BOTTI, Giuseppe
Nato a Vanzone San Carlo (Novara), il 3 novembre 1889, da Bartolomeo e da Maria Gorini, studiò nel collegio Mellerio-Rosmini di Domodossola, il cui ambiente religioso doveva indirizzarne gli interessi verso la letteratura cristiana delle origini, che nel 1913 fu oggetto della sua tesi di laurea alla università di Torino. Conseguito nel 1914 il diploma di magistero, nel 1916 diventò professore di ruolo di materie letterarie nelle scuole medie, affiancando all'attività didattica quella della ricerca. Tra il 1914 e il 1921 approfondì gli studi di letteratura cristiana latina, pubblicando alcuni articoli su Tertulliano e Atenagora. Nel frattempo aveva incominciato ad interessarsi alla civiltà dell'Egitto faraonico, cui lo incoraggiavano, a Torino, la presenza del ricco Museo Egizio, nonché la personalità di Emesto Schiaparelli allora direttore del medesimo. Sotto la guida dello Schiaparelli il B. fece ben presto dell'egittologia l'oggetto precipuo delle sue investigazioni e dei suoi studi, dedicandosi in particolare all'approfondimento del settore filologico, secondo quello che era stato l'indirizzo di base dei suoi studi universitari. Impratichitosi nella lettura dei testi ieratici, gli fu affidato, nel 1920, l'incarico, da parte dello Schiaparelli, di classificare i papiri ieratici pervenuti al Museo con l'acquisto, nel 1824, della collezione Drovetti.
Già oggetto di un rapido studio da parte di J.-F. Champollion, durante il suo soggiorno in Italia nel 1826, tale fondo di papiri costituì, per il B., il materiale sul quale acquistare familiarità con i segni della scrittura ieratica. Di questo suo noviziato sono testimonianza i suoi primi articoli egittologici: La Collezione Drovetti e i papiri del R. Museo Egizio in Torino, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XXX (1921), pp. 128-135, 143-149; Frammenti di un testo storico in onore di Tutmosi III,ibid., s. 5, XXXI (1922), pp. 348-353, nel quale pensò di aver individuato un precedente di quello che sarà il poema di Qadesh di Ramses II (interpretazione dal B. stesso corretta più tardi con la nota A Fragment of the story of a military expedition of Tuthmosis III to Syria, in The Journal of Egyptian Archaeology, XLI [1955], pp. 64-66); Frammenti di registri di stato civile della XX Dinastia, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, s. 5, XXXI (1922), pp. 391-394; Il culto divino dei faraoni, in Mem. della R. Accad. Naz. dei Lincei, s. 5, XVII (1923), pp. 141-168. Gli stessi papiri costituirono l'oggetto della prima opera del B. di dimensioni più ampie, elaborata in collaborazione con l'egittologo inglese Thomas Eric Peet (Il giornale della necropoli di Tebe, Torino 1928) e riguardante una serie relativamente omogenea di documenti relativi alla registrazione giornaliera delle attività delle maestranze adibite, durante la XX dinastia, all'allestimento e alla decorazione delle tombe della necropoli tebana, e residenti nel villaggio di Deir el-Medināh. In tale opera - che rese il B. noto anche al di fuori dei confini d'Italia - può registrarsi già il carattere tipico di tutte le sue pubblicazioni successive: interesse rivolto esclusivamente al documento volta per volta considerato, bibliografia limitata ai confronti di più immediata evidenza, semplificazione massima delle argomentazioni, ristrette, dallo studioso, agli elementi da lui ritenuti essenziali.
Con la morte dello Schiaparelli (1928), fu chiamato alla direzione del Museo Egizio di Torino Giulio Farina, già ispettore presso la sezione egiziana del Museo Archeologico di Firenze. Privo dell'appoggio di colui che era stato il suo sostenitore, e per di più in non buoni rapporti con il Farina, il B. sollecitò una sistemazione più stabile nell'ambito dei quadri egittologici, ottenendo, nel 1932, l'esenzione dall'insegnamento e l'assegnazione al Museo archeologico di Firenze. Poté così dedicarsi esclusivamente agli studi sull'antico Egitto e accettare l'offerta di recarsi a Praga tra il 1932 e il 1934 a seguire i corsi di demotico tenuti da František Lexa, onde prepararsi allo studio dei papiri demotici raccolti in Egitto nel corso degli scavi condotti a Tebtyni, nel Fayyūm, dalla missione archeologica italiana, diretta da Carlo Anti nel 1931, e conservati a Firenze. Dal 1939 egli affiancò allo studio dei papiri demotici fiorentini la pubblicazione di singoli pezzi sparsi in varie collezioni minori d'Italia (Bologna, Firenze, Parma, Pavia). Nel 1942 conseguì la libera docenza, ma tale riconoscimento ufficiale non mutò le esigenze fondamentali e gli orientamenti del B., il quale continuò con tenacia e costanza a percorrere la via intrapresa. Alle pubblicazioni di più breve respiro, dedicate a singoli monumenti delle raccolte italiane di antichità egiziane, inframezzò lavori più impegnativi. Usciranno così Le sculture del Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano 1951, steso in collaborazione con il romanista Pietro Romanelli; Le antichità egiziane del Museo dell'Accademia di Cortona ordinate e descritte, Firenze 1955; e tutta una serie di articoli su materiale di Firenze, Torino, Taranto, Domodossola.
Nel 1956, la facoltà di lettere dell'università di Roma lo chiamò a ricoprire la cattedra di egittologia. Nell'anno accademico 1960-1961, ormai fuori ruolo per raggiunti limiti d'età, tenne il suo ultimo corso libero, trasmettendo ai suoi allievi la traduzione (poco prima pubblicata) di un papiro di età adrianea contenente testi di glorificazione del dio Sobek, e rinvenuto a Tebtyni nel 1931 (La glorificazione di Sobk e del Fayyum in un papiro ieratico da Tebtynis, Copenaghen 1959). Nel 1958 era intanto uscito Le casse di mummie e i sarcofagi da El Hibeh nel Museo Egizio di Firenze, Firenze 1958.
In seguito, oltre ad articoli minori, egli pubblicò nel 1964 il catalogo della collezione egiziana di Parma (I cimeli egizi del Museo di Antichità di Parma, Firenze 1964). Tuttavia la sua opera più impegnativa fu il primo volume del catalogo ufficiale del Museo Egizio di Torino, comprendente la pubblicazione di una serie di papiri demotici di età tolemaica riguardanti la vita giuridica e amministrativa degli abitanti di Deir el-Medinh e rinvenuti nel 1905 dallo Schiaparelli (L'archivio,demotico da Deir el-Medineh, Firenze 1967). Se si eccettua un articolo pubblicato nel 1968, fu questa l'ultima opera del B., e come tale si configura come punto di arrivo di tutta la sua produzione, per la stessa impostazione interna dello studio, nel quale l'autore concentrò tutta la sua esperienza. Nemmeno un anno più tardi, si spense improvvisamente a Firenze il 27 dic. 1968. Per sua volontà i suoi libri, schedari e manoscritti sono stati donati al Museo Egizio di Torino.
Più che egittologo il B. fu un filologo dedicatosi ai testi dell'antico Egitto, in quanto tutte le sue ricerche - con poche eccezioni - furono incentrate intorno a testimonianze scritte, mentre produzione materiale e artistica non riuscirono a trovare in lui un acuto lettore. Egli non fu quindi mai un archeologo, né genericamente uno storico dell'antichità. Ogni qualvolta nel corso di una ricerca si trattava di avanzare ipotesi o collegamenti non concretamente documentabili ("leggibili") il B., quasi volutamente e consapevolmente, rinunciava all'impresa. Frutto di questo suo atteggiamento è il suo rifiuto a fare opera di sintesi o di divulgazione. Per lo stesso motivo l'Egitto del B. è un Egitto innanzitutto documentario, benissimo rappresentato proprio dal tipo di testimonianze che vide il suo maggiore impegno: i papiri demotici. Anche in quest'ultimo caso, tuttavia, il B. rifuggì sempre dall'allargare il proprio discorso a problemi più generali di amministrazione, di economia, o anche storici in senso lato, ma si attenne sempre ed esclusivamente alla interpretazione e alla ricostruzione del testo volta per volta considerato. Sotto questo aspetto il B. non solo non si iscrive nell'ambito di alcuna scuola egittologica ben definita (ricordiamo che fu praticamente un autodidatta), ma non cercò mai di esprimere una sua visione critica dell'antico Egitto, né tanto meno di trovare, nella sua disciplina, un collegamento con la cultura contemporanea. Il senso di umiltà che pervase tutta la sua opera e anche la sua stessa vita (che fu quasi ascetica), unita alla linearità con la quale considerava lo studio del mondo faraonico, impedì al B. di formare una scuola (e a questo contribuirono certamente anche le circostanze esterne della sua esistenza e il fatto di aver troppo poco insegnato nell'università). Questa serie di fattori contribuì a far sì che egli dedicasse la sua attenzione proprio a quei documenti che, per essere privi di implicazioni storiche macroscopiche, spesso vengono ignorati dallo studioso in cerca di documenti "rivelatori". Onde ogni suo articolo servì a svelare al mondo egittologico qualcuno dei monumenti "minori" conservati in tante collezioni egiziane d'Italia, spesso ignote allo stesso specialista. Merito, questo, che dà al B. un posto ben definito nell'ambito dell'egittologia. E se oggi i suoi lavori sono in parte superati, spesso da riprendersi, tuttavia resta il materiale da lui reso di pubblica conoscenza, a costituire una vera e propria "collezione egiziana", trovante un nesso logico interno esclusivamente nella vocazione dello studioso piemontese.
Bibl.: S. Curto, G. B. "Secondo", in Aegyptus, XLVII (1967), pp. 247-252 (con bibl.); S. Donadoni, G. B. (necrologio), in Riv. degli studi orient., XLIII (1968), pp. 379-382; per una bibliografia completa delle opere del B., vedi Bibliografia degli scritti di G. B., a cura di S. Bosticco, in Studi in onore di G. B., Roma 1967, pp. 3-7 (aggiornata al 2 febbr. 1967).