CARAVITA, Giuseppe
Nacque a Napoli dal penalista Tommaso e da Felicia Sersale. I dati che si possono trarre da alcuni documenti, quali le Biografie de' magistrati e il Relevio per la sua morte, inducono tutti a far ritenere che egli sia nato nel 1708 o nel 1709, benché, con inspiegabile divergenza, negli atti relativi alla ammissione al Collegio dei dottori la data del battesimo risulti 1715, né sembra trattarsi di un omonimo. Il C. si dedicò agli studi giuridici e il 23 nov. 1733 venne ammesso all'Almo Collegio dei dottori. Nel 1734 "a sollecitatione e col denaro" (Biogr. de' magistr., f. 218) del famoso avvocato Domenico Caravita, del quale il C. era nipote, seppure non in primo grado, venne nominato giudice della Vicaria civile.
La commissione istituita da Carlo di Borbone per costituire il nuovo organico delle magistrature napoletane si esprimeva a suo riguardo in maniera essenzialmente positiva. Per quanto "giovanetto e perciò poco accreditato", il C. si dimostrava "studioso e intelligente" e nel breve periodo di tempo in cui aveva esercitato la carica aveva dato "bastante prova di capacità, applicazione, onoratezza, puntualità e rettitudine ed [aveva] fatto concepire una grande aspettativa al pubblico..." (ibid., ff. 102v, 218). Come lo zio Domenico il C. era ritenuto un soggetto di sicura fedeltà verso gli Spagnoli e di ciò erano garanzia anche altri precedenti familiari, la destituzione, cioè, ad opera del governo austriaco, del padre e del nonno Giovanni Battista dalle cariche ricoperte.
Mentre la maggior parte dei membri della commissione era favorevole a lasciare il C. al suo posto di giudice della Vicaria, il principe di Francavilla e il duca di erano più propensi a inviarlo, data la sua giovinezza, per un paio d'anni nelle udienze provinciali. Fu, infine, deciso di seguire questo secondo parere, per cui il C. fu nominato uditore e poi caporuota dell'udienza di Chieti e, quindi, trasferito ancora come uditore nei Presidi di Toscana, presumibilmente nel 1752.
Non si conosce con precisione la data del suo ritorno a Napoli, ma questo doveva essere già avvenuto nel 1762, dal momento che il Tanucci, nell'agosto di quell'anno, lo chiamava a far parte di una ristretta giunta che doveva studiare i provvedimenti da prendersi per rendere più accurate e funzionali le amministrazioni dei comuni del Regno. Nel 1763 il C. era consigliere e caporuota nel Sacro Regio Consiglio. Negli anni successivi riscosse in varie occasioni la stima del Tanucci, dal quale ricevette molteplici incarichi. Così, nel 1766, fu nominato membro di una giunta cui fu affidato dal Consiglio di reggenza il compito di dirimere il contrasto in atto tra l'amministrazione municipale napoletana ed il Fondo dei lucri a proposito di alcune botteghe in cui si vendeva pasta. Nel 1768 il C. veniva proposto dal Tanucci, che lo definiva "abile, onesto e attento" (Lettere di B. Tanucci, p. 469), alla carica di fiscale della IV giunta di Stato, della quale era ancora membro nel 1783. Nello stesso 1768 il re Ferdinando IV, seguendo le indicazioni del padre, nominava il C. avvocato fiscale del Regio Patrimonio nella Camera di S. Chiara. Come tale egli intervenne nel 1769, per volere del re, nella giunta di Sicilia in difesa di alcune prerogative regie che si ritenevano usurpate dal vescovo di Patti. Avendo il C. dimostrato nell'esercizio della carica di avvocato fiscale della Corona nella Camera di S. Chiara "zelo, costanza, probità, buone massime e dottrina" (Lettere..., p. 603), il Tanucci, nel 1770, lo propose al re, che subito accettò, per la nomina a membro della giunta dell'Annona, ritenendolo un elemento di ben più sicura garanzia che non un nobile di "piazza". Il C. fu nominato, nel 1787, consigliere della Camera di S. Chiara e ricoprì anche la carica di delegato della Real Giurisdizione.
Nel 1759 il C. aveva avuto in dono, dallo zio Domenico, il feudo di Toritto in Terra di Bari su cui era costituito il titolo ducale. Nel 1778 ebbe per sé e per gli eredi anche il titolo di marchese. Fin dal 1773 rinunziò ai suoi possedimenti ed al titolo ducale a favore del figlio, presumibilmente Filippo, che, alla morte del C., presentò la petizione del relevio. Le rendite feudali di Toritto e la partita feudale di 102 ducati sull'arrendamento della regia dogana di Napoli, anch'essa ereditata dallo zio Domenico, furono ritenute, alla morte del C., suscettibili di dare un reddito netto di circa 4.600 ducati.
Il C. sposò Maria Francesca Pinelli, dalla quale ebbe i figli Filippo, Nicolò, Pietro, Andrea, Camillo, Maria Caterina. Morì il 2 apr. 1789 a Napoli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Almo Collegio dei Dottori, fascio 71; Ibid., Cedolari, 11, f 279v; 46, ff. 176 ss.; 47, f. 16v; Ibid., Relevi, 433; Ibid., Repertorio dei relevi, f. 194v; Ibid., Biografie de' magistrati de' vari tribunali dall'anno 1707 al 1740, ff. 81, 99, 102v, 123, 218; L. A. Muratori, Raccolta delle vite e famiglie degli uomini illustri del Regno di Napoli per il governo politico, Milano 1755, pp. 114, 137; Lettere di BernardoTanucci a Carlo III di Borbone(1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, pp. 130, 348, 468 s., 494, 553, 602 s., 606 e ad Indicem; R. Trifone, Le giunte di Stato a Napoli nel sec. XVIII, Napoli 1909, pp. 148, 151 s.; Nuovissimo Digesto Ital., II, p. 948.