Borghi, Giuseppe
Letterato ed erudito (Bibbiena 1790 - Roma 1847), fu bibliotecario della Riccardiana e Accademico della Crusca. Autore di numerosi Inni Sacri, stampati, in più edizioni, insieme con quelli del Manzoni, del quale fu ammiratore, amico e stimato consigliere per la revisione linguistica del romanzo; cultore di lingue e letterature classiche ed elegante traduttore di Pindaro: nella polemica tra classicisti e romantici, suggerì e professò un prudente contemperamento tra il vecchio e il nuovo, l'antico e il moderno, in Una parola di conciliazione letteraria. A Palermo, tra il '35 e il '36, tenne un corso regolare e completo su D., il primo nelle università italiane; intanto, collaborava alla nuova edizione della Commedia a cura della Crusca (La D. C. ridotta a miglior lezione... da G.B. Niccolini, G. Cappotti, G.B., F. Becchi, Firenze 1837). Per le sue idee liberali fu costretto ad allontanarsi dalla Sicilia e migrò in Francia, dove allestì un nuovo commento al poema (La D. C. con nuovi argomenti e note di G.B., Parigi 1844), che si aggiungeva ad altri suoi precedenti, pubblicati in Italia dal 1827 al 1837 (v. Mambelli, Annali, nn. 149, 165, 179, 185, 195, 199, 200). Concepì l'ambizioso disegno delle Storie italiane dall'Era volgare al 1840, in diversi volumi, rimasto allo stadio di abbozzo.
Il suo amore per D. sovrasta ogni altro interesse, come attestano le svariate redazioni del suo primo commento del 1827, ritenuto a torto " insufficiente " dal Batines (Bibliografia II 416) ma già pregevole per chiarezza e sobrietà. Le lezioni palermitane s'iscrivono nel clima di fecondo entusiasmo dei primi decenni del secolo: tra l'opera del Monti e il Commento del Tommaseo, tra la Vita di D. del Balbo e il Discorso sul testo del Foscolo; vi riecheggiano quindi i pregiudizi del sec. XVIII (come quando si lamenta " il monotono e secco andamento " per presunto difetto d'intreccio nel poema, e " l'accozzamento dell'antico e del moderno, del sacro e del profano, dell'istoria santa e della favola ": Studi di letteratura italiana, I, Dei primi scrittori italiani e di D. A., Palermo 1837, 156) e le polemiche classico-romantiche del sec. XIX (come quando si avanza l'auspicio che i giovani ingegni si ritemprino sul modello dantesco per uscire dalla morta gora delle " fole arcadiche " e delle " reminiscenze d'età, che più non sono ": ibid. 25). Il poeta della Vita Nuova è salutato maestro della lirica italiana, di fronte al quale " messer Francesco non sembra più sì originale, sì passionato e sì lindo " (p. 19), e la prosa del Convivio gli appare il primo esemplare di prosa severa che vanti la lingua italiana " e la prima che parli filosofia " (p. 41). Il B. giunge così all'identificazione del modello dantesco coll'ideale del poeta di tutti i tempi: " pien di filosofia la mente e il petto ". Da particolare passione sembrano animate le sue pagine sulla originalità della Commedia che costituisce " l'emancipazione dell'antica e il più bel tipo della moderna poesia " (p. 156): di là dall'idea classica e medievale del viaggio ultraterreno, l'originalità del poema si fonda sulle " condizioni dell'evangelica fede " che al poeta dischiudono " sorgenti di maraviglia, di dottrina, di affetti, più feconde, più caste, più nobili, più perenni " (p. 56 ss.). Decisivo valore assume quindi per il B. l'allegoria, oggetto della sesta lezione: la vera via smarrita è la Sapienza, la selva è l'intrigo dei " trambusti cittadineschi " (p. 60) e cioè l'esperienza politica del priorato; e le tre fiere incarnano i nemici più accaniti del poeta: Firenze, Carlo di Valois, la Curia; come Virgilio è " l'alleviamento agli affanni recatogli dalla dolcezza degli studi " (p. 81) e il Veltro, secondo l'interpretazione storico-politica proposta dal Troja e sulla scia del pensiero di Marchetti, Costa, Balbo, Bianchi, raffigura la stessa Roma restituita alla sua funzione egemone di guida; per concludere che il viaggio dantesco " consiste meno nella visione teologica dei tre regni, che nella rappresentazione politica e morale degli uomini e dei tempi coevi al poeta " (p. 97). Di qui anche la definizione borghiana, perseguita con metodo e prospettiva cari al Balbo, della Commedia come opera non solo di poesia ma anche di " storia vera e presente ", di " testimonianza " della stessa storia d'Italia (p. 104), contro le ipotesi faurieliane del " soggettivismo di Dante ".
Nell'Appendice, che chiude l'edizione palermitana delle lezioni, il B. accoglie in parte le obiezioni mossegli dall'allievo Perez sull'interpretazione dell'allegoria fondamentale, e attenua notevolmente il suo iniziale punto di vista, mostrando di concedere più credito di quanto non avesse prima fatto all'opinione degli antichi chiosatori di D. (v. Vaccalluzzo, p. 177).
Opere dantesche del B., oltre le citate, sono: La D. C. con nuovi argomenti, note e indici delle cose notabili, Firenze 1827-1828; La D.C. a c. di G.B., Milano 1832; La D. C. con le note di P. Costa e gli argomenti dell'Abate G.B., Firenze 1840-42; Esposizione della D. C. in foggia di argomenti, in Florilegio dant., Ancona 1847 (altra ediz., in Scritti vari intorno a D.A., Venezia 1856).
Bibl. - " Biblioteca Italiana " LXXXVIII (1837), 115 ss.; N. Vaccalluzzo, G. B. e il suo corso dantesco, Catania 1905; B. Croce, Storia della storiografia ital. nel sec. XIX, I, Bari 1921; L. F. Benedetto, Uomini e tempi, Milano-Napoli 1953, 271 ss.; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, 133, 146, 193.