CAPRIOLI, Giuseppe
Nacque a Caserta il 19 marzo 1794, nel palazzo reale, da Ciro, "uffiziale di bocca" del re Ferdinando. Quando il re nel 1799 fuggì in Sicilia, la famiglia Caprioli, devotissima alla dinastia, ottenne il permesso di seguire la corte a Palermo. Tornata a Napoli nel 1802, riparò nuovamente in Sicilia nel 1806, allorquando Napoli fu occupata dalle truppe francesi. A 12 anni il C. entrò nel collegio Massimo dei gesuiti a Palermo ed ebbe direttore spirituale il padre Strasoldi, poi confessore del re; vestito l'abito ecclesiastico, fu ammesso, nel 1807, come chierico distinto, nella reale cappella palatina. Nel 1812, quando gli Inglesi obbligarono il re Ferdinando a rimuovere il duca d'Ascoli dalla carica di suo segretario particolare e a sostituirlo col maggiore F. Frilli, il C. fu chiamato, a soli 17 anni, a prestar servizio in quella segreteria. Studiava intanto filosofia e geometria nel seminario palermitano, integrandole con lo studio del diritto canonico e della teologia dogmatica. Grazie alla conoscenza delle lingue francese e inglese, il C. fu il solo fra gli addetti alla segreteria particolare a seguire (maggio-giugno 1815) sul vascello britannico "Queen" il re nel viaggio a Messina e a Napoli per il riacquisto del Regno. In tale occasione Ferdinand poté conoscerlo da vicino e apprezzarne le doti. Ordinato sacerdote, il C. accompagnò, nell'ottobre-novembre 1919, a Roma il re, in visita ufficiale dopo la conclusione del concordato. A Roma il re Ferdinando lo presentò al papa Pio VII come suo diletto servitore, e il papa moltiplicò onori e regali al giovane prete, divenuto nel frattempo abate concordatario e cappellano del re. Nei critici ultimi anni del regno di Ferdinando I il C. svolse delicati incarichi e segrete missioni diplomatiche di fiducia.
Avvenuta la rivoluzione del luglio 1820, il re, mentre mostrava in apparenza favore ai liberali, si serviva del C. per trattare con ambasciatori e ministri stranieri contro il nuovo governo; accompagnò poi il re al congresso di Lubiana.
Nel maggio 1821 il re Ferdinando introdusse nel Consiglio di Stato la redazione del protocollo, e l'incarico fu affidato al Caprioli. Alla riforma della segreteria particolare rimase occupato nel carteggio e nel 1822, prendendo il posto di segretario del Frilli, seguì il sovrano al congresso di Verona e successivamente a Venezia e a Vienna. Redasse più tardi il testamento del re, per sua espressa volontà, ottenendone un ricco legato.
Il nuovo re Francesco I conservò al C. tutte le cariche e lo volle presente nel Consiglio dei ministri, sicché la sua influenza negli affari di Stato e di corte crebbe notevolmente. Nel 1825 seguì il re nel suo viaggio a Roma e conobbe nell'occasione papa Leone XII, e a Milano per la riunione dei sovrani, a Genova e in Toscana. Quando Francesco I si allontanò da Napoli nel 1829 per accompagnare la figlia Maria Cristina in Spagna, il C. fu lasciato nella capitale come consigliere del principe vicario. Tornato il re dalla Spagna in gravi condizioni di salute, ne redasse le disposizioni testamentarie, ottenendone un congistente legato.
Dal 1830 e per circa dieci anni fu al servizio del re Ferdinando II, con un ascendente ancora maggiore che sui precedenti sovrani. Nel 1831, in seguito alla riforma della segreteria particolare, fu nominato segretario particolare del re, con l'obbligo d'intervenire nel Consiglio dei ministri; nel 1833 fu fatto anche segretario del Consiglio di Stato con diritto di voto.
Divenne allora potentissimo, sfruttando abilmente l'inettitudine e la viltà degli uomini che circondavano il re. Si occupò di questioni di Stato e di corte: portò a termine le trattative matrimoniali di Ferdinando con la principessa Maria Cristina di Savoia, avendone da Carlo Alberto considerazione, onorificenze e doni. Ebbe parte primaria nella destituzione dell'odiato ministro di polizia N. Intonti; fu favorevole alla grazia del frate Peluso e compagni, condannati a morte per l'insurrezione costituzionale di Palmi; fu contrario all'esclusione da un concorso giudiziario di giovani ritenuti liberali. Con monsignor C. Cocle fu insomma il personaggio più influente della corte napoletana nel primo decennio del regno di Ferdinando II.
La carriera del C. si concluse inopinatamente in seguito alla complessa questione per l'appalto degli zolfi della Sicilia, che era sorta tra il governo napoletano e l'Inghilterra.
Nella fase più acuta della controversia il C. intese risolverla con la mediazione francese, in contrasto con il parere sostenuto dal ministero, e considerò l'avvenuta composizione della vertenza come un proprio successo; ma il malcontento popolare e l'irritazione di Ferdinando, che aveva dovuto accettare condizioni ritenute umilianti, fecero declinare il suo credito. Il re non gli permise più di partecipare al Consiglio dei ministri; lo lasciò alla segreteria particolare, ma gli tolse ogni funzione, evitando di vederlo.
Rimosso dall'ufficio nell'aprile 1841, fu nominato vicepresidente della Consulta, incarico certamente meno considerevole, che il C. comunque mantenne per otto anni fino a quando, con motu proprio, nel febbraio 1848, il sovrano lo esonerò totalmente dal servizio. Ferdinando non volle più riceverlo, e anzi arrivò a sospendergli i legati di cui godeva per effetto dei testamenti dei due precedenti sovrani. Il C. si ritirò a Portici, dove ebbe familiarità con l'esule pontefice Pio IX, il quale, ristabilito il potere temporale, lo avrebbe voluto con sé a Roma come tesoriere di Stato, per fargli riordinare le finanze pontificie con la prospettiva della porpora in caso di successo; ma il re di Napoli non permise al suo suddito di uscire dal Regno. Morì a Portici il 29 marzo 1870, lasciando 2 milioni di lire al cardinale Hohenlohe.
Durante i regni di Ferdinando I e di Francesco I compendiò in sé il dispotismo della fazione clericale; poi, nel primo decennio del regno di Ferdinando II, modificò questo atteggiamento. Di animo probo e moderato, ebbe merito nella politica conciliante verso i liberali; rivelò indipendenza verso l'Austria, cui non mancò di rimproverare il rigido controllo sulle cose degli Stati italiani; auspicò per contro più strette relazioni col Regno sardo; rifuggì dalla repressione politica violenta; riprovò, ad esempio, l'esecuzione dei fratelli Bandiera, anche perché vi scoprì il doppio gioco austriaco di sbarazzarsi di quegli avversari facendoli sopprimere da altro governo. Fu fautore della monarchia assoluta, ma desideroso dell'onestà e dell'umanità dei suoi governi. Ebbe apprezzabile avvedutezza politica e riuscì quasi sempre, nelle questioni di Stato e di corte, ad imporre il suo parere al re Ferdinando II, al quale parlò sempre in libertà di pensiero. Giudizi sostanzialmente positivi espressero su di lui. il Nisco, il Settembrini, il Bersezio ed altri.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone (cfr. Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone,Inventario sommario, a cura di J. Mazzoleni, Roma 1961, ad Indicem); Notizie sulla carriera ecclesiastica e politica del comm. C., Napoli s.d.; Lettore di Ferdinando IV alla Duchessa di Floridia,1820-1824, a cura di S. Di Giacomo, Milano-Palermo-Napoli 1914, ad Indices (cfr. nota biogr., II, pp. 61-65); L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, a cura di A. Omodeo I, Bari 1934, pp. 112, 147; Le relaz. diplom. fra la Francia e il Regno d. Due Sicilie, s. 2, II, a cura di A. Saitta, in Fonti per la st. d'Italia, CXXIII, Roma 1973, ad Ind.; N. Nisco, Ferdinando II e il suo regno, I, Napoli 1888, pp. 13, 28, 34, 79; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II…, III, Torino 1895, p. 11; V. Riccio, Un segretario di Ferdinando IIBorbone, in Riv. d'Italia, V (1902), pp. 133-51 (poi in Saggi biografici, Milano 1924, pp. 75-106); M. Degli Alberti, La polit. estera del Piemonte sotto Carlo Alberto, II, Torino 1919, p. 221; R. Moscati, I rapporti austro-napoletani nei primi anni del regno di Ferdinando II, in Arch. stor. per le prov. napol., n.s., XXV (1939), pp. 153, 176; Id., Ferdinando II di Borbone, Napoli 1947, pp. 25, 42, 47 s.; V. Giura, La questione degli zolfi siciliani,1838-1841, Ginevra 1973, ad Indicem.