CASELLA (Cassella), Giuseppe
Nacque a Cusano Mutri (Benevento) nel 1755. Già nel compiere gli studi elementari mostrò notevoli doti intellettuali, cosicché i genitori lo inviarono a studiare nel seminario diocesano di Cerreto Sannita, ove seguì proficuamente gli studi letterari, ma fu attratto particolarmente dalla scoperta delle materie scientifiche. Concluso il seminario e tornato per circa un anno al paese natale, il C. seguitò - per suo conto a studiare matematica, finché la posizione di isolamento culturale in cui si trovava gli fece sentire l'esigenza di un ambiente più vario e stimolante, inducendolo a recarsi e Napoli; qui fu entusiasmato dalle novità emergenti nel inondo intellettuale, e continuò ad impegnarsi a fondo negli studi. Per compiacere i genitori si era iscritto ai corsi universitari di diritto, ed era perciò costretto a dedicare alle scienze le ore notturne; i suoi originari interessi per la matematica si precisarono poi in direzione dell'astronomia per l'incontro coi professore di tale materia all'università, Felice Sabatelli. Nel secondo Settecento Napoli non aveva ancora un vero osservatorio, e i suoi contatti con i centri europei della ricerca astronomica erano piuttosto tenui, cosicché il C. pensò di compiere un viaggio a Londra per informarsi di persona sugli sviluppi più recenti. Iniziato il viaggio con una sosta a Venezia, egli compì poi una digressione per Padova, prendendo contatto coi docenti dell'ateneo locale; gli amministratori di questo, anzi, accertatene le doti culturali, chiesero al C. di restare nella città offrendogli la cattedra di matematica o seminario, ed in prospettiva quella universitaria. Dopo alcune incertezze il C. rinunciò al proprio viaggio ed accettò; ma aveva appena iniziato la nuova attività che il governo napoletano, alla ricerca di insegnanti di materie scientifiche per le scuole superiori del Regno, lo invitò a tornare in patria, cosa che egli fece non senza rimpianto per l'ambiente favorevole che Padova offriva al suo lavoro.
Tornato a Napoli verso il 1785 fu dapprima nominato professore d'astronomia nel collegio della marina, poi di meccanica in quello d'artiglieria e infine nel 1802 docente di astronomia e nautica all'università; tuttavia l'attività didattica non costituisce il lato più saliente della sua carriera di studioso, che è discretamente significativa per la produzione scritta e per l'opera di consulenza prestata in vari compiti tecnici.
Nel 1788 pubblicò a Napoli un Saggio di un tentativo per risolvere l'equazioni di tutti i gradi. L'intuizione che sta alla base di questo scritto, e che è già reperibile in altre forme in Eulero ed altri, è quella secondo cui equazioni apparentemente irresolubili non lo sarebbero più se trasformate in modi opportuni (ad es. elevandole al quadrato o al cubo, o dividendole per quantità date) in modo da ridurle in forma tale che per essa siano note formule risolutive. Tuttavia il Saggio si limita all'esposizione dell'idea con poche esemplificazioni non esaurienti, ed in seguito il C., distolto da altri interessi o accortosi che la via indicata non era così feconda come gli era parso inizialmente, non approfondì l'argomento.
Nello stesso 1788 egli redasse e pubblicò ancora a Napoli delle Effemeridi astronomiche calcolate al meridiano della città e relative all'anno successivo, che si rivelarono molto utili per la marineria napoletana, tanto che il governo borbonico lo invitò a ripetere annualmente la pubblicazione.
Il C. seguì il suggerimento sin dall'anno successivo, perfezionando ed ampliando il testo, ed in tale nuovo formato le Effemeridi usciranno al pubblico per dieci anni, rendendo gradualmente il loro autore uno degli astronomi più noti del Regno, tanto che nel 1791 gli fu possibile ottenere l'erezione a Napoli di un primo, piccolo osservatorio. A lui si ricorreva abitualmente quando si trattava di costruire meridiane per uso pubblico o privato, come una sul pavimento di una sala del Museo reale, o di restaurare quelle esistenti; "fu egli insomma che provvedeva alle bisogne della vita sociale per quanto ha correlazione col corso degli astri e colle varianti meteore" (Stellati).
Inoltre il C. mantenne contatti con gli ambienti scientificì dell'Italia setteùtrionale e segnatamente con la Società italiana per il progresso delle scienze, cui inviò anche alcune comunicazioni, tra cui una memoria "sul miglior metodo per trovare le radici di un'equazione" e la risposta al concorso bandito dalla Società "per un metodo sicuro onde determinare le latitudini in mare". Inviò alcune sue osservazioni astronomiche al Bode, a Berlino, altre all'Accademia delle scienze di Torino e al Lalande, mentre alcuni scritti rimasti inediti e ricordati dallo Stellati comprendevano opuscoli astronomici e fisici, delle aggiunte al Saggio sulle equazioni e una Storia de' fenomeni del terremoto del 26 luglio 1805 in Molise.
Nel periodo napoleonico anche i circoli accademici napoletani, e il C. con essi, risentirono i contraccolpi dei mutamenti politici; nell'agosto del 1806 egli cercò di tutelarsi, inviando al ministro Miot un promemoria nel quale elencava le sue benemerenze didattiche, letterarie e civili affinché gli fosse conservata la cattedra d'astronomia (Arch. di Stato di Napoli, Min. Interno, II Inv., fasc. 5101). La supplica però non ebbe esito, perché il governo dette la cattedra a Ferdinando Messia de Prado, uno degli esiliati del 1799; la decisione sembra essere stata motivata da considerazioni politiche, se si deve accettare l'affermazione del Napoli Signorelli che nega al de Prado meriti scientifici.
Il C. morì poco dopo, a Napoli, l'8 febbraio 1808, perché, indebolitosi nella consuetudine delle osservazioni notturne, e particolarmente in quelle su una cometa apparsa alla fine del 1807, aveva contratto una malattia polmonare.
Bibl.: P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, VII, Napoli 1511, pp. 53 s., V. Stellati, G. C., in E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, I, Venezia 1834, pp. 260 ss.; F. Amodeo, Vita matematica napoletana, Napoli 1905, pp. 156 s., 174, 187 ss.; A. Zazo, L'ultimo periodo borbonico, in Storia dell'Univers. di Napoli, Napoli. 1924, p. 509.