MAZZARINO, Giuseppe Branciforte
(Branciforti) conte di. – Nacque nel 1619 da Giovanni, secondogenito di Fabrizio, e da Giovanna Branciforte dei principi di Leonforte.
I Branciforte erano una delle maggiori famiglie feudali siciliane, i cui possedimenti si estendevano in diverse zone della Sicilia centrorientale. Nel 1507 Nicolò Melchiorre Branciforte – che era stato vicario generale di Augusta, strategoto di Messina e più volte deputato del Regno e che aveva acquistato dai Moncada la signoria di Melilli – ottenne dal re Ferdinando II d’Aragona il Cattolico il titolo di conte di Mazzarino. La famiglia si ramificò ai primi del Cinquecento, quando la moglie di Nicolò Melchiorre, Belladama Alagona Branciforte, destinò la sua dote, cioè la baronia di Tavi (in seguito Leonforte), al terzogenito, Blasco, mentre il primogenito, Giovanni, che sposò Emilia Moncada, contessa di Adrano, subentrò al padre nella signoria di Mazzarino nel 1510 e il secondogenito Antonio acquisì le baronie di Mirto e Melilli. Da Blasco discesero sia il ramo dei Branciforte duchi di San Giovanni sia quello dei Branciforte conti di Raccuia e principi di Leonforte, ai quali pervennero anche i beni di Antonio, morto senza eredi.
Il nonno del M., Fabrizio, sposò Caterina Barrese, l’unica erede dei feudi della sua famiglia e dei Santapau, che portò in dote. Fabrizio, pertanto, ai suoi titoli sommò quelli di principe di Butera, marchese di Militello, signore di Occhiolà (l’odierna Grammichele), barone di Belmonte e di Radali e principe di Pietraperzia, e ottenne anche il grandato di Spagna. Fra Cinque e Seicento in Sicilia poche famiglie potevano stare alla pari con i Branciforte, dotati di così tanti titoli, come si evince dall’analisi delle strategie matrimoniali: in linea di massima si preferirono i matrimoni all’interno della cerchia parentale; l’unica famiglia di livello equivalente era quella dei Moncada, con la quale fu stretta parentela per due volte. I matrimoni con famiglie ritenute di rango inferiore furono contemplati solo per le figlie minori, che portarono una dote esigua rispetto ai livelli correnti; spesso il loro destino era quello della monacazione.
Il matrimonio del primogenito di Fabrizio, Francesco, con Giovanna d’Austria, figlia del fratellastro di Filippo II, José Juan de Austria, ebbe grande importanza per la famiglia. Dall’unione nacque Margherita Branciforte d’Austria, che, quando nel 1622 morì il padre, si ritrovò unica erede delle fortune dei Branciforte conti di Mazzarino e marchesi di Militello perché, al momento delle nozze dei genitori, il nonno Fabrizio aveva rinunciato a tutti i propri feudi in favore del primogenito.
La nascita del M., molti anni dopo quella dei fratelli Gabriele e Filippo, sordomuti e quindi inadatti alla trasmissione del titolo, indusse il nonno Fabrizio a modificare le disposizioni testamentarie. Il cambiamento delle volontà del capofamiglia in favore di un erede in grado di sostituirlo al vertice della famiglia provocò un grave contenzioso tra i tutori del M., rimasto ben presto orfano del padre, nel 1622, e Margherita Branciforte d’Austria. La questione fu risolta nel 1624, grazie alla mediazione del principe di Leonforte, Nicolò Placido Branciforte, che aveva ottenuto la tutela del M. dopo le nuove nozze di Giovanna Branciforte con Francesco Ventimiglia, marchese di Geraci. In virtù dell’accordo raggiunto, il M. ottenne la contea di Mazzarino, il castello di Grassuliato e la baronia di Niscemi; inoltre s’impegnò a sposare la cugina Agata Branciforte dei principi di Leonforte. Il 3 giugno 1626 al M. fu concessa la licentia populandi, ossia il permesso di creare un nuovo centro abitato, per la baronia di Niscemi, che il 23 marzo dell’anno successivo fu elevata a principato. Il titolo di principe di Niscemi fu poi venduto nel 1661 a Vitale Valguarnera.
Nel gennaio 1649 il M. prese, insieme con Tommaso d’Aquino, la gabella della baronia di Riesi, dando prova di un non comune interesse per la cura dei propri affari; tuttavia, in quel momento delicatissimo per la vita della monarchia asburgica, le sue occupazioni furono notevolmente diverse. Nella seconda metà dell’anno il M. assurse a grande protagonista della vita politica siciliana. Mentre a Napoli il baronaggio napoletano si opponeva alla strategia del viceré Íñigo Vélez de Guevara conte de Oñate, in Sicilia, sedati i moti che avevano avuto come protagonista Giuseppe Alesi, maturava una congiura aristocratica.
I giureconsulti palermitani Antonio Lo Giudice (che aveva avuto un ruolo di rilievo negli avvenimenti che avevano scosso poco tempo prima Palermo), Giuseppe Pesci e il sacerdote Simone Rao, sulla scorta della falsa notizia della morte di Filippo IV senza eredi, concepirono il distacco della Sicilia dalla monarchia e l’incoronazione del M. come re dell’isola. Nella congiura erano coinvolte tutte le maggiori famiglie del Regno rappresentate dai loro cadetti: oltre a Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto, erano Giuseppe Ventimiglia, fratello del marchese di Geraci; Giovanni Gaetano, fratello del principe del Cassaro; Giuseppe Requesenz, fratello del principe di Pantelleria; Ferdinando d’Afflitto, fratello del principe di Belmonte; Pietro Filangieri, fratello del marchese di Lucca e molti altri, che in caso di insuccesso non avrebbero pregiudicato le sorti del loro lignaggio.
Tuttavia il M., irritato dal fatto di non poter contare su un appoggio unanime, giacché una parte dei congiurati sosteneva invece Luigi Moncada, si risolse a denunciare il complotto al viceré José Juan de Austria, consigliato in questo senso anche dalla moglie. Pertanto, inviò a Messina il segretario Barnaba Giacinto Pirelli al fine di svelare i termini della cospirazione, di cui peraltro il viceré era già stato avvertito dal principe di Trecastagni, il messinese Domenico Di Giovanni. La reazione di José Juan de Austria, pur lontano da Palermo, fu durissima anche se non plateale e non intesa a colpire direttamente l’aristocrazia siciliana, ai cui esponenti coinvolti fu dato modo e tempo di abbandonare l’isola. Antonio Lo Giudice, Giuseppe Pesci e Simone Rao furono imprigionati, così come l’abate Gaetani, uno dei congiurati, nonché Lorenzo Potomia e il maggiordomo del M., Mercurio Micciardo, i gentiluomini che, secondo i piani dei congiurati, avrebbero dovuto guidare la popolazione palermitana alla rivolta contro il viceré.
Nel gennaio 1650, dopo l’arrivo a Palermo del viceré, Giovanni del Carretto (che non aveva voluto abbandonare la Sicilia) fu tradotto in carcere, e fu emesso un bando contro i congiurati fuggiti e colpevoli di lesa maestà. Si accordava il perdono al solo M., grazie alla sua delazione, a condizione che si presentasse a Palermo, pena la confisca dei beni in caso di rifiuto. Pochi giorni più tardi il perdono fu promesso a quanti fra i congiurati si fossero presentati spontaneamente. Dopo un rapido processo, il 22 gennaio Giuseppe Pesci fu decapitato, Lorenzo Potomia fu affogato e il suo cadavere, squartato, fu appeso fuori dalle mura cittadine nel luogo detto Lo Sperone, dove abitualmente venivano esposti i cadaveri dei banditi e degli assassini. Il 26 febbraio furono strozzati, non pubblicamente, il conte di Racalmuto, l’abate Gaetani e Mercurio Micciardo. Simone Rao fu risparmiato dietro il pretesto di una sua presunta denuncia della cospirazione al padre gesuita Spucches, contemporanea a quella del Mazzarino.
Dopo il fallimento del complotto il M. si ritirò nelle proprie terre, così come fecero molti congiurati al loro rientro nell’isola. Soggiornò principalmente a Mazzarino e si occupò direttamente dell’andamento dei suoi feudi.
Nel 1659, alla morte di Margherita Branciforte d’Austria, la sua eredità fu contesa tra i due omonimi cugini, il M. e il conte di Raccuia, fondatore della cittadina di Bagheria, che, in virtù del matrimonio con Caterina Branciforte, del M. era anche cognato. La controversia si risolse a favore del M., che ereditò gran parte dei possedimenti della cugina con i rispettivi titoli – principe di Butera e marchese di Militello –, mentre il secondo ereditò il titolo di principe di Pietraperzia con l’omonimo feudo.
Da quel momento il M. cominciò ad alternare i soggiorni a Militello Val di Catania, già sede della ricca corte di Francesco Branciforte e di Giovanna d’Austria, a quelli abituali nella cittadina di Mazzarino.
Da circa un decennio aveva cominciato a ridisegnare l’impianto urbano della cittadina e a conferirle un aspetto barocco. Il primo intervento, all’inizio degli anni Cinquanta, interessò la sua stessa residenza: abbandonò la rocca avita, Castelvecchio, una costruzione risalente al periodo normanno più volte rimaneggiata nel corso dei secoli e nel Seicento ormai isolata rispetto al borgo, per costruire in pieno centro un palazzo signorile che, quando fu terminato dal suo successore, occupava circa 4000 m2. Successivamente iniziò la costruzione della chiesa di S. Ilaria del Carmelo, affiancata da un imponente convento destinato ai padri carmelitani, per lungo tempo residenti nella chiesa adiacente a Castelvecchio; fra il 1664 e il 1665, su sua committenza, l’altare maggiore fu adornato con le statue della Fede e della Speranza e transennato con una balaustra di marmo colorato, furono realizzate tre cappelle e innalzata la grande cupola. Sempre dietro suo ordine furono realizzate inoltre la chiesa dello Spirito Santo e la chiesa di S. Anna, con annesso un enorme complesso conventuale destinato ad accogliere le monache benedettine, oggi demolito.
Malgrado la partecipazione in primo piano nella congiura del 1649, negli anni seguenti, al pari di molti altri protagonisti della vicenda, il M. fu chiamato dal sovrano a ricoprire incarichi di fiducia: nel 1672, durante la carestia che colpì duramente la Sicilia, fu nominato vicario generale del Regno.
Il M. morì nel 1675 a Mazzarino, dove fu sepolto nella chiesa di S. Ilaria del Carmelo, in un sarcofago di marmo rosso nel braccio destro del transetto.
Il M. non aveva avuto figli né dalla prima moglie, Agata Branciforte, sposata nel 1628, né dalla seconda, Luisa Moncada, figlia di Ignazio, principe di Paternò, e vedova di Girolamo Branciforte, duca di San Giovanni, sposata il 5 nov. 1662. Gli successe, pertanto, il nipote, Carlo Carafa Branciforte, figlio della sorella Agata, che aveva sposato Fabrizio Carafa, marchese di Castelvetere e principe della Roccella.
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