COLLIGNON (Colignon, Coligon), Giuseppe
Nacque il 2 marzo del 1778 da Vincenzo Collignoni, che era venditore di tabacco per conto regio, e da Barbara Magrot, di origine napoletana, a Castelnuovo Berardenga nel Senese (Romagnoli, 1835).
Molto giovane venne inviato dal padre a studiare pittura all'Accademia di Firenze, dove fu allievo di P. Pedroni, e fu presente alle esposizioni della scuola a partire dal 1793. Venne premiato in quegli anni Per il disegno e per il nudo, e nel 1800 vinse il premio di pittura per il concorso dei quadro a olio con "Giuseppe che... è venduto dai fratelli agli Ismaeliti"(Pinto, 1972). A seguito di tali pubblici riconoscimenti si trasferì a Roma dove fu allievo dell'Accademia, e nel 1803 vinse il primo premio nella prima classe dell'Accademia capitolina del nudo (Roma, Arch. dell'Acc. di S. Luca). L'adesione alle idee neoclassiche, dapprima scolastica, in questo periodo si andò maturando come stile definitivo a contatto con l'ambiente romano dominato dal Camuccini. Aprì anche studio, e nel 1807 cinque suoi scolari furono premiati nei concorsi del Campidoglio (Romagnoli, 1835). Nel 1808 dipinse una grande Deposizione dalla Croce, commissionatagli dal marchese Pavesi, per il duomo di Pontremoli, opera che gli meritò il plauso e una lunga citazione del Guattani (1806-08) che ne riprodusse anche un'incisione dello stesso C. firmata e datata 1807. Nello stesso anno, come attesta sempre Guattani, eseguì a Roma, per la Collegiata di Poggibonsi, il Transito di S. Lucchese, attualmente disperso. Il 7 nov. 1811 venne nominato accademico di merito all'Accademia di S. Luca, insieme con Jacques-Louis David.
Intorno al 1808, il centro delle sue attività si spostava a Firenze; in quell'anno fu eletto professore all'Accadernia fiorentina, dove espose (1809) La morte di Geta, opera dipinta a Roma (Pinto). In questo periodo fu tra gli artisti che dipinsero nel palazzo ducale di Lucca due soffitti: Ilgenio della Legislazione guidato dalla Vigilanza e I figlidi Borea (di quest'ultimo esiste il bozzetto nella Pinacoteca di Lucca, n. 367: S. Pinto, in Ilpalazzo di Lucca, Lucca 1980, pp. 137, 140, 141). All'Accademia di Firenze nel 1810 venne esposto un ritratto di Pio VII del C., omaggio forse al papa in quel momento esule e prigioniero (Romagnoli).
Del 1812 è una grande tela che Dussieux (1856) dice dipinta a Roma: Ilcardinale Baldovino arcivescovo di Pisa, che si reca in Sardegna a trattare di affari con quel podestà, destinata, al duomo di Pisa, ove fu esposta solo nel 1830, a seguito dei grandiosi restauri effettuativi (Serri). Il bozzetto preparatorio è esposto nel Museo nazionale di S. Matteo a Pisa. Nel 1814 il C. terminò il soffitto della "sala di Prometeo" in palazzo Pitti che aveva iniziato a decorare probabilmente appena giunto a Firenze (nel 1832 chiedeva di restaurare gli stessi dipinti: Mostra documentaria e iconografica di Palazzo Pitti..., Firenze 1960, p. 35, nn. 146 s.: Coligon).
Una testimonianza, seppur sfavorevole, ci è lasciata da Hayez (1590) che nel '14 in compagnia dell'amico pittore Cavalieri visitava lo studio del C.: "Il Cavalieri mi introdusse dal pittore Collignon, il quale occupava un ampio studio, composto di vari locali nel convento di S. Maria Novella. Il giorno in compagnia del Cavalleri preparavo le composizioni; a vicenda ci proponevamo dei soggetti e il Collignon ci correggeva; ma egli aveva poca fantasia, e non ci poteva riuscire di grande utilità... a me non piaceva punto per la maniera dura e affettata... e sin da allora presagivo che non sarebbe mai diventato un grande artista". In una letteradel gennaio del 1815 il C. comunica a De Angeli, segretario della nascente Accademia di belle arti di Siena, di star dipingendo a Pitti e di lavorare a un quadro, La morte di Sofonisba. Questa tela, esposta poi a Firenze nello stesso anno, è giudicata dal Saltini (1862) uno dei suoi quadri migliori.
Per tutto il 1815 troviamo (Siena, Archivio dell'ex Accademia di belle arti) una certa corrispondenza tra il C. a Firenze e De Angelis a Siena intorno all'incarico offerto al C. di direttore della nascente Accademia, finché il 23 dic. 1815 un editto firmato dal granduca Ferdinando III istituiva l'Accademia e nominava il C. direttore e maestro di pittura, con 2.500 lire annue e abitazione.
Ci si può fare un'idea su come il C. condusse la scuola e sul tipo di insegnamento che vi impartiva, leggendo il tema che nel '16 diede per un concorso di alunnato: "Il momento in cui Ercole giovinetto, sta per cedere agli allettamenti e alle lusinghe di Edonide, dea della voluttà...", e poi la relazione di merito al quadro premiato con i consigli sulle norme che dovevano governare la composizione di soggetti storici o mitologici: "È necessario il soccorso della storia mitologica, e la cognizione dei poeti, perché senza di questo null'altro diviene la composizione che un ammasso informe di figure che invece di esprimere il soggetto con quella chiarezza, intelligenza, espressione e conservazione dei costumi, arrecano invece confusione e dubbiezza. Con questi studi si giunge ad avere una idea chiara ed esatta delle umane passioni, dell'indole dei popoli, e dei lenti passi fatti dallo spirito umano nelle arti e nelle scienze" (Pignotti, 1916).
Il Romagnoli (1835) ricorda di aver visto lavorare il C. all'Accademia a un quadro per il duomo di Ravenna S. Apollinare fa precipitare il tempio di Apollo, (opera citata, nella descrizione del duomo, da C. Ricci, 1914) e a Una discesa dello Spirito Santo per la chiesa di S. Francesco a Pisa, dove fu posto, dice, nel 1821. A Siena dipinse una tela per la chiesa del Carmine, raffigurante La beata Vergine col Bambino e S. Giuseppe e in S. Agostino lasciò in una cappella I fatti di S. Giuseppe Calasanzio, opera dipinta a Firenze nel '29.
Il Romagnoli fornisce anche notizie particolareggiate sulle numerose ordinazioni private ricevute dal C., sui committenti, sull'ammontare dei pagamenti. Di questi quadri e ritratti abbiamo oggi perduto le tracce, ma basterebbe un'indagine nei salotti o nelle cantine delle case borghesi toscane per rintracciarne un gran numero. Negli anni '25-'26 un suo restauro alla Deposizione del Sodoma in S. Francesco suscitò critiche (Siena, Arch. dell'ex Accad. di belle arti) e ne nacquero polemiche. Alla fine tutto fu messo a tacere e prevalse l'autorità dell'Accademia.
Nell'aprile del 1827 il C. inviò una supplica al presidente dell'istituto "diretta ad ottenere il suo riposo, per gli attuali suoi incommodi di salute" e nel settembre ottenne di ritirarsi con pensione di 1.400 lire annue "che cesseranno quando fosse in altra forma provveduto" (Siena, Arch. dell'ex Accad. di belle arti).
Il Dussieux (1856) parla di un progetto, che il C. concepì intorno al 1820, di pubblicare un'opera su Siena: "Raccolta de più scelti monumenti sì di belle arti, sì di pittura e scultura come di architettura...", ma negli Archivi dell'ex Accademia oggi non se ne trova traccia. Lasciata Siena, con una certa sicurezza economica, il C. riprese la sua attività fiorentina. Nel 1833 tenne a Firenze una mostra antologica dei suoi lavori, ed espose all'Accademia una Morte di Lucrezia (oggi al teatro della Pergola), opera iniziata a Siena, con la quale sperava forse di rinverdire il successo ottenuto parecchi anni prima con la Morte di Geta. In realtà era un superato, continuava a trattare di storia antica e a dipingere in una maniera rigorosamente neo classica: "Attese all'arte con assai amore, ma seguitò gli esempi delle vecchie scuole piuttosto che quelli dei suoi coetanei" (Saltini, 1862). Nel 1842 donò agli Uffizi il suo Autoritratto. È un'opera dei suoi anni migliori, i primi anni del secolo: il C. è rappresentato con in mano un volume della vita di Plutarco, con evidente allusione al clima morale "eroico" dei neoclassicismo di stampo francése che conobbe e condivise a Roma (S. Pinto, in Gli Uffizi. Catal. gen., Firenze 1979, p. 843).
In una guida di Firenze del 1844, nell'elenco dei più noti pittori e scultori, lo troviamo abitante in via Maggio nel palazzo degli Sportici; la sua reputazione quindi teneva ancora, ma da quel momento se ne perdono le tracce fino alla morte avvenuta a Firenze il 10 febbr. 1863.
Fonti e Bibl.: Siena, Ist. d'arte "Duccio di Buoninsegna", Arch. dell'ex Accad. di belle arti, fasc. G. Collignon; Roma. Arch. dell'Accad. di S. Luca, Registri delle Congreg. degli Accad. di S. Luca, n. 33 bis, marzo 1803; n. 56, ff. 127v, 128v, 130v; G. A. Guattani, Mem. encicl. romane..., II, Roma 1806-1808, pp. 105, 106; P. Serri, La primaziale pisana nuovamente descritta in occas. del solenne riaprimento..., Pisa 1830, p. 29; E. Romagnoli, Biografia cronol. di bellartisti senesi [1835], Firenze 1976, XII, pp. 583-604; Id., Cenni storici artistici di Siena, Siena 1836, pp. 35, 106; F. Fantozzi, Nuova guida... di Firenze, Firenze 1844, pp. XII, 643; L. Dussieux, Les artistes franç. à l'étranger, Paris 1856, pp. 97, 427, 458, 510; E. Saltini, Le arti belle in Toscana..., Firenze 1862, p. 57; F. Hayez, Le mie memorie, Milano 1890, p. 32; P. Bologna. Artisti... pontremolesi, Firenze 1898, p. 99; P. Marmottan. Les arts en Toscane..., Paris 1901, pp. 10, 68, 202; C. Ricci, Guida di Ravenna, Ravenna 1914, p. 32; G. Pignotti, Ipittori senesi della fond. Biringucci, Siena 1916, pp. 53, 54; S. Pinto, in Cultura neoclassica... nella Toscana granducale (catal.), Firenze 1972, pp. 115, 191; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 228 (con bibl.).