CASTINELLI, Giuseppe
Nacque da Giovanni, figlio di Giuseppe Antonio, di Livorno, e da Vigilia de Maret, in Pisa il 14 maggio 1763. Dopo essere stato convittore dal 1771 al 1778 nel seminario e collegio vescovile della città di Pistoia, dove, negli anni 1777 e 1778, frequentò corsi di logica, metafisica e fisica tenuti da Tommaso Comparini, s'iscrisse alla fine del 1778 all'università di Pisa, quale "scolare legista". Frequentò i corsi universitari per quattro anni, fino al maggio del 1782, quando chiese e ottenne la dispensa dal quinto anno; dagli attestati di frequenza, rilasciati dai professori e allegati alla sua domanda, risulta che seguì i corsi di Lorenzo Tosi (negli anni 1778-80, 1781-82), di Francesco Foggi (1779-80, "instituzioni canoniche"), di Migliorotto Maccioni (1780-81, "straordinaria civile"), di Francesco degli Albizzi (1781-82, "ordinaria canonica"), di Antonio Giorgi ("lezioni d'ordinaria civile nel presente anno scolastico 1781, e 1782, fino al primo marzo"), di Bartolommeo, Francesco Pellegrini ("dopo il principio di marzo" del 1782, "ordinaria civile"). Compiuti gli studi, proprio negli anni in cui frequentava l'università pisana anche Filippo Buonarroti, il C. cominciò a svolgere la sua attività nello studio legale del padre, "procuratore della Curia di Pisa specialmente nelle cause marittime, e mercantili di Livorno" (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, 1799, prot. 24, n. 36): nel 1784, ad esempio, difendeva gli interessi del proposto Antonino Baldovinetti.
Il C. sposò Tommasa Fabbretti ed ebbe vari figli: Giovanni, che seguì malvolentieri la professione di avvocato (Antologia, t. XXIII [1826], pp. 190-93),morto a Pisa il 1º ott. 1826;Ridolfo, ingegnere, morto a Pisa il 27 marzo 1859; Francesco, chirurgo, scomparso giovanissimo il 7 giugno 1824;Giuseppa, sposatasi a Pisa a ventun anni, il 22 sett. 1819, con Pietro Studiati.Durante gli anni precedenti all'ingresso delle truppe francesi in Toscana dovette via via maturare nel C. un atteggiamento favorevole alle idee d'Oltralpe, atteggiamento che ebbe modo di apparire abbastanza chiaro intorno al 1794-95 e che può essere ricostruito sulla base di deposizioni rilasciate nel 1799 contro i "patrioti" pisani (Arch. di Stato di Pisa, Carte Manzi, busta IV, fasc. I).
Per esempio, Vittorio Ceccatelli, "impiegato nell'ufizio dei Lotti di Pisa, e... anche giovine di studio" dell'avvocato Giovanni Castinelli da "circa sei anni",affermò che "nei primi tempi... non vi era alcuna voce pubblica che il dottore Giuseppe potesse essere partitante francese, ma circa un anno o due dopo si principiò a spargere la voce per Pisa che in casa Castinelli si tenessero dei discorsi democratici, e ciò perché vi frequentavano assiduamente Leopoldo Vaccà, Andrea suo fratello, e il dottore Francesco suo padre, quale era medico di casa, e il detto Andrea era servente della Signora Tommasa..., e di fatto si faceva... conversazione tutte le sere..., e vi andava anche Tito Manzi"; conversazioni si svolgevano anche in casa Mantellassi, dove andavano Francesco Maria Gianni quand'era in Pisa, lo stesso C., Bartolommeo Lazzerini; quest'ultimo lavorava nello studio Castinelli, dove, pure, gli amici "discorrevano di novità di guerre, e leggevano continuamente delle Gazzette Francesi, e specialmente il Monitore, e altri fogli forestieri, come il Redattore di Genova"; inoltre, intorno al 1797, si aggregò agli altri Filippo Mazzei, "forestiere, che sta in Pisa, in via Cariola, quale aveva allora diverse piccole cause al detto studio, ma queste terminarono presto, ed esso continuava a venire... alle volte portava dei fogli che parevano lettere, e quelle le leggevano in disparte... fra di loro parlavano francese" (cc. 24-26). Sempre nel 1799 il bargello di Pisa, Andrea Fabbrini, denunziò che il Manzi, Luigi Certellini, il Lazzerini, il C., Leopoldo Vaccà, Iacopo Nardi, Andrea Agostini, all'"ingresso delle Truppe Francesi..., si videro... esser giulivi, darsi moto, e festeggiare",e "con ragione",dato che essi, "cogniti al Governo Francese per acerrimi democratici..., furono destinati per Municipalisti di questa Città" e prestarono "nel pubblico Salone il giuramento di fedeltà" (cc. 1-2).
Poco prima di tali avvenimenti, accaduti a metà aprile 1799, il C. pubblicò un opuscolo intitolato Prudente consiglio ai Toscani, discorso I, che uscì senza indicazione di tipografia e con la sola menzione dell'anno (1799) ma che fu pubblicato in realtà a cura di uno stampatore pisano particolarmente attivo, Antonio Peverata (Arch. di Stato di Pisa, Carte Manzi, busta IV, fasc. I). L'ipotesi del Luzzati (pp. 476 s.) è, quindi, confermata: il lavoro del C. fu edito a Pisa, ed uscì dopo il 29 marzo (Carte Manzi, IV, fasc. I, c. 17v) e prima del 5 aprile (ibid.,busta V).
L'opuscolo è suddiviso in cinque capitoli: nel primo l'autore afferma che la rivoluzione avvenuta in America e poi in Europa, dove il popolo francese ha spezzato, per primo, le "catene che lo inceppavano",è un moto inarrestabile, maturato dopo secoli di oppressione. Opporsi a esso significa "allontanare il godimento dei vantaggi che deve produrre" senza giovare, del resto, a cause ormai perdute: "ogni amico degli uomini" deve perciò aderire alla rivoluzione per cooperare nell'interesse di tutti alla pubblica felicità. Auspica, quindi (cap. II), una soluzione repubblicana unitaria per l'Italia o, nel caso di una opposizione da parte di forze francesi retrive, "due o tre vaste repubbliche" democratiche confederate: tali soluzioni avrebbero dovuto risollevare la sorte dell'Italia oppressa e divisa da tanto tempo, anche per opera "di un principe mitrato... che ha fomentata sempre la discordia". Egli esamina poi (cap. III) la situazione della Toscana, tessendo un elogio di Pietro Leopoldo e del suo governo; le riforme attuate da quel principe furono però sconvolte da Ferdinando III. Pietro Leopoldo, tuttavia, fu anche un tiranno; invece con il sistema repubblicano e democratico si sarebbe realizzata, con il concorso di tutti, la pubblica felicità, consistendo "il massimo bene... nella massima uniformità e consonanza della volontà generale dei cittadini". Quindi, esaltazione sì del governo leopoldino, inteso però come punto di partenza per la ripresa di un vero programma rinnovatore che doveva essere sostenuto dalle conquiste dell'epoca rivoluzionaria.
In seguito alle sconfitte francesi del 1799 il C. riparò in Francia e tornò in Toscana dopo l'occupazione francese del 1800; in una lettera inviata da Parigi alla consorte che l'aveva preceduto a Pisa a causa della morte del Mantellassi, suo patrigno, il C. l'avvisava che sarebbe rientrato presto in patria "per amor tuo a dispetto del mio amore per la tranquillità che qui godo" (Livorno, Bibl. Labronica, Autografoteca Bastogi, cass. 24,ins. 910). Negli anni seguenti egli, oltre ad esercitare la professione e a occuparsi della famiglia, e in particolare dell'educazione dei figli, non sembra essersi dedicato alla vita politica; già nel 1810 pare che non godesse buona salute (lett. di Ridolfo al padre, da Parigi, 1ºagosto, ibid.,ins. 908);ma il fatto che i suoi figli abbiano studiato a Parigi, che Francesco sia stato medico nelle armate napoleoniche, che abbia, seppure inutilmente, tentato di convincere Giovanni a intraprendere una carriera nella pubblica amministrazione, può far pensare che i rapporti del C.con l'ambiente napoleonico fossero buoni; forse non furono cattivi neppure con quello della Restaurazione (lett. a Francesco, da Livorno, 24 maggio 1814, ibid.,ins. 910), anche se, da rapporti di polizia stesi nel luglio del 1817, appare una sorveglianza delle autorità su alcuni luoghi di riunione in Pisa, quali la bottega di speziale Mantellassi o la stamperia Peverata, dove erano soliti ritrovarsi, tra gli altri, il C.,G. B. Ruschi, il conte Agostini (Arch. di Stato di Firenze, Buon Gov. Segreto, 1816-18, filza 11).
Il C. si spense a Pisa il 30 ott. 1818.
Fonti e Bibl.: Pisa, Arch. della parrocchia della Primaziale pisana, Libro di lettera K, p. 239b (atto di nascita); Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, anno 1799, serie affari, prot. 24, n. 36; Stato civile toscano, morti, anno 1818, reg. 7, Pisa, n. 858; ibid.,anno 1824, reg. 67, Pisa, n. 351; ibid.,anno 1826, busta 410 di duplicati, Pisa, ins. 2107; ibid., anno 1846, filza n. 1572, Pisa, n. 480; ibid.,anno 1859, filza 2127, Pisa, n. 287; Stato civile toscano, matrimoni, anno 1819, reg. 12, Pisa, n. 186; Stato civile toscano, censim. del 1841, Pisa, S. Matteo, pacco 12151 (Tommasa è indicata come "proprietaria"); ibid., Pisa, S. Cosimo e Damiano, pacco 12150, dove è registrata la famiglia di Ridolfo; ibid., Pisa, S. Ferdinando, pacco 12150; Buon Governo Segreto, anni 1816-18, filza 11, affare 180; Acquistie doni, 146; Firenze, Bibl. nazionale, Efemeridi manoscritte di G. Pelli, s. 2, anno 1799, t. XXVII, cc.7431 ss. Nei Carteggi della stessa Biblioteca si trovano lettere di Giovanni e Ridolfo Castinelli; Arch. di Stato di Pisa, Università, regg. 64-67, 121 (cc. 247 ss.); Carte Manzi, buste IV, fasc. I, e V; Livorno, Bibl. Labronica, Autografoteca Bastogi, cassetta 24, inss. 908, 910, 911; F. Mazzei, Mem. della vita e delle peregrinazioni...,a cura di A. Aquarone, II, Milano 1970, p. 412; L. Vaccà Giusti, A. Vaccà e la suafamiglia, Pisa 1878, pp. 77, 79 s., 111; F. Tribolati, Conversazioni di G. Rosini, Pisa 1889, pp. 48, 57-61; C. Lupi, Notizie biogr. di T. Comparini, Pisa 1894, pp. 8 ss.; A. Baretta, Le società segrete in Toscana nel primo decennio dopo la Restaurazione, Torino 1912, pp. 42 s.; R. Mori, Il popolo toscano durante la Rivoluz. e l'occupazione francese, in Arch. stor. ital., CV(1947), p. 144; E. Passerin d'Entrèves, La società toscanaintorno al 1799, in Quaderni di cultura e storiasociale, I (1952), pp. 27 ss.;E. Massart, T. Manzi professore nell'Università di Pisa (1793-1801), in Boll. stor. pisano, XXXIII-XXXV(1964-66), pp. 332 s.; S. Tognetti Burigana, Tra riformismoilluminato e dispotismo napoleonico, Roma 1965, pp. 12 ss.; M. Luzzati, Orientamenti democraticie tradiz. leopoldina nella Toscana del 1799: la pubblicistica pisana, in Critica stor.,VIII(1969), pp. 476 s.; G. Turi, "Viva Maria", la reazione alle riforme leopoldine (1790-99), Firenze 1969, pp. 179-184.