CARACCIOLO, Giuseppe
Nacque il 13 dic. 1747 a Napoli da Nicola, duca di Lavello, e da Faustina di Alfonso de Cardenas conte di Acerra. Ereditò dallo zio Antonio Carmine Caracciolo i titoli di principe di Torella, marchese di Bella, signore di Baragiano, Santa Sofia, Parete, Platano, Galdano, Rapolla e Barile. Sposò, il 27 febbr. 1764, Beatrice Alarcón y Mendoza marchesa di Valle Siciliana, la quale gli portò fra l'altro in eredità il palazzo sulla riviera di Chiaia detto poi palazzo Torella e quindi Sirignano.
Grande di Spagna dal 1764. il C. fu nominato nel 1770 cavaliere dell'Ordine di S. Gennaio e gentiluomo di camera con esercizio. Svolse un'intensa attività per l'amministrazione del suo ingente patrimonio fondiario, ma soprattutto si preoccupò di ampliarlo ulteriormente. Così nel 1768 acquistò Ruvo della Montagna in Basilicata e successivamente - con strumento del 10 giugno 1772, approvato dal re il 7 sett. 1775 - dal principe di Fondi, Vincenzo di Sangro, il feudo di Gesualdo per oltre 40.000 ducati; il 4 apr. 1787 acquistò infine Atella.
Nel 1797 il C. entrò in lite con gli abitanti del suo feudo lucano di Baragiano, "che ascendono al numero di 1500 e giacciono quasi che tutti nella miseria"; non v'era dubbio per il Giustiniani che la controversia avrebbe precipitato i sudditi del C. "nell'ultimo stato di miseria e di languore". Ma il C. stava già preparando la svolta e della sua vita, e - secondo la testimonianza di alcune spie del governo borbonico - simpatizzava apertamente per le idee provenienti dalla Francia rivoluzionaria, acquistando fama di giacobino "perché frequenta Madama Fonseca Pimentel" (Croce, p. 25). Erano sospetti ben fondati perché il principe di Torella fu uno dei molti Caracciolo che parteciparono attivamente alla costituzione e alla difesa della Repubblica napoletana del '99, talvolta ricordata anche come la "Repubblica dei Caracciolo".
Condannato a morte il 17 agosto dalla giunta di Stato borbonica nella sua prima riunione, l'esecuzione della sentenza fu sospesa in forza del dispaccio del 1º agosto che - secondando gli accordi stipulati tra il cardinale Ruffo e gli ultimi difensori della Repubblica - faceva salva la vita ai "capitolati di Castelnuovo". La pena di morte gli fu quindi commutata in ergastolo perpetuo nell'isola di Favignana, nella tetra fossa di S. Caterina, poi descritta dal Colletta. Dichiarato reo di Stato, ebbe confiscato il vastissimo patrimonio esteso per tutto il Principato Ultra e la Basilicata.
Liberato dall'amnistia del 1801, morì il 16 luglio 1808.
Fonti e Bibl.: L. Giustiniani, Diz. geogr.-ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1797, II, p. 171; Nota di beni confiscati ai rei di Stato, Napoli 1800 pp. 64-67; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1926, pp. 25, 58, 72, 208, 434; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, II, p. 116 n.; F. Fabris, La genealogia della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. VII.