CALANDRELLI, Giuseppe
Nacque a Zagarolo (Roma) il 22 maggio 1749 da Tommaso e da Maria Fortini. Inviato a studiare grammatica latina nel seminario vaticano, poi retorica in quello di Albano, tornò a Roma per il corso filosofico, terminato il quale divenne sacerdote. Insegnò quindi filosofia nel seminario di Magliano Sabina dal 1769 al 1773, dedicando le ore libere a uno studio assiduo della matematica. Al termine di questo periodo, come dirà egli stesso, consolidato il suo bagaglio culturale e sentendosi pronto per compiti più impegnativi, tornò a Roma, divenendo coadiutore di Jacquier, docente di matematica nel seminario romano, e subentrandogli alla morte. Lo stesso farà per il docente di fisica, Cavalli.
Da allora il C. cominciò a pubblicare brevi scritti di matematica pura e di fisica, tra i quali sono: il Saggio analitico sopra la riduzione degli archi circolari ai logaritmi immagionari (Roma 1778), scritto in difesa di un amico, il gesuita Vincenzo Riccati, figlio del noto matematico J. F. Riccati e matematico egli stesso, le cui proposte di soluzione del problema, basate sull'uso delle funzioni iperboliche, da lui per primo introdotte, avevano incontrato critiche; la Epistola supra fallaciam: galilaeanae demonstrationis accelerati motus in ratione spatiorum (Romae 1779), indirizzata a G. Riccati, fratello del predetto Vincenzo; la Aequilibrii demonstratio (Romae 1780); e infine la Praelectio physica de motivi sollicitante corpora fune pendula per plana inclinata (Romae 1785). A questi scritti editi va aggiunta una notevole attività epistolare, oltre a comunicazioni accademiche e agli interventi per la soluzione di vari problemi fatti circolare, secondo un uso tradizionale, nel mondo scientifico, come sfida per gli esperti.
Frattanto il C. era diventato il principale esponente di un'accademia di fisica che aveva sede nel palazzo del cardinale F. Zelada, il quale vi aveva anche fatto costruire un piccolo osservatorio; in esso iniziò la pratica dell'astronomia, che doveva diventare il suo vero campo di ricerca. Nel periodo 1781-86 compì alcune osservazioni sui passaggi di Mercurio in prossimità del Sole, pubblicandone i risultati (Mercurii infra Solem transeuntis observatio, Romae 1786); fu poi incaricato dall'Accademia meteorologica di Mannheim di raccogliere e inviare dati sistematici sul clima di Roma, e svolse questo compito nel periodo in cui fu consulente del governo pontificio per i problemi creati da uno straripamento del Velino. La sua attività scientifica ebbe una svolta decisiva nel 1787, quando lo Zelada, incaricato di provvedere al flinzionamento del Collegio Romano dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, volle arricchire di strumenti il piccolo osservatorio ivi esistente, nonostante le resistenze conservatrici di alcuni porporati, e lo affidò al C., che accettò l'incarico malgrado l'esiguità dei fondi concessi alle ricerche e la mancanza di qualsiasi retribuzione. L'osservatorio sarà per molti anni il punto focale della sua esistenza, ed al lavoro compiutovi saranno dedicati i suoi scritti successivi.
Come collaboratore egli ebbe dapprima solo l'abate A. Conti, suo allievo e amico, in seguito presidente del collegio filosofico della Sapienza; a questi si aggiunsero poi altri allievi e un nipote, Ignazio, figlio di suo fratello. I modesti mezzi finanziari furono incrementati da Pio VII solo nel 1804; si spiega così come solo dopo quest'anno, nonostante l'assiduo lavoro svolto in precedenza, il C. e i suoi collaboratori, A. Conti e G. Ricchebach, potessero pubblicare resoconti della loro attività col titolo di Opuscoli astronomici, editi a Roma in otto volumetti tra il 1803 e il 1824.
I contributi del C. negli Opuscoli concernono per lo più punti di interesse metodologico e tecnico. Tra essi, la determinazione dell'esatta latitudine e longitudine del Collegio Romano, basata su precedenti ricerche del Boscovich; i metodi di correzione degli errori d'osservazione risultanti da irregolarità nei reticoli telescopici; la diversità di formule tra calendario giuliano e gregoriano; la ricostruzione delle fasi di un'eclisse descritta dagli storici latini e attribuita all'anno 359 di Roma. Non mancano però anche le ricerche originali, come le osservazioni su due comete del 1907 e 1811.
Con gli anni la notorietà del C. negli ambienti scientifici andò crescendo: egli conobbe o fu in rapporto epistolare con molti dei più notevoli uomini dell'epoca, da Boscovich e d'Alembert a Piazzi, Lalande. Cuvier, Inghirami e Plana. Secondo il principe Pietro Odescalchi - capo dell'Arcadia, ove lesse un elogio del C. alla sua morte - la sua corrispondenza scientifica, se stampata, avrebbe richiesto non meno di cinque volumi; essa passò probabilmente nelle mani del nipote Ignazio, suo erede universale, ma da allora se ne perdono le tracce. Fu anche membro di numerosi istituti e accademie, tra cui l'Accademia meteorologica di Mannheim, quella di Napoli e gli istituti delle scienze di Torino e di Roma, nonché della Società italiana delle scienze. Tale notorietà in Italia e all'estero fu forse la causa per cui il prefetto francese Tournon negli anni in cui Roma fu annessa all'impero napoleonico gli affidò la presidenza dell'Università gregoriana.
Nel 1810, dato l'avanzare dell'età e l'accumularsi delle mansioni, venne concesso al C. di lasciare l'insegnamento per dedicarsi esclusivamente all'osservatorio; nel 1824, però, il pontefice Leone XII volle restituire il Collegio Romano alla ricostituita Compagnia di Gesù, togliendo gli incarichi di insegnamento in esso ai religiosi che avevano seguitato a farlo funzionare negli anni di scioglimento dell'Ordine. I gesuiti vollero fare una eccezione per il C., che rispettavano come uomo di scienza e come religioso, ma egli rifiutò di rimanere nell'osservatorio per solidarietà con gli altri docenti. Passò allora a insegnare nel Collegio Germanico, ed ebbe la nomina a canonico della basilica lateranense a titolo onorario, senza obblighi di assiduità. Nonostante l'età avanzata, gli anni successivi al 1824 non furono inattivi; il C. compose scritti rimasti inediti e progettò la costruzione di un altro osservatorio, che non poté vedere realizzato, perché, colpito da una lunga malattia, morì il 24 dic. 1827. Fu sepolto nella chiesa di S. Apollinare, nella quale il nipote gli fece erigere un piccolo monumento.
Bibl.: Varie recensioni alle opere del C. si trovano nel Giornale arcadico:fra l'altro II (1819), p. 104; XIV (1822), p. 297; XVI (1822), p. 172; XXXVIII (1828), p. 391; LXXXII (1840), p. 149. Sono poi da vedersi: M. Missirini, Elogio di G. C. matematico ed astronomo, Roma 1828; L. Ponzileoni, Orazione per la morte di G. C., Roma 1829; P. Odescalchi, Elogio del prof. canonico don G. C., Roma 1829; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 243-46; R. G. Villoslada, Storia del Collegio Romano, Roma 1954, pp. 188, 315.