CERVI, Giuseppe
Nacque a Parma il 14 ott. 1663 da Carlo e Orsola Grassi, in una famiglia agiata, che fu in grado di fargli compiere gli studi nel locale collegio dei gesuiti, dove ebbe come maestri F. Fontana e F. Grandi per le lingue classiche e A. Santi per la filosofia.
Quest'ultimo gli dette una formazione tipicamente scolastica, forte dellaquale il C., non ancora ventenne, sostenne una pubblica "difesa di logica, fisica e metafisica" (Theses ex universa Philosophia qua ex Acad. Parmen. Soc. Iesu sub faustissimis auspiciis Illustriss. ac Reverend. P. D. Thomae Saladini episcopi,comitis..., publice propugnandas proponit Iosephus Cervius Parmensis, Parmae 1683). Come tutti i giovani studiosi del periodo il C. risentì però presto gli effetti dell'ondata sperimentalista e antiscolastica che a partire da suggestioni galileiane e straniere premeva anche la provincia culturale, e si interessò particolarmente al cartesianesimo, traendone l'impulso a studiare più a fondo la matematica e la fisica (coltivò in particolare l'idrostatica); come maestro negli studi matematici e astronomici ebbe il padre Giovanni Mancini, e già nel luglio del 1683 poteva affrontare nella cattedrale di Parma un secondo dibattito pubblico su argomenti matematici (Aenergica magnarum coniunctionum panurgia. Problema Physico-Theologico-Astrologicum a I. Cervio in Universitate Parmensi Societatis Iesu mathematicarum auditore expositum,propugnatum et dicatum Illustrissimo ac Excellentissimo D. D. Co. A. Sanvitali cum auctario Thesium ad Systema Telluris immotae pertinentium, Parmae 1683). Entrambe le "difese" testimoniano una fase sincretistica, di passaggio dalla cultura peripatetico-umanistica allo sperimentalismo e meccanicismo rigorosamente intesi, propria degli ambienti accademici del tardo Seicento.
Secondo l'Ortega, in gioventù il C. coltivò anche la poesia, ma non pare che alla notizia si possa dare un significato preciso che vada oltre la consuetudine dell'epoca per le esercitazioni poetiche a fini stilistici; in realtà, giunto al momento della scelta universitaria, egli optò per la facoltà di medicina, quella che più agevolmente poteva consentire di collegare i suoi interessi scientifici con un'utilizzazione professionale. Nella facoltà medica di Parma era allora preminente la figura di Pompeo Sacco, il quale, notate le spiccate attitudini del giovane, gli permise di ridurre la durata quadriennale dei corsi a due anni facendolo laureare nel gennaio del 1685; in seguito lo terrà vicino a sé e si varrà del suo consiglio. Il C. iniziò la professione accettando la condotta a Castell'Arquato, ma proseguendo gli studi a livello teorico-scientifico. Alcuni anni dopo, rimasta vacante una cattedra di filosofia a Parma, il governo ducale ve lo chiamò, consentendogli poi alla morte del Liberati, lettore di medicina, di succedergli. Nel luglio del 1713 fu ammesso nel Collegio medico di Parma e infine, morto il Sacco, lo sostituì come professore primario di medicina e protomedico di casa ducale, ottenendo anche lo stato nobiliare per sé e per i discendenti: sembrò così destinato a seguire la carriera del maestro.
Degli anni d'insegnamento a Parma ci è noto solo il criterio didattico di fondo, che coerentemente con la tendenza dominante del periodo aspirava a trattare in modo analitico-matematico la problematica filosofica, tentando anche l'applicazione di modelli quantitativi e meccanici ai fenomeni biologici, secondo l'ottica iatromeccanica di derivazione borelliana; in questo volgere di tempo il C. venne anche allacciando ampi rapporti con gli ambienti culturali e scientifici di tutta Italia.
La vita del C. subì una netta e imprevedibile svolta quando Elisabetta Farnese, figlia del duca di Parma e sua estimatrice, avendo sposato nel 1714 il re di Spagna Filippo V, lo volle a Madrid come medico personale. Dopo qualche esitazione egli finì con l'accettare, trasferendosi nel 1717 nella capitale spagnola; da puro studioso di medicina in una università di provincia divenne così personaggio di spicco in una delle principali corti europee, con tutte le implicazioni politiche e di costume che ciò comportava. Il C. si adattò alla sua nuova condizione con grande abilità e finezza, dimostrando che più che nel campo della pura ricerca le sue doti migliori si situavano nella pratica e nell'attitudine agli aspetti organizzativi della professione medica. La sua carriera procedette con sorprendente continuità e sicurezza: nel 1720 divenne protomedico di Castiglia e membro del protomedicato regio; nel 1724 consigliere del re e nel 1729, morto l'inglese J. Higgins, protomedico della persona di Filippo V, presidente del protomedicato regio, degli organi sanitari dell'esercito e di quelli della Catalogna.
A questa ascesa senza dubbio sorprendente per uno straniero, oltre alle sue indubbie capacità e alla protezione della Farnese, giovarono le doti politiche del C., che appaiono rilevanti: con un contegno di granderiservatezza, ma attento a fatti e persone, riuscì nel complesso problema di non farsi coinvolgere in personalismi e giochi di fazione, senza per questo rischiare l'isolamento e la conseguente oscurità; ebbe insomma l'abilità di far apparire contegno e comportamento da puro tecnico quello che era il risultato d'un consumato giudizio politico.
Già attorno al 1730 la sua notorietà era diffusa a livello europeo: Parma gli dedicò due iscrizioni elogiative, una delle quali, nel palazzo pubblico, dovuta al Frugoni; in suo onore furono coniate alcune medaglie, e Carlo di Borbone, assunto il ducato in luogo dei Farnese, con decreto del 30 giugno 1732 esentò da qualsiasi esazione fiscale i beni che il C. aveva in patria. Nel 1736 fu ammesso nella Royal Society e nel 1739 nell'Accademia delle scienze di Parigi, in luogo del defunto Boerhaave. L'aspetto più notevole dell'attività del C. in Spagna fu il suo contributo all'organizzazione delle strutture sanitarie, sia in direzione della ricerca sia in quella della normale pratica clinica. Già nel 1729, trovandosi la corte a Siviglia, egli venne in contatto con la società medica locale, che cercava di tenere il passo della ricerca estera pur tra difficoltà finanziarie e quelle derivanti dal sordo tradizionalismo accademico e confessionale; intervenne allora con successo presso il re perché dotasse la società d'un appannaggio, così da consentirle di svolgere il suo lavoro in modo ampio e continuativo. Come presidente del protomedicato regio, investito di delicati problemi legislativi e organizzativi, agì in modo da rivitalizzare quell'istituto, e nel 1733 realizzò la stesura delle sue nuove leggi e costituzioni. Nel successivo 1734 patrocinò attivamente il progetto della costituenda Accademia medica di Madrid, della quale fu anche il primo presidente; primo frutto del lavoro dell'Accademia, volto a ridurre il ritardo della Spagna nella conoscenza teorica così come in quella della situazione sanitaria del paese, fu una grande compilazione farmacologica, la Pharmacopea Matritensis, edita a Madrid nel 1739. Diverse fonti ne indicano il C. come autore, ma ciò è da escludere, com'è anche provato da un'epistola dedicatoria a lui diretta dagli accademici e premessa al testo; con ogni verosimiglianza egli seguì la preparazione dell'opera, e forse contribuì con consigli e suggerimenti, senza che il suo contributo andasse oltre: certo è che l'Accademia vorrà ringraziarlo anche col dedicargli il nome di una pianta, detta appunto Cerviana, scoperta da Juan de Minuart lungo il Manzanarre. Come a Parma, così anche in Spagna il C. non volle, o non poté, dedicarsi con impegno alla ricerca o condensare in libri le sue esperienze; secondo l'Ortega negli anni spagnoli ciò gli fu reso del tutto impossibile dai molteplici impegni, anche se il C. aveva raccolto in vari manoscritti le minute di consulti, osservazioni cliniche e orazioni accademiche. Lo stesso Ortega giudicò questo materiale di un certo interesse, e forse meritevole della pubblicazione, anche se lasciato in stato di abbozzo; esso rimase invece inedito, e in seguito non si trova menzionato in altre fonti.
Dopo il 1740 lo stato di salute del C. cominciò a declinare, con un indebolimento generale che agì in particolare sulla sua capacità di movimento; nel 1746 la morte di Filippo V, col cui regno s'era identificato un intero periodo della sua vita, lo colpì dolorosamente, e lo stato di prostrazione andò accrescendosi, nonostante la benevolenza mostratagli anche da parte del nuovo re Ferdinando. Morì a Madrid il 25 genn. 1748 e fu sepolto nel monastero di S. Girolamo all'Escorial.
Era vissuto celibe, conducendo un'esistenza sobria e appartata e costituendo un patrimonio ragguardevole, al quale attinse per opere di pietà e di religione, oltre che di mecenatismo scientifico; le Novelle letterarie del 1749, nel dare la notizia della sua morte, scrissero che aveva lasciato all'unica erede, una nipote residente a Parma, un patrimonio valutato attorno ai tre milioni e mezzo di piastre, il più alto mai accumulato da un medico, superiore anche a quello del "famoso opulentissimo Boerhave".La ricca biblioteca andò invece alla Società medica di Siviglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Parma, Studio,Registro dello Studio, 1711-12, f. 7; Ibid., Registro dei Mandati, p. 11; F. X. Gonzales, Oración funebre del Sr. doct. D. Joseph C. caballero parmense,cathedratico de eminencia..., Sevilla 1748; J. Ortega, Elogio histor. del señor doctor D. J. C. a la Real Academia Medica Matrinense..., Madrid 1748; Novelle letterarie di Firenze, X (1749), col. 79; I. Affò-A. Pezzana, Mem. d. scritt. e lett. parmigiani, VII, Parma 1833, pp. 20-26; G. B.Ianelli, Diz. biogr. dei parmigiani..., Genova 1877, p. 111; P. A. Saccardo, La botanica in Italia..., in Mem. del R. Ist. veneto di scienze,lettere ed arti, XXV (1895), p. 49; XXVI (1901), p. 30; M. Varanini, P. Sacco e la sua scuola, Fidenza 1931, p. 8.