CIVITALI, Giuseppe
Nacque a Lucca nel 1511 da Masseo e da Maria Moriconi (fu battezzato il 3 febbraio).
La sua famiglia, originaria di Cividale del Friuli, si era trasferita nella città di Lucca all'inizio del Quattrocento e vi aveva assunto la residenza definitiva nel 1410. Nella repubblica gli antenati del C., pur rimanendo per tutto il XV sec. estranei alla vita politica ed esclusi da ogni carica di governo, erano tuttavia riusciti ad acquistarsi una certa fama nel campo dell'arte.
La notorietà di alcuni membri non apportava tuttavia modificazioni di rilievo nella base economica e nella collocazione sociale della casa, che rimaneva, nel Quattrocento e nel Cinquecento, esclusa da ogni incarico pubblico e situata in quel ceto artigiano non particolarmente agiato che comprendeva una fascia piuttosto numerosa della cittadinanza lucchese.
La situazione economicamente piuttosto precaria del ramo della famiglia a cui apparteneva anche il C. veniva aggravata dalla morte di Masseo che lasciava alla moglie tre figli ancora in tenera età: Ilaria, nata nel 1504, Bartolomeo, nato nel 1508, e Giuseppe. Il C., nella introduzione alle sue Storie, avrebbe ricordato a distanza di molti anni "la povertà di che non mi vergogno, nella quale restai nell'acerba età privo del genitore, interponendosi la morte" (Lucca, Biblioteca governativa, Manoscritti, 3319, c. 7v) e la necessità di posporre la sua "inclinatione naturale" (ibid.) per le lettere e la retorica ai vantaggi economici di un'attività più redditizia. Si applicava infatti allo studio della geometria e dell'agrimensura pur dedicando una parte dei suoi "otii" alla "Rettorica dell'Oratoria, il vago, ornato, et elegante stile, le quali io veramente desidererei d'avere" (ibid.).
Nella giovinezza il C. era testimone dei grandi avvenimenti politici - quali la rivolta degli straccioni, l'arrivo di Carlo V a Lucca, la congiura del Fatinelli - che si verificavano nella sua città e che egli avrebbe ampiamente descritto in seguito nelle Storie. Altri componenti della famiglia partecipavano personalmente agli eventi che agitavano la vita lucchese nel Cinquecento. Bartolomeo, forse il fratello, aderiva alla rivolta degli straccioni e, costretto a lasciare la città dopo la repressione del movimento popolare, veniva condannato in contumacia. Probabilmente anche il cugino Nicolao fu coinvolto in quatche modo nei tumulti. Infine un altro personaggio della famiglia che nel corso del secolo doveva lasciare Lucca era Matteo di Niccolò - definito come "un pessimo arnese" dal Baroni (ibid., 1110, c. 548) - che, nel 1562, venne bandito dalla città per avere aderito alle idee riformate. In queste vicende, che dividevano la popolazione lucchese e che coinvolgevano anche la sua casa, la posizione del C. era piuttosto quella di un osservatore rispettoso dell'autorità costituita; ma cosciente delle ragioni degli sconfitti, che di un personaggio politicamente impegnato. Il sue rispetto per l'autorità, che avrebbe manifestato nelle Storie, doveva essere in gran parte rinsaldato dai frequenti rapporti che aveva con gli organi di governo e dai numerosi incarichi che otteneva come geometra ed agrimensore. Tommaso Trenta ricorda fra i "gravissimi affari" (Memorie e documenti, VIII, p. 80) nei quali il C. fu impiegato dagli Anziani la definizione dei confini fra la Repubblica e lo Stato estense, che era stata motivo di controversie fra i due Stati. Nel 1553 partecipava alla compilazione di un terrilogio dei beni pubblici del Comune. Nel 1560 era incaricato insieme con altri di compiere la misurazione del padule di Sesto. Probabilmente l'opera maggiore del C. come geometra fu tuttavia la carta topografica della città "dipinta in grande con la distinzione delle case" (Lucca, Bibl. govern., Manoscritti, 1110, c. 551), che venne donata agli Anziani e posta nella sala del Consiglio.
Il C. si era sposato nel 1544con Maddalena di Leonardo Pagnini, che gli aveva portato la dote di 250 scudi. Glianni successivi al matrimonio rappresentavano un periodo di relativa affermazione economica del C., forse resa possibile dai frequenti incarichi ottenuti dal Comune negli anni '50. Nel 1550 (26 agosto) acquistava appezzamenti di terra a Segromigno. Nel 1557 otteneva da un Niccolò della sua stessa famiglia, da Annibale Nobili e Girolamo Minutoli, un livello di terreni presso Gragnano. Nel 1566 otteneva in permuta da Michele Diodati un podere in Gragnano. Infine seguiva nel 1568 l'acquisto di una casa in Lucca.
Ai miglioramenti nella base patrimoniale corrispondevano anche legami sociali con esponenti dei ceti più agiati. Il figlio del C. Masseo, nato nel 1547, si sposava nel 1568 con Giuditta di Giovan Battista Arnolfini ricevendo la dote di 720 scudi. La figlia, Bartolomea, si univa ad Ambrogio Pucci.
E C. morì a Lucca il 9 marzo 1574 lasciando erede il figlio Masseo e disponendo di esser seppellito nella cappella di famiglia in S. Maria Forisporta.
La sua fama è legata alla composizione delle Storie di Lucca alle quali egli dedicò, gran parte del suo tempo sacrificando spesso anche i "negotii utili per correr rischio di riportarne infamia in vece di guadagno e d'onore" (ibid., 3319, c. 8r). A probabile tuttavia che le Storie non fossero l'unica opera letteraria del Civitali. Il Lucchesini ricorda infatti alcune composizioni sulle torri di Lucca, sugli edifici pubblici e privati, e sulle famiglie, che andarono perdutedopo la morte dell'autore. L'inizio della stesura dell'opera, che tenne il C. occupato fino alla morte, fu certamente anteriore al 1558. A tale data gli Anziani parlavano infatti dell'impegno del C. come di un'"impresa honorabile", pur sottolineando la necessità di "persone le quali vedesseno l'opera" (Arch. di Stato di Lucca, Anziani, 424, c. 121v).
Nelle intenzioni dell'autore la trattazione della storia di Lucca doveva arrivare fino al 1521. "Mosso però da qualche honesta, e ragionevol cagione, et ancor che la più parte delli scrittori sogliono narrare le occorrenze del tempo loro" (Lucca, Bibl. govern., Manoscritti, 3319, c. 555v), il C. decideva in seguito di tracciare anche le vicende della propria epoca per poter provvedere in modo più completo all'istruzione politica dei cittadini e dei governanti, che veniva considerata sin dalle prime pagine il compito dello storico: "l'historie sono giovevoli, e necessarie all'istruzione della vita, saranno per conseguenza utilissime a i Governatori di questa Repubblica, imperocché elle insegnano senza dubbio non solo regger se stesso, ma il modo di comandare con prudenza ad altri" (ibid., c. 2r).
Nonostante che sin dall'introduzione l'autore parli del suo "poco valore" (ibid.) e della necessità di considerare l'opera come un semplice abbozzo di trattazione per gli storici futuri, la base documentaria e i riferimenti a storici dell'antichità greca e latina e a cronisti testimoniano l'ampiezza dell'impegno e la lunga applicazione del Civitali. Sin dall'inizio appare inoltre significativa la scelta di adottare l'uso del volgare nella composizione delle Storie "imperò che sono molti, che per diverse cagioni non hanno dato opera allo studio delle lettere greche e latine, e per altro d'alta mente, e sano ingegno dotati, che sarebbe cosa empia il privarli di così util notitia, qual è l'intelligenza di tante degne compositioni, e delli documenti dell'istorie" (ibid., c. 8rv).
Il volume, che comprende la storia di Lucca dalle origini al 1572, si divide in sei parti. Nelle prime cinque, in cui, come è stato notato, sono contenute varie inesattezze, vengono trattate le vicende della città fino al 1521. Solo nella sesta sezione, la più interessante, sono esaminati gli avvenimenti contemporanei come la congiura dei Poggi, gli effetti della carestia del 1527, la rivolta degli straccioni, l'entrata di Carlo V in Lucca.
L'interesse dell'opera, e soprattutto della parte dedicata alle vicende di cui l'autore era stato testimone, risiede, oltre che nell'ampiezza delle notizie raccolte dal C., nel fatto che l'esame della storia cinquecentesca si differenzia dalle trattazioni dei contemporanei cronisti di estrazione nobiliare ed offre il punto di vista del ceto artigiano agiato. Èstato notato, ad esempio, come, nella narrazione della rivolta degli straccioni, il C. "condanna fermamente le violenze cui gli Straccioni si sono abbandonati, ma non manca per questo di comprendere con simpatia il malcontento delle famiglie "comode" e la loro iniziale adesione alla protesta dei tessitori" (Berengo, p. 274).
Per quanto concerne l'esame della politica estera manca nel C. un'attenzione alle vicende internazionali che non appaia sempre in funzione dello svolgimento della politica interna lucchese. Anche le valutazioni espresse sui conflitti europei, e in particolare su quello tra Francia e Impero, aderiscono sempre a quelle del governo della Repubblica.
Dopo la morte del C. il manoscritto autografo delle Storie fu fatto ricopiare, intorno al 1620, da Daniello De' Nobili, che ricostituì l'unità dell'opera, la quale si trovava, lacera, e dispersa per le mani di varie persone (Lucca, Bibl. govern., Manoscritti, 3319, c. 694v). In seguito l'originale del C. passò a "Giuliano Pucci, uno delli Heredi del Civitale, che "se lo fece l'anno 1624 mandare nello stato di Parma dove serviva quei prencipi serenissimi" (ibid., c. 695v). Dal manoscritto del De' Nobili furono tratte numerose copie nel Seicento e nel Settecento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Comune di Lucca,Beni e fabbriche pubbliche, 1; Ibid., Comune di Lucca,Offizio sopra i paduli di Sesto, 42, 43; Ibid., Archivio Guinigi, 38; Ibid., Manoscritti, 38; Ibid., Arch. Sardini, 22 (copia settecentesca delle Storie); Ibid., Anziani, 424, c. 12rv; Lucca, Bibl. govern., Manoscritti, 1110: G. V. Baroni, Norizie geneal. delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), cc. 543-556; ibid., 3299, n. 5; oltre al citato manoscritto delle Storie appartenuto al De' Nobili (ibid., 3319) esistono numerose copie e sunti dell'opera del C., ibid., 102, 184, 336, 837, 843, 846, 876, 893, 1545, 1636, 284, 3163; T. Trenta, Mem. intorno alla famiglia dei Civitali, in Mem. e docc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, pp. 53-86; G. Lucchesini, Della storia letter. del ducato lucchese,ibid., IX, Lucca 1825, p. 197; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC, in Arch. stor. ital., X (1847), pp. 4, 7, 8; E. Ridolfi, L'arte in Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 237, 293; G. Volpi, Carlo V a Lucca nel MDXXXVI, Lucca 1892, pp. 19, 27, 29, 77 ss., 81, 83, 87, 92 (rec. di G. s., in Arch. stor. ital., s. 5, X [1892], pp. 235-236); G. Sardi, La cerimonia del Vescovino negli antichi costumi lucchesi, in Arch. stor. ital., s. 5, XXX (1902), p. 394; G. Carocci, La rivolta degli Straccioni in Lucca, in Riv. stor. ital., LXIII (1951), p. 42; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, ad Indicem.