D'ANNIBALE, Giuseppe
Nacque il 22 sett. 1815 a Borbona (od. prov. di Rieti), da modesta famiglia, dalla quale discese anche un altro cardinale, Federico Tedeschini, figlio della sua unica sorella ed elevato alla porpora nel 1935. Il D. ricevette la prima formazione religiosa e culturale dal suo parroco, don Lopez, che lo avviò allo studio dei classici latini e italiani. Vestì l'abito clericale nel 1828 e gli furono conferiti gli ordini minori nel 1832, ma, a causa delle disagiate condizioni familiari, poté esaudire il suo desiderio di entrare nel seminario diocesano soltanto a vent'anni (1835). Fu quindi ordinato sacerdote il 21 sett. 1839.
Gli inizi della sua carriera ecclesiastica furono piuttosto oscuri e non lasciavano presagire i futuri sviluppi. Inviato come coadiutore del parroco a Borbona, vi rimase per circa dieci anni (1840-51) senza incarichi particolari, tranne la parentesi, di un solo anno, dell'insegnamento di teologia dogmatica presso il seminario reatino.
In quello stesso periodo, morto il padre, rivendicò il possesso di alcuni picoli fondi alienati. Fu l'occasione per intraprendere uno studio vasto e sistematico del diritto romano e moderno. Nella relazione informativa da lui scritta per i suoi avvocati, espose in modo così persuasivo le sue ragioni e rivelò tanta dottrina che essi si limitarono a trasmettere il testo al tribunale, apponendovi soltanto la firma. La causa fu vinta, ma la sua salute risentì fortemente della intensa applicazione.
L'attenzione del vescovo di Rieti, G. Carletti, si posò sulla personalità del D., al quale affidò, nel 1851, la cattedra di teologia morale nel seminario della diocesi. Ciò sollecitò il D. ad approfondire non solo la disciplina che insegnava, ma anche il diritto civile e canonico. Nel 1852, dietro le insistenze del Carletti, si recò a Roma, dove conseguì la laurea inutroque iure. Poco tempo dopo lo stesso vescovo lo nominò suo vicario generale e, nel febbraio 1856, canonico della cattedrale di Rieti. Eletto vicario capitolare alla morte del Carletti (1867), si trovò ad affrontare, durante la lunga vacanza della sede vescovile, la difficile situazione determinata dalle nuove leggi emanate dal governo italiano (7 luglio 1866 e 15 ag. 1867), riguardanti la confisca dei beni ecclesiastici e la soppressione degli Ordini e delle Congregazioni religiose. La energia dimostrata in quel periodo, l'abituale prudenza e la capacità di intrattenere rapporti con le Congregazioni romane, attirarono su di lui l'attenzione dello stesso Pio IX, il quale cominciò a pensare ad una sua elezione all'episcopato. Nel 1872 il nuovo vescovo E. Mauri lo confermò vicario generale e, colpito dalla sua erudizione, lo indusse a scrivere ed a pubblicare un commento alla recente Costituzione di Pio IX Apostolicae Sedis. Il D. accettò l'incarico, ma, per un eccesso di modestia, esitò molto prima di pubblicare l'opera, che, del resto, uscì anonima nel 1873 a Rieti con il titolo InConstitutionem Apostolicae Sedis qua Censurae latae sententiae limitantur Commentarii... .
Il commentario, definito dalla Civiltà cattolica "libro di poca mole, ma di gravissimo peso" (s. 8, 1873, vol. XI, p. 584), rivelò ad un pubblico più vasto la statura intellettuale del D'Annibale. Anche il futuro Leone XIII, a quel tempo arcivescovo di Perugia, si congratulò con l'autore al quale scrisse che il Commentario "senzadubbio precede pel merito gli altri". Il buon esito di questa sua prima fatica lo invogliò a portare a termine un'opera che aveva intrapreso fin dall'inizio del suo insegnamento.
Salito alla cattedra, il D. aveva progettato di sostituire il modesto compendio di morale in uso nel seminario con un corso di istituzioni di teologia morale, destinato ai suoi allievi. Lavorò a quest'opera per circa venti anni, apportandovi continue modifiche, proponendo e discutendo i casi più complessi con gli allievi e con il clero reatino nelle conferenze ad esso destinate (quelle relative agli anni 1878-80 vennero pubblicate a Rieti, per volere del vescovo Mauri). Rimaneggiò il testo ben dodici volte senza decidersi a pubblicarlo. Finalmente, dietro le insistenze dei suoi superiori, l'opera in tre volumi fu data alle stampe a Rieti dal 1874 al 1876 con il titolo: Summula theologiae moralis ad usum Seminarii Reatini... .
Alla Summula è legata la fama del D'Annibale. Essa offre, in breve spazio, una esauriente esposizione della teologia morale secondo gli schemi della manualistica dell'epoca, in vista, soprattutto, della pratica confessionale. Nella prospettiva di una morale concepita come etica normativa, come un insieme di principi dottrinali finalizzati alla corretta soluzione dei singoli casi e al giudizio sulle singole azioni umane, il D. comincia la sua trattazione dalla persona, da cui derivano le azioni. Nel primo volume esamina la persona nei vari aspetti, prima di affrontare i capitoli riguardanti: gli atti umani, le leggi (alla luce del diritto naturale, divino ed umano), la coscienza; quindi sviluppa il tema del peccato (onde poterne rilevare la specie e la gravità), De poenis et censuris, De irregularitatibus. Nel secondo volume esamina i doveri imposti a tutti gli uomini dal diritto naturale: verso Dio, verso il prossimo, verso se stessi. Il terzo volume riguarda, invece, i doveri propri dei cristiani ed altre questioni relative ad essi: i sacramenti in genere e in specie, i benefici ecclesiastici, la simonia, ecc. Le numerose note, spesso assai lunghe ed eccedenti lo stesso testo, ricche di indicazioni bibliografiche, storiche e canoniche, sebbene non facilitino la lettura, indicano la copiosità delle fonti a cui l'autore ha attinto.
Il D. si muove sulla linea di s. Alfonso de' Liguori, ma oscilla fra un equiprobabilismo definito dal Vermeersch "a modo suo" ed il probabilismo puro, ricorrendo, talvolta, a soluzioni personali che non consentono di collocarlo in un preciso "sistema morale". Il libro si impose all'attenzione degli studiosi e della stampa cattolica. Il D. "apparve subito come il restitutore di questi studi, come il principe dei moralisti del tempo, destinato a sopravvivere nei tempi" perché "al di sopra dei manuali in uso, traeva con vasto esame e con acuto discernimento la sua materia dalle grandi fonti dei Padri e dei Dottori" (Crispolti). Una recensione comparsa sulla Civiltà cattolica (s. 10,1877, vol. III, pp. 704-09) e attribuita al Ballerini sottolinea l'ordine scientifico con cui è disposta e trattata la materia, la chiarezza del pensiero, la brevità, il buon metodo usato, che procede dal generale al particolare e, non ultimo, lo stile "facile e, insieme, schiettamente latino". La stessa recensione conclude: "Noi non sapremmo quale altro autore gli possa essere superiore". Al D. fu attribuito anche il merito di aver portato nella morale la sua solida formazione di civilista; egli attinse ampiamente al diritto civile e canonico, oltre che alle decisioni delle SS. Congregazioni. Sotto questo profilo sono notevoli i trattati: De iustitia et iure (in cui sviluppa la vasta materia del dominio, del possesso, delle usucapioni, delle servitù, delle restituzioni, dei contratti ecc.), De legibus, De censuris, De restitutione in genere, dove esamina gli atti più comuni della vita civile, risolvendoli secondo le leggi allora vigenti.
La letteratura sul D. è scarsa e condensata soprattutto in voci di enciclopedia tralatizie e ripetitive; i rari contributi, di natura prevalentemente biografica, non vanno al di là degli anni '30. Emerge tuttavia una figura che, superato lo stretto ambito della provincia, assunse uno spicco sicuro. Le sue sentenze facevano testo nei tribunali, negli uffici, nelle scuole, per la conoscenza che il D. aveva del diritto e per l'autorità di cui godeva presso la Curia romana. Egli ha esercitato una notevole influenza sulla teologia morale per lunghi anni. La sua Summula influì sul Codex iuris canonici (1917), che ha accolto, in più punti, le soluzioni da essa patrocinate (cfr. A. C. Jemolo, in Enc. Italiana, XII, Roma 1931, p. 322). Il nome del D. si trova citato nella giurisprudenza rotale fino agli anni '60 (cfr. le Decisioni e sentenze pubblicate dalla Sacra Rota romana). Egli, però, non ha portato contributi di originalità per orientamenti e metodologie nuove. Mentre le nuove scienze (psicologia, antropologia, sociologia) già ponevano il problema della responsabilità dell'uomo e si andavano effettuando (specialmente in Germania) i primi tentativi di rinnovamento per liberare la teologia morale dalla casistica, astratta e priva di contatti con la vita, il D. non si sottrasse alla teoria teologica dominante e non superò i limiti imposti dall'immobilismo ecclesiastico dell'epoca. Oggi, dopo l'approfondimento della riflessione teologica, ampiamente promosso dal concilio Vaticano II, la teologia morale cerca un diverso modello di impostazione. Il sistema manualistico è quasi scomparso; si passa da una concezione statica ad una concezione più dinamica ed evolutiva. Nell'ottica, più ampia, di una teologia morale intesa come teologia dell'agire umano, la qualificazione oggettiva dell'azione non sembra più sufficiente al moralista; ci si orienta verso una morale della responsabilità. In questo contesto, il D. appare superato alla maggior parte dell'opinione cattolica, pur restando una valida espressione della Chiesa italiana dell'800.
La fama del D. giunse a Roma. Leone XIII volle utilizzarlo su un piano operativo più vasto. Il 12 ag. 1881, malgrado le sue reticenze, fu nominato vescovo titolare di Caristo (consacrato il 14agosto) e l'anno seguente si recò definitivamente a Roma per assumere l'ufficio di canonista della S. Penitenzeria. Nel giro di pochi anni si succedettero incarichi e titoli onorifici. Nell'aprile 1883 fu nominato consultore e, nel novembre 1884,assessore del S. Uffizio. Finalmente, nel concistoro dell'11 febbr. 1889,Leone XIII lo creò cardinale conferendogli il 27 maggio il titolo dei SS. Bonifacio ed Alessio. In quell'occasione il papa lo definì "illustre per la sua integrità, modestia e ricchezza della sua dottrina" (L'Univers, 15 febbr. 1889). Il 22 giugno 1890 divenne prefetto della S. Congregazione delle Indulgenze, ma, durante l'inverno del 1892,la sua salute, già malferma, peggiorò.
Il D. morì a Borbona il 17 luglio 1892. Nel 1935la salma venne traslata nella chiesa di S. Maria Nuova.
Opere: In Costitutionem Apostolicae Sedis, qua censurae latae sententiae limitantur Commentarii editi iussu illmi et remi Fr. Aegidii Mauri episcopi Reatini ad usum sacerdotum suae dioecesis (Rieti 1873); Summula theologiae moralis ad usum seminarii Reatini auctore I. D'Annibale cathedralis basilicae Reatinae canonico, I-III, Rieti 1874-76; altre edizioni: Milano 1881-83 (riveduta e ampliata), Roma 1891 (dedicata a Leone XIII); Roma 1896; Roma 1907-08, con Supplementum (ibid. 1909), a cura di D. Mannaioli.
Fonti e Bibl.: P. De Sanctis, Biografia del card. G. D., Roma 1898; A. Vermeersch, Soixante ans de théologie morale, in Nouvelle Revue théologique, LVI (1929), pp. 864, 873 s.; S. Romani, Il card. D. moralista e giurista del XIX sec.,in Rass. di mor. e di dir., I (1935), pp. 456-75; F. Crispolti, Corone e porpore, Milano 1937, pp. 123 ss.; E. Hocedez, Histoire de la théologie au XIXe siècle, III,Paris 1947, pp. 325, 335. Si possono consultare anche le voci in: Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll. 390-93; Catholicisme, I, p. 597 s.; Dict. de théol. catholique, col. 1322; Enc. cattol., IV, coll. 1165 s.; Diz. di teol. mor., p. 402; R. Rizler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., VIII,Patavii 1978, pp. 34, 47, 57, 187.