spirito razionale già presenti nel senso civico espresso dagli architetti neoclassici nel piano regolatore del 1807. La città venne considerata non solo un organismo autonomo, ma un elemento aperto e in continuo riferimento con i territori della regione. Nel piano Forma Urbis Mediolani le vie di comunicazione divennero una struttura portante, si auspicò la chiusura del centro storico circondato da un'arteria viaria continua in cui far confluire le correnti di traffico. Nel 1930 pubblicò, con i colleghi Alpago Novello e Muzio, l'opuscolo Memoria sui progetti del piano regolatore di Milano, 1928-1929,in cui veniva espresso il più profondo dissenso nei confronti delle scelte urbanistiche adottate. L'anno seguente il D. lasciò il Sindacato regionale fascista architetti di Milano e la Federazione nazionale fascista professionisti, venendo così a trovarsi in posizione isolata e critica nei confronti delle tendenze ufficiali dell'architettura milanese.
Nel 1932 elaborò un progetto non eseguito, per la sistemazione della proprieta Excelsior in corso Vittorio Emanuele, in alternativa a quello Cossutti-Patetta.
Nello stesso organismo furono adottate differenti soluzioni in base alle esigenze specifiche: i negozi nei locali al piano terreno e nei sotterranei, gli uffici nei piani superiori con uno sviluppo in verticale che garantiva la massima concentrazione di servizi (banche, assicurazioni etc.).
Questo studio fornì lo spunto, nel 1936, per il progetto, non realizzato, del palazzo per il turismo, che doveva sorgere su un'area di proprietà della Banca commerciale italiana compresa fra largo S. Margherita e piazza della Scala.
In vista dello svolgimento dei Littoriali del 1934, il D. nel 1933 eseguì i progetti, anch'essi non realizzati, per lo stadio e per le terme.
Oltre a suggerire proposte per impianti sportivi, le due ricerche offrirono l'occasione per un più ampio confronto sullo sviluppo della città. All'attività progettuale si affiancò l'elaborazione di alcuni articoli che portarono alla pubblicazione del volume Stadi. Esempi, tendenze, progetti (Milano 1934). Nell'aprile 1937 partecipò a Roma al I Congresso nazionale di urbanistica con la relazione Vantaggi economici del piano regolatore, stampata negli Atti del Sindacato provinciale fascista ingegneri di Lombardia; nello stesso anno cominciò la sua collaborazione con il giornale L'Ambrosiano, sul quale pubblicò numerosi scritti riguardanti il piano regolatore, la sistemazione delle più importanti aree cittadine, la metropolitana e gli altri trasporti pubblici.
Nel 1938 realizzò per la famiglia Crespi la casa di caccia di Ronchi nei pressi di Vigevano.
La casa, su tre piani disposti intorno ad un unico vasto ambiente centrale, si sviluppava in un continuo e dinamico rapporto con la natura circostante. La razionalità espressa nella distribuzione delle zone destinate ai padroni, agli ospiti, ai servizi, la ricerca di funzionalità, utilità e comfort nei singoli ambienti, l'eleganza espressa nell'arredamento resero villa Crespi "uno dei passi più maturi e coscienti per entrare nell'ambito sovranazionale e democratico che ha le sue radici nell'anticonformismo di Wright e di Loos" (G. Canella-V. Gregotti, in Edilizia moderna, dicembre 1963, n. 81, p. 65).
A partire dal 1943 cominciò il lungo lavoro teorico che avrebbe dovuto dar vita a un complesso testo di analisi sulla storia, sui possibili interventi e sviluppi architettonici di Milano dopo i danni subiti nel secondo conflitto mondiale. Le prime idee furono elaborate in otto articoli, mai pubblicati, preparati per il giornale Il Sole.
Lo scopo era quello di trattare - come scrisse il D. in una lettera del 17 apr. 1943 al direttore del quotidiano - "il problema urbano con intento sistematico generale". Agli otto articoli sarebbero poi seguiti altri scritti dei quali nulla è rimasto, "per sviluppare il progetto della città in molte sue parti, con non poche precisazioni. E ne verrebbe il quadro di una Milano tutta nuova e diversa dalla brutta cosa raffazzonata nell'ultimo secolo" (Milano..., 1969, p. XXXV). Tra l'aprile e l'agosto del 1944 furono redatti i sommari del libro, con l'individuazione degli argomenti; il contratto, firmato con la casa editrice Hoepli il 20 marzo 1945, prevedeva l'uscita di un libro, diviso in tre parti, intitolato Milano risorge (cfr. Milano..., 1969, p. XXXV).
Nel 1945 il D. fondè, e diresse la rivista La Città, periodico di architettura e politica. Nel 1946 partecipò a Roma al I Convegno per la ricostruzione edilizia con le relazioni Della proprietà delle aree urbane nei riflessi della ricostruzione e INavigli nella ricostruzione di Milano, stampati negli Atti, fascicoli 6 e 8. Nello stesso anno venne nominato consigliere dell'Ente Fiera e durante la sua carica, tra il 1946 e il 1948, sovraintese ai lavori di progettazione dell'emiciclo e del palazzo delle Nazioni affidati, su sua proposta, a P. L. Nervi. Nel 1951 fondò l'Istituto di studi urbani e regionali che nelle intenzioni del D. doveva guidare gli studi e le ricerche nel campo dei rapporti fra città e territorio. Fu in questo momento che egli elaborò l'idea di un nuovo libro su Milano di cui è rimasto solo il titolo: Milano: introduzione ad uno studio di geografia urbana (Milano..., 1969, p. XXXVII).
Morì a Milano il 19 gennaio 1952.
Per l'elenco dei progetti e per la bibliografia al 1981 si veda il catalogo dei disegni dell'archivio De Finetti in G. D., 1981, pp. 139-148 e l'elenco degli scritti del D., ibid., pp. 149-151. L'intero archivio è stato donato dagli eredi alla Triennale di Milano. Il testo ined. Milano risorge e la maggior parte degli scritti del D. sono stati pubblicati nel volume: G. De Finetti, Milano: costruzione di una città, a cura di G. Cislaghi-M. De Benedetti-P. Marabelli, Milano 1969.
Fonti e Bibl.: G. D. Progetti 1920-1951 (catal.), a cura di G. Cislaghi-M. De Benedetti-P. Marabelli, Milano 1981; G. Ciucci, Il dibattito sull'architettura e la città fasciste, in Storia dell'arte ital. (Einaudi), VII, Torino 1982, pp. 293, 300, 303-306, 309; M. Tafuri, Architettura ital. 1944-1981, ibid., pp. 427 s.; E. Bairati-A. Finocchi, Arte in Italia, III, Torino 1984, pp. 583 s.