CAROSINI, Giuseppe
Suddito savoiardo, commerciante di professione, viaggiò per almeno tre lustri in Italia prima di spingersi in Ungheria dove fu sorpreso dai moti rivoluzionari del 1848. Già nel marzo-aprile fu in contatto con eminenti personaggi ungheresi. Nell'autunno successivo, quando l'Ungheria, rotti i rapporti con Vienna, ebbe bisogno di appoggi internazionali, egli venne inviato dal governo di Kossuth in Italia con l'incarico di suscitare simpatie verso la causa magiara. Benché sorvegliato dalla polizia austriaca, riuscì ad arrivare fino a Firenze dove tenne ai membri del governo Montanelli una conferenza sulla situazione ungherese. I Toscani riconobbero ufficialmente la sua missione e promisero appoggi. Le speranze del C. erano però puntate su Torino, dove il governo stava preparandosi a riprendere la lotta contro le truppe di Radetzky. Nella capitale sarda il C. ebbe il 23 novembre un primo colloquio con Perrone, presidente del Consiglio, che si mostrò assai interessato alla sua missione. Il momento era propizio alla collaborazione italo-ungherese.
A Parigi l'autorevole capo dell'emigrazione polacca, principe Adamo Czartoryski, aveva messo in moto fin dal settembre del 1848, con l'appoggio del governo francese, una azione diplomatica allo scopo di concludere un'alleanza antiasburgica dei popoli dominati dall'Austria. Il fine da raggiungere era duplice: bisognava convincere gli Ungheresi a riconoscere ai popoli soggetti alla corona di S. Stefano (Croati, Serbi della Voivodina, Rumeni della Transilvania, Slovacchi) i loro diritti nazionali, contemporaneamente però era necessano spingere gli Slavi ad abbandonare la causa degli Asburgo. In particolare occorreva agire sui Serbi del Principato che da tempo aiutavano militarmente i compatrioti della Voivodina nella loro lotta controgli Ungheresi. Alcuni indizi sembravano promettere successo a tale politica. A Zagabria s'era manifestata un'opposizione liberale al bano Jelačić, mentre a Belgrado il governo serbo e in particolare il ministro degli Interni, Ilija Garašanin, erano propensi ad un accordo con i Magiari. Le idee del Czartoryski vennero accolte a Torino con favore.
Il governo Perrone progettò l'apertura a Belgrado di un consolato che avrebbe dovuto appoggiare l'azione svolta dagli emissari polacchi in favore della pacificazione slavo-ungherese. Caduto Perrone e chiamato al governo Gioberti, il progetto ebbe nuovo slancio grazie ad alcuni esponenti della vita pubblica torinese: Lorenzo Valerio, Giovenale Vegezzi-Ruscalla e Cristoforo Negri. Data la difficoltà di aprire a breve termine il consolato a Belgrado, si pensò di inviare nei Balcani, in veste ufficiosa, un colonnello bresciano, Alessandro Monti, assieme al C. che nel frattempo aveva svolto a Torino una decisa azione propagandistica in favore dell'Ungheria. I due partirono il 30 dic. 1848 con istruzioni precise stese dallo stesso Gioberti: lavorare alla pacificazione tra Ungheresi e Slavi. Fermatosi a Belgrado, il C. venne raggiunto il 18 marzo 1849, dopo la partenza del Monti per l'Ungheria, da Marcello Cerruti nominato console sardo nella capitale serba. I due, d'accordo coi Polacchi e col governo ungherese, diedero il via ad una vivace azione politica tesa a convincere i circoli governativi serbi e, attraverso i giornali, l'opinione pubblica, dell'opportunità di un accordo con i Magiari.
La loro azione non fulimitata al Principato serbo, ma estesa anche alla Voivodina e alla Croazia, né fu bloccata dalla disfatta di Novara e dalla caduta del governo Gioberti.
Il nuovo presidente del Consiglio, De Launay, deciso d'interrompere l'azione balcanica, richiamò in patria il Monti e ingiunse al Cerruti di abbandonare ogni attività politica. Le sue direttive però non furono ascoltate. Il Monti, datosi malato, organizzò in Ungheria una Legione italiana che combatteva al fianco delle truppe di Kossuth. Il Cerruti e il C. intanto continuavano nella loro attività di intermediari tra Slavi e Ungheresi.
A tal fine l'assistenza del C., che poteva muoversi con maggiore libertà e spregiudicatezza, fu particolarmente importante, data la delicata posizione ufficiale del Cerruti. Venne organizzato un trasporto di armi per l'Ungheria, fu combinato un incontro dell'esponente governativo magiaro, Andrássy, col leader dell'opposizione croata, Kušlan, furono intavolati colloqui, per incarico del ministro degli Esteri ungherese Batthyány, con il governo serbo.
Alla metà di giugno l'intervento russo in Ungheria rese inutili tutti questi sforzi. I ribelli magiari sconfitti furono costretti a ritirarsi in Turchia attraverso la Serbia. La presenza del C. a Belgrado fu assai preziosa: fece da tramite tra gli esuli e le autorità serbe e s'impegnò nell'assistenza ai membri della Legione italiana che s'era rifugiata in territorio serbo.
Kossuth trovò asilo in Turchia, con la convinzione che in Ungheria la lotta per l'indipendenza si sarebbe riaccesa di lì a poco. Gli sembrò opportuno, pertanto, mantenere il C. come suo agente a Belgrado, punto nevralgico di ogni azione.
Nelle sue dettagliate istruzioni al C. (che sono state in parte edite dallo Hajnal, 1927; altre nell'Archivio di Stato di Budapest) sostenne che gli Slavi meridionali, se non volevano cadere in preda alla Russia, avrebbero dovuto concludere con l'Ungheria un patto federativo. Il C. veniva incaricato di farsi interprete di tali previsioni presso il governo belgradese e di convincerlo a costituire una legione straniera composta da ufficiali ungheresi.
L'attività del commerciante italiano tra il 1850 e il 1851 fu così intensa da suscitare le proteste dell'Austria. Massimo d'Azeglio, presidente del Consiglio sardo, che a partire dal 1850, dopo l'abolizione del consolato sardo a Belgrado, aveva appoggiato il C., fu costretto alla fine del '51 a togliergli la sua protezione. Il C. dovette abbandonare Belgrado e ritirarsi a Costantinopoli. Egli pensò di rimanere al servizio dell'emigrazione ungherese e di continuare la sua attività in Bosnia. Ben presto tuttavia si guastò con Kossuth che aveva accettato l'offerta del Mazzini di aderire al Comitato centrale della democrazia europea. Il C., già in precedenza invano sollecitato dal Monti di mettersi al servizio del partito rivoluzionario, preferì ritirarsi nel '52 in Piemonte. Grazie all'appoggio di M. Cerruti, venne inviato nel '53 come viceconsole sardo a Buenos Aires.
Prima di partire consegnò a Nicomede Bianchi, che aveva in mente di scrivere la storia della Legione italiana in Ungheria, una cassa di documenti riguardanti la sua attività nei Balcani e nell'Europa danubiana. Il Cerruti, tuttavia, rendendosi conto dell'importanza politica di quel materiale e prevedendo la ripresa dell'azione sarda al di là dell'Adriatico, ne ottenne il sequestro.
Il C., passato dall'Argentina nell'Uruguay, dove tentò di impiantare una fabbrica di mattoni, assillato da difficoltà finanziarie, spese i suoi ultimi anni nel vano tentativo di rientrare in possesso di quei documenti che, al di là del loro valore venale, testimoniavano della sua breve, ma intensa, partecipazione alla movimentata vicenda politica dell'Europa danubiana e balcanica nel periodo 1848-51.
Risulta ancora vivo agli inizi degli anni sessanta; non si conoscono la data e il luogo di morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Carte Bianchi, s.r., b. 6; Legazioni di America e Turchia, anni 1833-1859; Reggio Emilia, Bibl. munic., Carte Bianchi, mss. Regg.E.221.8; Arch. di Stato di Budapest, Fondo Kossuth, R. 90; I. Hajnal, Belgrádi diplomácia és magyar emigránsok a szabadságharc utân, in Budapesti Szemle, t. CCIII (1926), pp. 393-446; Id., A Kossuth-emigráció Törökországban, I, Budapest 1927, pp. 671-77; E.Kastner, Mazzini e Kossuth, Firenze 1929, pp. 12, 13, 102, 104; L. Hegedüs, Kossuth Lajos titkos levelei a turini állami levéltárban, in Budapesti Szemle, p. CCXXV (1934), pp. 196 ss.; M.Bormioli, G. C., in Annuario 1937della R. Accad. d'Ungheria in Roma, Roma 1938, pp. 3-17; M.Jászay, L'Italia e la rivol. ungherese 1848-1849, Budapest 1948, pp. 77, 84-87, 99, 108, 128, 150, 159;A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, pp. 89, 100-109, 358, 361; G. Pierazzi, Studi sui rapporti italo-jugoslavi (1848-49), in Arch. stor. ital., LXX (1972), pp. 226, 231, 244 s.