DABORMIDA, Giuseppe
Nacque a Verrua Savoia (prov. di Torino) il 21 novembre del 1799, da Giovanni Battista e da Vittoria Seghini. Il padre, magistrato sotto l'antico regime, pare conservasse (Chiala, La vita ..., p. 1) l'ufficio anche durante la dominazione francese. Il D. venne mandato a studiare presso il liceo Imperiale di Genova, l'11 luglio 1812, uscendone il 14 apr. 1814. Intraprese la carriera delle armi prestando servizio, dal 29 marzo 1815, nel corpo d'artiglieria dell'esercito sardo come cadetto. Sottotenente il 18 dic. 1817 e tenente il 14 sett. 1819 nelle batterie leggere, l'anno successivo era nominato primo tenente sotto il comando del maggiore G. Provana di Collegno, che allora stava riorganizzando le batterie leggere a Venaria Reale.
Nel 1821, allo scoppio del moto insurrezionale, il Collegno, che era stato fra i promotori, accorse ad Alessandria, trasformatasi in centro di raccolta delle truppe costituzionali. Il D. invece (nonostante l'amicizia col Collegno e altri ufficiali provenienti dalle armate napoleoniche, i quali, insofferenti dell'Ordine di cose, avevano aderito all'insurrezione) seguì il suo reggimento a Novara, forse senza rendersi conto che colà il generale La Tour stava organizzando le truppe rimaste fedeli alla monarchia assoluta. Benché il suo comportamento fosse stato irreprensibile, dopo il fallimento dell'insurrezione, forse per la sua nota amicizia coi Collegno, venne sospettato e trasferito in Sardegna. Ritornato infine in continente e destinato ad Alessandria, il 30 genn. 1824 fu promosso capitano, poi, succedendo al maggiore F. Omodei, il 23 luglio 1828 divenne professore titolare di istituzioni di artiglieria alla Regia Accademia militare di Torino. In quel periodo fu membro di una commissione incaricata di sperimentare nuovo materiale per l'artiglieria. Nel 1831 si recava in Lombardia col maggiore Omodei per studiare un nuovo tipo d'equipaggiamento da ponte (modello Birago), ed ebbe poi il comando della compagnia pontieri. Il 23 febbr. 1833 era promosso maggiore; stringeva allora amicizia con V. Gioberti iscrivendosi (come rivelerà più tardi il Gioberti in una lettera al La Marmora del 7 genn. 1852) a una "società politica e secreta", il cui scopo "non era sovversivo, né antimonarchico", ma i cui membri "erano vincolati al silenzio da un giuramento" (Chiala, La vita ..., p. 520). Il 19 ott. 1836 il D., vedovo di Giulietta Tornielli di Vergano, si risposava con Angelica de Negry della Niella.
Per la sua esperienza e preparazione militare, nel 1838 re Carlo Alberto lo incaricava di insegnare artiglieria e arte militare al duca di Savoia e al duca di Genova, e per lo zelo con cui egli svolse il compito di precettore l'11 dicembre del 1840 gli conferiva la croce di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Il D. mantenne l'incarico fino al novembre 1841 (quando, già terminato nel 1839 il corso del duca di Savoia, ebbe fine quello del duca di Genova); nel frattempo era stato promosso tenente colonnello (14 nov. 1839). Nel 1841, per ordine del governo, aveva compiuto in Germania studi di carattere militare ed era stato temporaneamente sostituito nell'ufficio di precettore da A. La Marmora. Il 17 ott. 1843 fu promosso colonnello e nominato comandante dell'artiglieria a Venaria Reale. L'8 genn. 1848 fu nominato membro del Congresso permanente di artiglieria, ed il 18 marzo successivo primo ufficiale (cioè segretario generale) del generale A. Franzini, che due giorni prima aveva accettato il portafoglio di Guerra e Marina nel primo gabinetto costituzionale presieduto da C. Balbo. Poco dopo, partito il ministro della Guerra come aiutante di campo del re nella campagna contro l'Austria e assuntone il Balbo l'interim, il D. si trovò di fatto a dirigere il ministero.
Nello svolgimento dell'incarico impegnò tutte le proprie energie, ma non mancò di rammaricarsi più volte, nelle lettere indirizzate al La Marmora, di non poter servire la patria sul campo di battaglia. Come primo ufficiale del ministero dovette assumersi l'organizzazione dei reparti da mandare al fronte e dovette affrontare con rapidità, per l'incalzare degli eventi, i problemi relativi ai rifornimenti necessari a quelle truppe.
Il 20 giugno 1848 fu promosso maggior generale e il 26, nelle elezioni suppletive, eletto deputato per il collegio di Avigliana (al posto del principe della Cisterna, che aveva optato per il Senato). Durante il ministero Casati fu nominato membro del Congresso consultivo permanente della guerra, incarico che abbandonò alle dimissioni del gabinetto. Il 21 ag. 1848 gli veniva affidato il portafoglio della Guerra nel nuovo ministero Alfieri-Perrone.
Si trovò così a dover affrontare gli spinosi problemi seguiti alla firma dell'armistizio Salasco, tra i quali la riorganizzazione dell'esercito, la ricerca di un generale a cui affidare il comando supremo, il collocamento in disponibilità o a riposo di alcuni ufficiali superiori ritenuti principali responsabili degli insuccessi. Molti, allora, avrebbero voluto una commissione d'inchiesta sulle vicende della campagna militare: la chiedevano la stampa, soprattutto quella della Sinistra, e anche alcuni degli stessi alti ufficiali (come E. Bava) verso i quali si appuntavano le critiche. Il D. preferi evitare quel provvedimento: compiere una inchiesta generale sarebbe stato impossibile e poco opportuno in un momento in cui occorreva affrettare i preparativi per la ripresa eventuale delle ostilità; concentrare l'inchiesta solo su alcuni episodi o su alcune persone avrebbe suscitato critiche e recriminazioni senza fine. Egli era invece convinto che fosse necessario provvedere alla ricerca di una persona cui affidare il comando effettivo dell'esercito (tenuto dallo stesso re Carlo Alberto durante la campagna, per un rispetto troppo rigido della norma statutaria secondo cui il comando supremo spetta al sovrano). A questo scopo nell'agosto 1848venne mandato a Parigi A. La Marmora, per convincere qualche generale francese (si pensava in particolare al gen. T. Bugeaud) ad accettare la carica. Il tentativo fallì e si dovette cercare una soluzione di ripiego: il comando dell'esercito fu affidato al gen. Bava, mentre il generale polacco W. Chrzanowski fu nominato capo dello Stato Maggiore generale. Per accontentare, poi, i desideri dei democratici, il comando della divisione lombarda fu affidato al gen. G. Ramorino.
Il D. resse il ministero della Guerra fino al 27 ott. 1848, quando furono accolte le sue dimissioni, essendo prevalsa in Parlamento la corrente favorevole alla ripresa del conflitto. Egli, infatti, era contrario, poiché riteneva l'esercito ancora troppo debole ed impreparato, ed era invece favorevole al proseguimento della mediazione diplomatica della Francia e dell'Inghilterra. Tornò a far parte del Congresso consultivo permanente della guerra, e il 22 marzo 1849 fu incaricato di organizzare la difesa di Alessandria. Dopo la sconfitta di Novara gli fu offerto nuovamente il portafoglio della Guerra, che rifiutò, accettando invece il compito di plenipotenziario, con C. Beraudo di Pralormo e C. Bon Compagni, alle trattative con l'Austria, concluse con la pace di Milano del 6 ag. 1849. Nelle elezioni per la IV legislatura (seguita al proclama di Moncalieri) fu rieletto dal collegio di Avigliana, che già l'aveva riconfermato nelle elezioni per la II e la III legislatura. Continuò la sua attività di deputato schierandosi nel gruppo cavouriano di centrodestra e nel 1852 aderì con convinzione al connubio Cavour-Rattazzi.
Nel 1850, intanto, la delusione per la campagna del '49 e la firma del trattato di pace avevano scatenato in Parlamento dure polemiche verso la passata amministrazione della Guerra. Queste trovarono larga eco nel libro del Gioberti Del rinnovamento civile d'Italia (novembre 1851). dove si indirizzavano pesanti accuse contro il ministero del 18 ag. 1848, e contro il D. in particolare. Questi, in un primo momento, avrebbe voluto querelare il Gioberti per diffamazione, ma ne fu distolto da alcuni amici, tra cui A. La Marmora, C. Bon Compagni, L. Farini e G. Massari.
Nel Rinnovamento il Gioberti aveva rimproverato al D. "di aver abbominato una seconda guerra contro l'Austria e agognato sopra ogni cosa a renderla impossibile; di aver bramato una lega tedesca, desiderando di avere per compagna l'Austria, anzi che saggiarla nel campo come nemica; di avere atteso indefessamente a rovinare gli uomini più benemeriti della causa patria e più capaci di ristorarla, perseguitandoli coi raggiri, colle maldicenze e con tutte le arti ignobili e solite di coloro in cui prevale ad ogni altra dote la mediocrità e l'invidia" (Chiala, La vita..., pp. 505 s.). Il Gioberti, nonostante l'intervento degli amici del D., scrisse un nuovo libro intitolato Ultima replica ai municipali (rimasto inedito fino al 1917, quando G. Balsamo Crivelli ne rinvenne una copia alla Bibl. Vittorio Emanuele di Roma), nel quale ripeteva le accuse già formulate.
La polemica tuttavia si spense nel nulla, soprattutto perché il Gioberti non portò mai prove concrete delle sue affermazioni: il prestigio del D. non ne rimase intaccato, tant'è vero che il 26 maggio 1852 venne nominato vicepresidente della Camera. Lo stesso anno, dopo la costituzione del primo gabinetto Cavour, gli fu affidato il portafoglio degli Affari Esteri ed il 7 novembre fu nominato senatore.
Durante il suo ministero si presentò la questione del sequestro austriaco dei beni dei fuorusciti lombardi e veneti come rappresaglia per il moto mazziniano di Milano del 1853, in seguito al quale si era giunti alla rottura dei rapporti diplomatici tra il Piemonte e l'Austria. Sempre durante il suo ministero furono poste le basi dell'alleanza per la guerra di Crimea. Riguardo a tale questione il D. si oppose sempre a una pura e semplice adesione al trattato anglo-francese del 10 apr. 1854, che non dava al Piemonte alcuna garanzia di partecipazione alle trattative di pace. Egli, inoltre, pretendeva condizioni che gli assicurassero l'appoggio delle potenze alleate nei confronti dell'Austria per la questione dei sequestri, rimasta ancora insoluta.
In seguito a contrasti col Cavour riguardo alle garanzie dell'alleanza per la guerra di Crimea, il D. si dimise il 10 genn. 1855. Il giorno prima, intanto, era stato promosso luogotenente generale, e il 31 marzo diveniva comandante generale d'artiglieria. Nell'aprile del 1856 fu inviato come ministro plenipotenziario a Pietroburgo presso lo zar Alessandro II, per tentare il ristabilimento dei rapporti diplomatici fra i due paesi. Nel 1859 ebbe ancora il portafoglio degli Affari Esteri nel ministero La Marmora-Rattazzi e, in quella veste, svolse, nell'ottobre di quell'anno, una delicata missione diplomatica presso Napoleone III, per cercare di ammorbidire la sua opposizione all'annessione dei ducati padani e della Toscana. Il 22 apr. 1860 fu nominato membro della commissione d'esami alla Reale Accademia militare; dal 24 giugno di quell'anno al 26 ott. 1866 fu presidente del comitato dell'arma d'artiglieria; dall'8 luglio 1862 al 10 genn. 1866 fu presidente del Consiglio superiore istituti militari. Il 22 febbr. 1863 gli veniva conferito il titolo di conte; il 22 maggio 1866 riceveva l'onorificenza di grand'ufficiale della Corona d'Italia. Costretto a mettersi a riposo il 26 ottobre dello stesso anno a causa di un colpo apoplettico, si spense a Buriasco (Torino) il 19 ag. 1869.
Fonti e Bibl.: Per la carriera militare cfr. Arch. di Stato di Torino, Sez. Riunite, Registro matricole generali, p. 38. I suoi carteggi e documenti sono conservati presso il Museo del Risorgimento di Torino, Arch. Dabormida. Essi sono stati parzialmente utilizzati nell'opera di L. Chiala, La vita e i tempi del generale G. D., Torino 1896, e dopo nella tesi di laurea di L. Gallo, L'opera politica del generale G. D., discussa col prof. W. Maturi presso la fac. di lettere e filosofia dell'universita di Torino nell'a.acc. 1949-50 (copia presso Dip. di scienze stor.). Brevi profili biogr. sono in T. Sarti, Il Parlamento naz. e subalpino, Roma 1896, pp. 336 s.; Dizionario del Risorgimento nazionale, I, pp. 802 s.; Enciclopedia Ital., XII, p. 210; Enc. militare; III, p. 263; A. Moscati, I ministri del '48, Napoli 1948, pp. 207-214. Sulla sua attività politica e sulle sue missioni diplom. si veda P. Fea, Lettere di G. D. a Massimo d'Azeglio, in Rass. nazionale, aprile 1882, pp. 3-33 (le lettere comprendono il periodo dal giugno all'agosto 1849); A. Colombo, Gli albori del regno di Vittorio Emanuele II, Roma 1957, in partic. pp. 58-77; L. Chiala, L'alleanza di Crimea, Roma 1879, pp. 43 ss.; F. Valsecchi, Il Risorg. e l'Europa. L'alleanza di Crimea, Firenze 1968, ad Indicem; C. De Vecchi di Val Cismon, La missione Dabormida a Parigi, in Rass. stor. del Risorg., XXI (1934), pp. 885-919. Sulla polem. col Gioberti si v. M. Macchi, Le contradd. di V. Gioberti, Torino 1852, pp. 324-343; B. E. Maineri, Il Piemonte nel 1850-'51-'52. Lett. di V. Gioberti a G. Pallavicino, Milano 1875; V. E. Dabormida, V. Gioberti e il generale D., Torino 1876; V. Gioberti, Ultima replica ai municipali. Pubblicata per la prima volta con prefazione e documenti da G. Balsamo Crivelli, Torino 1917; A. Menzio, Intorno all'ultima replica ai municipali: a proposito del volume di G. Balsamo Crivelli, in Il Risorg. ital., X (1917), pp. 395-429.