D'ALESSANDRO, Giuseppe
Nacque nel 1656 a Pescolanciano (prov. di Campobasso), in "citeriore Aprutio", dal duca Fabio e da Isabella Amendola. In seguito alla morte precoce del fratello, egli diventò terzo duca e settimo barone dei feudi di Pescolanciano, Carovilli, Castiglione, Pietrabbondante, Civitanova, Civitavecchia. A questi domini si aggiunsero i paesi di Roccaraso, Castelgiudice e Roccacinquemila, portati in dote dalla moglie del D., la baronessa A. M. Marchesani, d'origine salernitana.
Tipico esponente di un'albagiosa nobiltà meridionale, tenacemente ancorata agli ideali eroico-cavallereschi del Seicento ormai in declino, il D. praticò "le gran professioni di cavallo e spada" che insieme alle cacce, alle giostre, ai pomposi omaggi resi secondo la rigida gerarchia nobiliare, scandivano in un cerimoniale immutato le giornate dei nobili locali.
Il D. visse quasi sempre ritirato nel suo feudo di Pescolanciano, in un isolamento interrotto saltuariamente da brevi soggiorni a Napoli dove possedeva una sontuosa dimora in via S. Anna di Palazzo. L'ultimo periodo della sua vita fu particolarmente tormentato; sospettato, forse, di avere partecipato ad una congiura antispagnola, fu imprigionato nel Castel Nuovo di Napoli da dove uscì nel 1707, dopo la sconfitta degli Spagnoli e l'arrivo vittorioso a Napoli del maresciallo Daun, comandante delle truppe asburgiche. Ma vittima di una malevola calunnia, fu nuovamente rinchiuso in Castel Nuovo dagli Austriaci, e subì l'amarezza di essere perseguitato proprio da quel vicerè conte W. Ph. L. Daun, al cui indirizzo aveva rivolto spesso sonanti versi d'encomio. Fu liberato, infine, per l'intervento del generale Heindl e l'abile difesa dell'avvocato G. Sparano.
Nel 1711 il D. pubblicò a Napoli la Pietra paragone de' cavalieri, opera coniposita che. comprende sonetti, lettere e trattati di vario genere. L'immagine idoleggiata del cavallo, centro di un singolare microcosmo equestre, costituisce l'elemento coordinatore della raccolta che alterna ai sonetti amorosi e d'ispirazione filosofica, rime esaltanti le glorie e le virtù dei nobili quadrupedi, trattati sul modo di curare le loro "infermità", e persino incisioni dei marchi delle razze più pregiate nel Regno di Napoli. Nel variopinto bestiario della lirica barocca il cavallo rappresenta infatti un polo d'attrazione costante, dai sonetti del Marino, del Preti, del Fontanella, del Bruni fino al tardivo canzoniere del D., che accoglie e propone moduli e temi di un gusto poetico vicino alla fine.
Il D. rientra nella schiera degli epigoni del marinismo, che conducono alle estreme conseguenze la poetica dei bizzarro, dello stravagante, dei peregrino, esasperando toni e situazioni del primo barocco. Non si limita, infatti, ad ammirare lo scatto rapido e fuimineo del "corsier volante" (cfr. Ad un cavallo), ma dedica anche odi ed inni alla sella, alla staffa, allo sperone. Affascinato soprattutto dal dinamismo dell'animale, impetuoso e scalpitante, accosta a metafore convenzionali del tipo "vento crinito" l'audace contrapposizione "terrestre volator" (cfr. Ad un velocissimo e nobile cavallo) per ritrarre lo slancio inarrestabile del cavallo in corsa. Consona, inoltre, al tardo gusto barocco è l'enfatica affermazione che il D. rivolge, verso la fine del sonetto, all'amato cavallo: "Per te acquistan onore i fogli miei" e l'estesa metafora conclusiva: "Il dorso tuo non è se non ch'un soglio / Per gli eroi coronati e semidei". Accanto ai componimenti ispirati ad una incredibile innologia equestre, si dispongono alcuni sonetti amorosi che variano i temi consueti della lirica erotica secentesca con la serie celebrativa di bella donna a cavallo, di cavallo frenato da bella donna, e simili, ma presentano banali giochi di parole: "Moro per donna mora" (cfr. Per una donna mora) nei quali le elaborate locuzioni del concettismo sono ridotte a formule stereotipate.
Nel coerente svolgimento dei motivi poetici riconducibili alla tradizione barocca, il D. affronta nel suo canzoniere anche la tematica del grottesco, dell'orrido, del satirico, schernendo in uguale misura difetti fisici: "misero scorcio, diminuto aborto" (cfr. Ad un certo nano) e pretese capacità dell'intelletto: "i filosofi son poveri astratti 1 che non giungono ai fatti" (cfr. Ad un certo filosofo astratto). La polemica contro le argomentazioni cavillose, i sofismi, i sillogismi, l'immenso repertorio astratto dell'ormai superato aristotelismo, si connette nel D. con una feroce irrisione dell'"ente di ragione" o "biltri" come l'autore definisce in maniera provocatoria l'oggetto di sterili dispute: "Il disputar se biltri (che l'è niente) / Denoti alcuna cosa o vero niente, / L'è fallace follia da uom da niente" (cfr. Si cava moralità dal biltri).
Le rime della Selva poetica (Napoli 1713) accentuano il carattere pungente e pessimista di una critica che investe, ora. la società contemporanea dove imperversano i pettegoli, gli invidiosi, i giovani oziosi, i legulei cavillosi, i servi arroganti.
Nelle veementi invettive contro un'umanitá sconvolta che ha perduto "la semenza dell'urbana e gentile corrispondenza" (ibid., p. 321) trapela il rancore e il disprezzo di chi assiste impotente al dissolvimento di valori e costumi che avevano contrassegnato un'epoca. A questo atteggiamento passatista del D. si collegano i versi che descrivono la giornata dei nobili e prefigurano alcune sequenze del Giorno pariniano. Il bonario compatimento con cui sono illustrati i nuovi riti della nobiltà (il cioccolato del mattino, la parrucca cosparsa con polvere di Cipro ...) palesa, infatti, una disapprovazione per le futili usanze del Settecento, che non assume mai i toni particolarmente ironici e satirici dell'opera pariniana.
L'Arpa morale (Napoli 1714) rappresentò l'ultima fatica poetica del D. che, con dichiarato fine moralistico, riunì nel volume alcune sentenze parafrasate in versi e sei capitoli d'intonazione sermoneggiante.
Morì a Napoli nel 1715.
II figlio Ettore curò l'edizione postuma della Pietra di Paragone, Opera D. Giuseppe D'Alessandro, duca di Peschiolanciano, divisa in 5 libri, né quali si tratta delle regole di cavalcare, della professione di spada, e altri esercizi d'armi... con l'aggiunta di alcune Rime, Lettere e Trattati di fisonomia, pittura... dedicata alla Cesarea e Cattolica Maestà di Carlo VI Imperatore (Napoli 1723).
Bibl.: G. Gimma, Idea della storia dell'Italia letter., II, Napoli 1723. p. 838; Giornale de letter. d'Italia, XXXVI (1724), pp. 370-373; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, p. 459; E. D'Afflitto, Mem. degli scrittori del Regno di Napoli, I, Napoli 1782, p. 211 ss.; J.-G.-T. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, I, Dresde 1859, p. 68; P. Camporesi, G. D. Poeta barocco tra Seicento e Settecento, in Convivium, n. s.; III (1952), pp. 397-426; Opere scelte di G. B. Marino e dei marinisti, a cura di G. Getto, II, Torino 1962, pp. 43, 86, 92, 465 s.; B. Croce, Nuovi saggi sulla lett. ital. del Seicento, Bari 1968, p. 260; C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1973, ad Indicem.