CANDIANI, Giuseppe
Nacque a Milano l'8 apr. 1830 da Luigi e Marianna Sacchi, appartenenti entrambi a famiglie di professionisti nobili ma finanziariamente decadute. Primo di quattro figli, fu avviato dai genitori al sacerdozio, non tardò a rivelare alla madre la sua insofferenza per la vita ecclesiastica, che abbandonò infatti dopo due armi per frequentare il ginnasio S. Alessandro ove, sedicenne, venne iscritto al primo anno di filosofia. Contemporaneamente, a fianco del padre, cominciò a partecipare al movimento nazionale che doveva sfociare nella rivoluzione del 1848. A contatto con patrioti quali Carta, Pezzotti, Sacchi, Terzaghi, Cernuschi, Bargnani, si prestò a svolgere funzioni di collegamento fra i vari gruppi o aiutando il padre nella preparazione e raccolta di armi e munizioni.
Nel marzo del 1848 fu tra i primi a scendere in piazza insieme al padre e al fratello Enrico, con il quale combattè sulle barricate di porta Tosa. Al termine della rivoluzione si iscrisse alla scuola di istruzione del corpo di artiglieria e genio retta dal Carnevali nel collegio militare di S. Luca a San Celso, che lasciò poco dopo per arruolarsi nel battaglione di studenti che si stava allora organizzando. Inviato col battaglione presso Mantova, prese parte al blocco e ai combattimenti del 14 luglio. Dopo Custoza, giunto l'ordine di ritirata, seguì il suo battaglione a Piacenza, ma colpito da febbri malariche venne ricoverato all'ospedale di Tortona. Dimesso dopo una lunga degenza, riuscì a rientrare fortunosamente a Milano e a riprendere gli studi interrotti presso il liceo S. Alessandro; studi che abbandonò nuovamente nel febbraio del 1849 per passare in Piemonte ed arruolarsi come volontario nei bersaglieri. Ferito alla Bicocca, fu costretto a congedarsi e a rientrare segretamente a Milano. Ripresi ancora una volta gli studi, abbandonò definitivamente la filosofia per intraprendere, come il padre, la professione di chimico.
Scelta la specializzazione in farmacia, cominciò a far pratica a Milano, ma vi rimase solo pochi mesi, poiché, a causa delle ristrettezze economiche, dovette trasferirsi a Lodi. Dopo circa un anno passò a lavorare in una piccola farmacia di campagna, di qui alla farmacia militare di S. Ambrogio a Milano e poi alla succursale di S. Filippo. In seguito si trasferì a Pavia dove si iscrisse alla facoltà di chimica, nel 1856 riuscì finalmente a laurearsi dopo aver superato una serie di difficoltà economiche. Alla laurea seguì immediatamente la decisione di avviare una piccola industria di prodotti chimici e nello stesso anno, affittati alcuni locali in un vecchio stabile, egli iniziò la sua nuova attività con la fabbricazione di arsenito di rame.
Provvisto solo di alcune vecchie botti, un torchio di legno ed una caldaia di rame, fabbricò da sé i filtri per raccogliere il precipitato servendosi dell'aiuto di un solo operaio. Malgrado le strutture rudimentali dell'impresa, riuscì ad immettersi nel commercio grazie ad un sicuro intuito che lo spinse a rivolgersi direttamente ai consumatori che visitava personalmente. Da questi contatti diretti con il mercato gli nacque l'idea di indirizzare la produzione alla fabbricazione di coloranti minerali necessari soprattutto per la tintura della lana e della seta, di cui aveva notato l'arretratezza. Il primo anno di attività si chiuse con una perdita netta di circa 783 lire. Malgrado ciò assunse un secondo operaio e si rivolse ad un amico per curare la parte amministrativa. Neppure la situazione fallimentare del secondo anno - che si chiuse con un deficit di circa 938 lire - riuscì a scoraggiarlo. Affiancò anzi alla produzione una piccola impresa commerciale, senza tuttavia trascurare di occuparsi direttamente delle esigenze del mercato e di studiare la fabbricazione di nuovi prodotti la cui preparazione non richiedesse spese di impianto superiori alle sue possibilità.
Tra il 1856 ed il 1871 riuscì infatti a fabbricare 76 diversi prodotti; a questi se ne aggiunsero altri 42 nel periodo 1872-76; 25 tra il 1877-79; 24 dal 1880 al 1881; 27 dal 1882 al 1892 e 34 dal 1893 al 1898.Attenendosi al principio di regolare la produzione sulla base della domanda e di creare depositi solo per i prodotti di uso più corrente riuscì a chiudere il bilancio del 1858 con un utile superiore a 1.000 lire. Il successo gli consentì di trasferire la fabbrica in locali più ampi.
Nel 1859, richiamato in servizio, fu costretto a passare alcuni mesi come aggiunto presso la farmacia militare di S. Ambrogio, dove fu poi sostituito, dietro sua richiesta, dal fratello Ercole anch'egli chimico. Tornato al lavoro, benché la situazione fosse stata compromessa dalla sua assenza, avviò la produzione del colorante liquido di anilina detto fucsina o roseina - già fabbricato in Francia e in Inghilterra ma poco noto in Italia - di cui era riuscito attraverso studi e letture ad apprendere il procedimento di preparazione.
Dal prodotto liquido passò quindi alla fabbricazione della roseina cristallizzata, che gli consentì di realizzare un guadagno netto di circa 600 lire al chilo. I bilanci del 1859 e 1860 si chiusero con utili netti rispettivamente di circa 8.272 e 33.422 lire. Nel 1861 gli utili scesero a L. 18.909 a causa della concorrenza di una grossa fabbrica di coloranti derivati dal catrame creata dal Levinstein con impianti tecnicamente molto progrediti; concorrenza che il C. non poté contrastare per mancanza di capitali.
La nuova impresa resse tuttavia solo due anni e già nel 1862 il C. fu in grado di dare un nuovo impulso alla produzione. Cambiò nuovamente sede rilevando una vecchia fabbrica di acidi in via S. Calocero composta di parecchi locali, con impianti antiquati ma in grado di fornire prodotti purissimi, e la dotò di nuove camere di piombo.
All'affermazione in campo industriale si aggiunsero i riconoscimenti ufficiali della sua attività: già nel 1861, su invito del direttore della Rivista tecnologica italiana, aveva cominciato a pubblicare una serie di articoli sulla preparazione e l'uso dei colori derivati dal catrame in tintoria (una collaborazione che durò fino al 1867), e nel 1862, in occasione della Esposizione universale di Londra, fu inviato dalla deputazione provinciale di Milano insieme ad altri esperti per studiare l'industria chimica estera.
Al termine del viaggio ufficiale il C. si recò per suo conto a Manchester, Glasgow, Parigi, Lione, Marsiglia per visitare le maggiori industrie locali del settore ricavandone, oltre alla conferma della situazione di inferiorità in cui si trovava l'Italia nei confronti degli altri paesi, importanti suggerimenti per lo sviluppo dell'attività. Nello stesso anno, infatti, impiantò una nuova camera di piombo secondo i nuovi sistemi appresi all'estero e due anni più tardi demolì tutta la parte più vecchia della fabbrica.
I bilanci del 1862-1863 furono ancora modesti ma migliorarono a partire dal 1864. Nel 1864 segnò utili netti di L. 33.422 circa, L. 23.659 nel '65, L. 37.485 nel '66, L. 23.150 nel '67, L. 27.782 nel '68. Dopo una caduta a L. 6.814 nel 1869 salirono a L. 43.984 nel 1870. Dopo il 1870 prese come socio il cognato Antonio Biffi, che rimase in ditta fino al 1882.
Nel 1873, in occasione della Esposizione internazionale di Vienna, oltre che come espositore, il C. fu presente in qualità di giurato inviato dal ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. La partecipazione gli consentì di entrare in contatto con le personalità più in vista in campo industriale e di approfondire la conoscenza dei problemi e delle deficienze dell'industria italiana. Al suo ritorno stese un'importante relazione sugli acidi e i sali per uso industriale, in cui caldeggiò soprattutto la produzione tipicamente italiana dell'acido borico e dei borati, e presentò numerosi dati di notevole importanza relativi alla fabbricazione della soda dall'ammoniaca secondo il procedimento Solvay (Acidi e sali per l'industria. Relazione di G. C., in Relazioni dei giurati italiani sulla Esposizione universale di Vienna del 1873, Milano 1873, fasc. 9, pp. 1-25).
Sempre vivamente interessato alle sorti della piccola industria chimica italiana, il cui sviluppo appariva al C. anche un mezzo di lavoro per i nuovi diplomati di un paese, quale l'Italia, con notevoli livelli di disoccupazione, approfittò dei viaggi all'estero anche per approfondire la conoscenza dei sistemi di conduzione industriale.
Nel 1882, separatosi dal socio, dette vita per suo conto al nuovo stabilimento della Bovisa, destinato a divenire uno dei più importanti d'Italia. Nel 1898 il nuovo stabilimento copriva un'area di circa mq 32.000 ed era composto di sei fabbricati adibiti a lavorazioni diverse.
Il corpo principale - quello centrale - era adibito alla preparazione dell'acido solforico ed era dotato di una attrezzatura tecnicamente molto progredita, con forni Peret a 16bocche e due forni Maletra rispettivamente di 56 e 48bocche. I corpi laterali erano assegnati alla preparazione di prodotti farmaceutici. Fra le innovazioni più interessanti, che testimoniano l'interesse del C. per la ricerca, è da segnalare la creazione di un locale destinato agli esperimenti, aperto agli studiosi per la elaborazione di nuovi metodi di lavoro ed il miglioramento di quelli già in uso.
Sotto il profilo commerciale il C. adottò costantemente il criterio di produrre le specialità che potevano essere fabbricate in Italia in misura sufficiente a soddisfare la domanda e provvedere ai crescenti bisogni industriali per favorire la produzione italiana emancipandola dall'estero.
Tenne direttamente nelle sue mani il controllo della produzione e l'amministrazione per circa 17 anni. Nel 1897, consolidata l'azienda, creò una società di cui affidò la gestione ai figli Ettore e Attilio. Con la stessa ragione sociale (Ditta Candiani e C.), impiantò le officine di Barletta, su un'area di 20.000 mq circa, destinate alla produzione di acido tartarico.
Lasciata la direzione dell'azienda, dedicò gli ultimi quindici anni della vita alla creazione della casa di riposo di Turate per i veterani e gli invalidi di guerra. Fu inoltre uno dei soci fondatori della Società internazionale per la Pace-Unione lombarda.
Ricoprì varie cariche pubbliche e private. Fu consigliere comunale con l'amministrazione Negri e membro della Camera di commercio per diversi anni. Fu consigliere del Comizio regionale dei veterani, del Banco di Napoli e di aziende industriali fra cui la Vetreria milanese Lucchini Perego e C. nonché membro del Collegio dei periti doganali e del Collegio dei probiviri per le industrie chimiche. Al momento della morte era ancora membro del Consiglio superiore di Sanità, della Commissione centrale di beneficenza della Cassa di Risparmio, della Commissione direttiva del Museo del Risorgimento, presidente dell'Istituto sanitario Umberto I e del consiglio di vigilanza della Ditta Candiani e C.
Ebbe più di 40 medaglie d'oro fra cui quella del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e quella dell'Istituto lombardo di scienze e lettere quale fondatore della grossa industria chimica italiana. Fu inoltre commendatore della Corona d'Italia e fra i primi ad essere insignito della croce al merito del lavoro. Negli ultimi anni di vita scrisse un libro di Memorie (pubblicato a Milano nel 1902). Nel 1910, sempre a Milano, apparve Dieci anni di vita della casa di Turate per i veterani ed invalidi delle guerre nazionali.
Il C. morì a Milano il 16marzo 1910.
Fonti e Bibl.: La chimica e le industrie chimiche. Relazione di L. Gabba, in Relaz. dei giurati italiani sulla Esposizione universale di Vienna del 1873, Milano 1874, fasc. 16, pp. 80 s.; L'Italia industriale (Milano), VIII (1898), n. 10, p. 98, E. Bonelli, G. C. e le sue memorie, in Veterano (Roma), III (1902), n. 21; E. A. Foperti, Un altro esempio di "Volere è potere", G. C., in La Rassegna nazionale, XXV (1903), pp. 448-454; L'Illustrazione italiana, 27 marzo 1910, p. 297; G. Bistolfi, Figure lombarde, N. Pisa e G. C., in Nuova antologia, 1º apr. 1910, pp. 529-531; G. Körner, L'ind. chimica in Italia nel cinquantennio (1861-1910), in Cinquanta anni di vita ital., 1860-1910, Milano 1911, I, p. 9; G. Bertacchi-P. Arcari, Un uomo della nuova Italia. …, Milano 1913, che contiene le commemorazioni e i necrologi apparsi sui principali giornali italiani; M. Rosi, Diz. d. Risorg. naz., II, ad vocem;B. Caizzi, Storia dell'ind. ital. ... Torino 1965, p. 295.