BORGHI, Giuseppe
Nacque a Bibbiena, nel Casentino, il 4 maggio 1790, da Carlo e da Caterina Borghini. Studiò nel collegio vescovile di Castiglion Fiorentino, avendo per maestro di lettere italiane e latine l'arcidiacono A. Dragoni. Appena compiuti gli studi, il B. vi fu nominato insegnante di retorica e, in seguito, di filosofia; nel frattempo divenne sacerdote. Per arricchire la sua cultura umanistica si diede allo studio del greco, raggiungendone una certa padronanza, tale da consentirgli una versione delle Istmiche di Pindaro (Pisa 1822). Trasferitosi intanto a Firenze, pubblicò la traduzione completa delle Odi (Firenze 1824), che, molto lodata, segnò l'inizio della sua carriera di letterato: il B. fu ammesso come socio all'Accademia della Crusca e ne vinse il quinquennale concorso.
Durante la sua residenza fiorentina, protrattasi fino al 1832, il B. frequentò il circolo del Vieusseux ed ebbe così modo di incontrarsi con le maggiori personalità della cultura italiana. Nel 1826 avrebbe voluto pubblicare sull'Antologia una polemica e roboante risposta in terzine alle accuse lanciate dal Lamartine alla "terra dei morti", ma per l'opposizione della censura essa vide la luce solo nel 1842.
Con una raccolta di dodici Inni (Firenze 1831) che riecheggiavano, esternamente, la lirica religiosa del Manzoni. il B. raggiunse una larga notorietà, attestata dalle numerose edizioni che se ne ebbero, nelle quali al gruppo iniziale (A Dio Padre, Il Verbo,Allo Spirito Santo, ecc.) egli aggiunse vari altri inni, sempre di argomento religioso.
Per quanto il B. si dichiarasse e fosse in genere considerato un manzoniano, in realtà l'influenza maggiore da lui subita fu quella del Monti, cui aveva dedicato la traduzione di Pindaro. Il riscontro di immagini e metri degli Inni sacri mostra infatti la vera natura, essenzialmente oratoria, dei versi del B., che fa di lui un facile quanto modesto poeta d'occasione. Ciò si rivela in maniera ancora più palese nei suoi numerosi componimenti degli anni successivi, viziati da uno scoperto impegno adulatorio: si vedano le Canzoni per le nozze di Leopoldo II (Roma 1833); la cantica In morte di V. Bellini (Palermo 1835); quella sul Museo di Versailles (Parigi 1838), piena di iperbolici elogi di Luigi Filippo, ecc. Una raccolta della sua produzione poetica, Liriche, apparve a Firenze nel 1845.
Agli inizi del 1833, avendo perduto per una poco limpida vicenda il posto di vicebibliotecario della Riccardiana, il B. si trasferì a Roma, dove rimase, tranne una breve parentesi napoletana, sino al 1835. Non avendo trovato in questa città, nonostate la protezione accordatagli da monsignor C. E. Muzzarelli, una soddisfacente sistemazione, accettò l'invito rivoltogli da T. Gargallo di recarsi a insegnare nell'università di Palermo. Dopo non poche difficoltà, il B. dall'ottobre del 1835 - era giunto in Sicilia nell'aprile di quell'anno - riuscì a tenervi un corso di eloquenza: furono dodici lezioni, raccolte poi in volume (Studi di letteratura italiana. De' primi scrittori e di Dante Alighieri, Palermo 1837 e poi Firenze 1845), che ebbero il merito di incrementare la ripresa degli studi danteschi in Sicilia.
In esse il B. si dimostra un cultore appassionato dell'opera di Dante, cui si avvicina non ignaro delle più recenti voci della critica, anche se con una sensibilità sostanzialmente montiana. Un altro contributo dantesco egli aveva dato prima di lasciare Firenze, collaborando con G. B. Niccolini, F. Becchi e G. Capponi all'ediz. della Divina Commedia detta "Dei quattro Accademici" (Firenze 1837).
Il B. rimase in Sicilia circa tre anni, durante i quali si inserì agevolmente nella vita culturale dell'isola. Sebbene fosse alieno da ogni impegno politico, la sua presenza tuttavia fu considerata nociva dalla polizia borbonica: nel giugno 1838 fu costretto a imbarcarsi per Marsiglia, da dove proseguì per Parigi, ove si trattenne sino al maggio 1841. Deluso nelle sue aspettative - si era offerto invano al Lamartine come traduttore della sua opera poetica - ritornò in Italia: fu ad Arezzo, dove divenne canonico della cattedrale, e quindi a Firenze. Si trasferì infine a Roma dove morì il 30 maggio 1847.
Se in Sicilia il B. aveva svolto una proficua azione culturale, in seguito la sua attività appare solo un susseguirsi di espedienti: si può considerare tale anche la massiccia opera Sulle storie italiane dall'anno primo dell'era cristiana al 1840, alla quale egli si accinse con una disinvoltura da abile letterato. Ne apparvero presso il Le Monnier, legato al B. da interessi editoriali, solo i primi cinque volumi (Firenze 1841-1845), che narrano gli avvenimenti fino alla metà del sec. IX. Giovandosi di una prosa oratoria, ricca di echi letterari, il B. si palesa un frettoloso e via via sempre più maldestro cultore del tipo di storiografia impersonificato da C. Botta, sebbene la sua preoccupazione saliente sia costituita da una pugnace quanto ingenua apologetica religiosa.
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