BIANCHINI, Giuseppe
Nacque a Verona il 9 sett. 1704 da Chiara Gaetani, bresciana, e da Giambattista, fratello di Francesco. Quest'ultimo si addossò la cura della sua educazione.
Il B. rimase devotissimo alla memoria dello zio: provvide a mettere in luce alcune sue opere inedite e, se lasciate imperfette, a dar loro l'ultima mano; di due grandi imprese da lui iniziate si fece continuatore: l'edizione del Liber pontificalis e la Historia ecclesiastica. Non riuscì invece a portar a termine l'edizione del carteggio e della "superba" raccolta di iscrizioni messa insieme dall'infaticabile monsignore.
Era ancora convittore nel seminario di Montefiascone (la celebre fondazione del vescovo M. A. Barbarigo), allorché nel 1725 gli fu conferito dal capitolo veronese un canonicato nella chiesa cattedrale e dal pontefice, con bolla del 20 marzo, la prebenda di S. Luca. Ritornato a Verona, prese possesso il 23 maggio del canonicato. Cominciò a lavorare nella libreria del capitolo: "la nobil cava de' manoscritti", appena un tredicennio innanzi "resuscitata" per le diligenze di Scipione Maffei.
Gran parte di quelle ricchezze era ancora intatta. Della Bibliotheca Veron. manuscripta, preparata in un settennio di lavoro dal Maffei, era uscito nel 1721 solo un saggio: l'edizione tutt'altro che impeccabile delle Complexiones di Cassiodoro. Fu lo stesso Maffei a raccomandar al B. lo studio di quei manoscritti. Raccomandazione probabilmente superflua: che cosa valessero quei codici il B. sapeva bene dallo zio, che nel 1720 li aveva esaminati e aveva estratto da essi un Ordo Romanus per il suo Anastasio. Guastatosi con i canonici del capitolo, il marchese voleva evidentemente addestrare un ricercatore fidato che disponesse di quella libreria. Il B. possedeva già una buona preparazione teologico-giuridica: in quei primi mesi di stage acquisì la necessaria esperienza paleografica. Il suo centro d'interesse s'andò rapidamente fissando nello studio dell'antichità sacra.
Ma si darebbe un'immagine incompleta della fisionomia intellettuale del B. a quest'epoca, se non si tenesse conto della vivacità dei suoi interessi per le scienze sperimentali. Una larga e aggiornatissima cultura scientifica dimostra di possedere l'autore del Parere sulle cause della strana morte della contessa Zangari: uno scritto d'occasione, steso nel 1731 per compiacere al conte veronese O. Ottolini.
Di un fenomeno apparentemente preternaturale il B. cercava, da buon meccanicista, le cause fisiche: la natura - è l'assioma che guida l'indagine -, a guardar ben "al di dentro delle cose", "non preterisce giammai quegli ordini delle vere leggi meccaniche che ad essa furono dal Divino Facitore prescritte" (Parere ... 1731, p. IV). Il libriccino ebbe fortuna: onorato da lusinghieri resoconti della Bibliothèque raisonnée des ouvrages des savans de l'Europe, Amsterdam, XXXIX, e di P. Rolli (Philosophical transactions, L, Londra, 1745, pp. 447 ss.), fu in men di vent'anni ristampato quattro volte. Il B. vi aveva sostenuto la possibilità di autocombustione di un vivente. Se ne ricorderà il Dickens in Bleak House (cap. XXXIII e prefazione).
Ben presto però tali interessi verranno, se non proprio accantonati del tutto, respinti in secondo piano dagli studi di storia ecclesiastica e di filologia biblica, e dalla passione antiquaria. Larga sarà, in quest'ultimo campo di ricerche, l'attività del B.: riprenderà e porterà avanti il progetto di Francesco di "provare" la storia ecclesiastica con i monumenti; formerà il piano di illustrare, in occasione dell'anno santo, in collaborazione con l'incisore Vasi, le magnificenze di Roma antica e moderna in dieci volumi; di antichità profane e sacre discorrerà più volte nelle accademie pontificie; di moltissime iscrizioni fornirà copie al Maffei e al Muratori; sarà lui infine a spingere Benedetto XIV a creare nel 1756 il Museo Cristiano Vaticano, che era stato il gran sogno dello zio.
Con tutto questo, nei suoi ultimi anni affiorerà in lui un interesse nuovo, quello per l'economia politica: tra le sue carte è una raccolta di editti e opuscoli con estratti di economisti antichi e moderni dal titolo Del commercio d'Europa, un rifacimento aggiornato - si direbbe - del Traité général du commerce di Samuel Ricard (cod. Vallic. U 45).
Qualche mese appena dopo il ritorno a Verona il B. ricevette in custodia, grazie alla protezione dell'arciprete Muselli, la tanto preziosa libreria del capitolo. Quei codici di venerabile antichità erano ora a sua completa disposizione.
Cercò di evitare per quanto poteva la collisione con il Maffei. Collaborò da principio con lui, e fuil B. a collazionare due antichissimi codici capitolari (sec. V), contenenti i libri De Trinitate e i Commentaria in Psalmos di s. Ilario, per la riedizione delle opere del santo che D. Vallarsi e A. Bonifacio andavano curando sotto la direzione del marchese. Ma ben presto gli passò avanti con l'edizione, nel 1735, del Psalterium. IlMaffei si dolse con lui non tanto del fatto quanto della scorrettezza usatagli: "Avrei voluto solamente che me ne dicesse una parola innanzi" (Maffei, Epistolario, p. 745). Ancor più gli spiacque che il B. avesse comunicato a G. Cenni un testo che egli, come il B. ben sapeva, aveva in animo di pubblicare (Concilium Lateranense Stephani III A. 769..., Romae 1735). Nella stessa lettera con un tratto da gran signore si diceva pronto tuttavia ad aiutarlo nella sua opera di editore, partecipandogli i risultati delle proprie ricerche. Ma in cuor suo sospettava, o gli fecero credere, che il B. facesse parte della "lega" formata a Roma contro di lui. Più tardi si ricredette e lo volle amico. Il B. per parte sua cercò di propiziarselo in tutti i modi; ma temé sempre che il marchese, prima o poi, prendesse la penna contro di lui: sarebbe stato penoso il dover scendere in polemica con il vecchio studioso.
Le primizie dei propri studi il B. offrì, come doveva, allo zio: due lettere inedite di papa Gelasio (Ad Succonium e Ad Natalem), che Francesco molto volentieri inserì nel suo Anastasio (Gelasii I. R. P. Epistulae duae antehac ineditae in Anastasii Bibliothecarii Vitae RR. PP., III, pp. LI-LIV). Avrebbe voluto unire ad esse un trattato di Felice III; ma le schede non giunsero in tempo. Le lettere gelasiane e il trattato feliciano il Maffei pubblicò in quello stesso anno (Sacros. Concilia, V, Venetiis 1728, coll. 180-207, ovvero Supplem. Acacianum, Venetiis 1728). Il B. si affrettò a ripubblicare a sua volta tutti e tre quegli scritti; attribuì però la lunga lettera-trattato ai vescovi d'Oriente "de evitanda communione Acacii" non già a Felice III, ma al suo successore Gelasio (Gelasii I. R. P. Epistulae tres, in I. Sirmondi,Op. varia, Venetiis 1728, IV, pp. 545-560); nella stessa raccolta aveva migliorato il testo del Pro defensione di Facondo d'Ermiana (II, pp. 296-585). Per l'attribuzione della lettera contro Acacio a Felice prese posizione il dotto domenicano B. M. de Rubeis (De una sententia danmationis in Acacium..., Venetiis 1729). Ristampando anni dopo quei testi, il Maffei ribadì il proprio punto di vista (Opusc. Eccl., Trento 1742, p. 220n.). L'opinione moderna (Thiel,Epistolae Romanorum Pontificum..., Brunsbergae 1868) ha dato ragione al Bianchini.
Nel 1732 uscì finalmente con dedica al cardinal Quirini la raccolta annunciata come imminente quattro anni avanti da Francesco. Conteneva vari testi tolti tutti dalla Capitolare veronese riguardanti la storia religiosa dei secc. IV-VI. Il Muratori lodò la raccolta ("È cosa da fare onore all'Italia") e ne inserì un pezzo - una vita inedita di papa Simmaco - nel vol. II della sua edizione del Liber Pontificalis (Epistolario, a cura di M. Campori, VII, Modena 1904, pp. 2916, 3027 s., 3072 s.).
L'operetta uscì che già il B. aveva dimesso la custodia della Capitolare e s'era portato a Roma per entrare nella Congregazione dell'Oratorio della Chiesa Nuova. Vi fu ammesso il 14luglio. Il giorno successivo rinunziò nelle mani del papa alla prebenda di S. Luca a favore di L. Ottolini. Il B. era stato attratto senza dubbio dall'ideale di devozione semplice e profonda dell'istituto di s. Filippo Neri, da quel tipo di convivenza sacerdotale a mezza strada tra il clero secolare e il regolare; ma anche dal desiderio irresistibile di lasciar Verona e di metter fine ai contrasti con i fratelli, che invece con suo vivo dolore dovevano trascinarsi ancora per anni.
A Roma, come aveva pronosticato il Muratori, fu più facile al B. "proseguire nello studio dell'erudizione". Vi trovò naturalmente nuove biblioteche da sfruttare. In primo luogo la Vallicelliana. La rovistò per lungo e per largo: formò un catalogo (cod. Vallic. S 70) e una silloge dei suoi monumenti manoscritti (codd. Vallic. S 71-73), nonché un indice delle cose contenute nei suoi manoscritti greci (cod. Vallic. S 62); preparò schede e appunti per il catalogo delle sue opere a stampa (cod. Vallic. U 90). Se ne servì probabilmente il padre V. Vettori per comporre nel 1749i suoicataloghi. Trovò ricchissime biblioteche private: quelle del cardinal Passionei e del suo consanguineo A. Chigi; l'Ottoboniana; la Barberina; infine la Vaticana. Da Roma riuscì a crearsi con più facilità una rete di corrispondenti eruditi in Italia e in Europa. A Roma trovò protettori e stampatori volenterosi che gli permisero di dar corpo ai suoi vasti disegni editoriali.
Poco dopo il suo arrivo il B. assunse il compito di portar a termine l'edizione del Liber pontificalis intrapresa dallo zio. Formò un "collegium continuatorum" che lavorò con lui a utilizzare i materiali lasciati dal monsignore: G. F. Baldini, G. Cenni, L. Maffei. La collaborazione dei due ultimi soprattutto gli fu preziosa: il Cenni curò la cronologia cesareo-pontificia e stese le note cronologiche; il Maffei annotò sistematicamente il testo delle Vitae.
L'edizione non presenta grandi novità testuali: il B. continuò la collazione del Farnesianus e, a partire da s. Gregorio Magno, cominciò a servirsi del cod. Vallic. C 79, un manoscritto di classe E, copia del Vat. 3762. Le novità maggiori, come nei volumi precedenti, si trovano soprattutto nelle note, nelle tavole e soprattutto nei prolegomeni. In questi ultimi il B. incluse un manipolo di testi inediti tolti per la maggior parte dalla Capitolare veronese, molti dei quali - son parole del Duchesne (Liber pontificalis, II, Paris 1955, p. LVIII) - "n'ont avec le Liber pontificalis qu'un rapport très éloigné". Sono nell'ordine: a) il ristretto cononiano del Liber pontificalis, secondo un manoscritto veronese; b) il sacramentario leoniano; c) il decreto di Gelasio I de recipiendis,et non recipiendis libris (tre recensioni su colonne parallele); d) il frammento del Liber pontificalis laurenziano terminante con papa Vigilio; e) l'invettiva contro Roma pro Formoso papa scritta al tempo di Giovanni X; f) una collazione del martirologio di Beda nel testo degli Acta SS., marzo II, comparato col manoscritto di Verona; g) il salterio grecolatino di Verona. Voleva mettere, in luogo di prefazioni, sette dissertazioni epistolari (fra gli altri, a G. Cenni, a G. Orsi, a L. A. Muratori, a L. Ottolini), ma poiché avrebbero ingrossato di troppo il volume vi rinunciò. Ne pubblicò soltanto due: la prima all'indirizzo di S. Maffei, l'altra a F. Garbelli. I pezzi più rari della raccolta sono il secondo e il settimo: due monumenti pregevolissimi della Capitolare veronese. Con essi il B. si meritò la gratitudine dei liturgisti.
Il cod. Capit. LXXXV (80) in lettere onciali, eseguito nel sec. VII o addirittura nella seconda metà del VI alla scuola di Verona (E. A. Lowe,Codices Latini Antiquiores, IV,Italy: Perugia-Verona, Oxonii 1947, p. 32), oppure secondo altri (Beer, Traube, Bishop, Cabrol) in Spagna, in Africa, a Bobbio, a Luxeuil è uno dei più antichi sacramentari che si posseggano. L'edizione bianchiniana, ricca di un folto apparato, era ammirevole. La denominazione, conservata dall'ultimo editore (Sacramentarium Leonianum, a cura di C. L. Feltoe, Cambridge 1896), è però doppiamente impropria; non si tratta infatti di un sacramentario destinato all'uso dell'altare ma di una raccolta fatta da un privato per uso personale di materiali di diversa provenienza; né il suo autore è s. Leone Magno, benché vi si trovino qua e là espressioni che risentono del suo stile e del suo frasario. Dubbi e problemi che si erano affacciati tutti al momento della pubblicazione (G. Acami,Autore,e pregi del Sagramentario Veronese pubbl. dal M.R.P. G.B., Roma 1748). L'edizione apprestata dal B. godette nel Sette-Ottocento, fino a quella del Feltoe, una meritata autorità. La ripubblicarono senza migliorie il Muratori (che giudicò il leoniano una compilazione del tempo di Felice III) e G. A. Assemani; con qualche miglioria i fratelli Ballerini, i quali - eseguita una revisione del testo - inserirono il sacramentario tra le opere del santo (S. Leonis Magni Opera, II, Veronae 1756, pp. 1160; Migne,Patr. Lat., LV, pp. 22-156). Il Psalterium bilingue greco-latino (sec. VI) con elementi pregeronimiani era la parte che più stava a cuore al B.: s'era andato convincendo infatti di aver trovato un anello utile alla ricostruzione della più perfetta delle versioni latine pregeronimiane della Bibbia, la cosiddetta Itala di cui - almeno così si credeva - è menzione in Agostino. La restaurazione di quell'antica versione, giudicata perduta, diventerà ormai il suo pensiero dominante. Progetto ambizioso, senza dubbio. Ma le imprese difficili - non lo nascondeva - lo attraevano: "Genus hoc est voluptatis meae - spiegava al Garbelli - quae pene deperdita sunt, ea quaero" (Vitae, IV,Prolegomena). Ripubblicandolo nelle Vindiciae stampò su due colonne parallele il testo dell'Itala e in caratteri latini il greco dei Settanta, in una versione preesaplare.
Il volume anastasiano era riuscito dunque un'opera abnorme ma considerevole: "Les editeurs ont donné beaucoup (asserisce il Leclerq); ils eussent donné plus et mieux s'ils avaient pu exploiter la Vaticane" (Dictionnaire d'archeol. chétienne..., IX, col. 452). "Maisla Vaticane - aveva scritto il Duchesne - était gardée contre eux" (Liber pontificalis, II, p. LIX). Lo rimase per poco.
Grazie al cardinale Quirini, l'anno dopo il B. poté tuffarsi in quel gran mare di manoscritti. Molto lo aiutarono nelle ricerche i custodi S. Assemani e, dal 1738, G. Bottari. E Maffei raccomandava di fare delle nuove scoperte edizioni separate, e di non ingrossare tutto sull'Anastasio: già si diceva in giro che fosse l'arca di Noè. Il B. stava dunque lavorando al tomo quinto e ultimo. C'è di più: in una lettera al fratello Gaspare del 16 genn. 1745 diceva di averlo già sotto i torchi. Come mai non venisse pubblicato resta da scoprire. La novità maggiore del volume sarebbe stata, questa volta, nel testo: il B. aveva finalmente messo le mani sull'autorevolissimo codice della Capitolare di Lucca (Lucensis 490). Una collazione sommaria di esso comunicò infatti a P. G. Ugolini che la pubblicò alla fine del vol. III dell'edizione già intrapresa dallo zio, G. Vignoli (Liber Pontificalis, III, Romae 1751). Di lì a qualche anno G. D. Mansi ebbe cura di aggiungere alla sua edizione del Liber Pontificalis le varianti del testo di Lucca.
Lo studio dei manoscritti vallicelliani fece nascere al B. l'idea, all'indomani della pubblicazione dell'Anastasio, di mettere in luce qualche operetta inedita del Baronio e di raccogliere il suo carteggio. Il lavoro da lui fatto sarà utilizzato dall'Alberico. Nel 1738, morto il men che mediocre Laderchi, i padri dell'Oratorio deputarono il B. a continuare gli annali del Baronio. I moltissimi lavori e tutti di grande impegno che aveva allora sul telaio lo distolsero per qualche anno dall'entrare in quell'impresa. Il Muratori non si stancava di esortarlo a finirli e dedicarsi tutto al suo compito di annalista. Poteva essere la più grande impresa della sua carriera. Aveva in realtà cominciato a lavorarvi intorno sin dal luglio del 1744: "Questa è la grand'opera - scriveva al fratello Gaspare - in cui travaglio. Per riuscirvi ho bisogno di molte orazioni". Non vi riuscì: gli annali saranno continuati un secolo dopo (1856) da un altro filippino, A. Theiner. Tra le carte bianchiniane non si trovano tracce, come per altre opere, di lavoro preparatorio. Fu per suo merito tuttavia che nel 1745 il Baronio ricevette il titolo di venerabile.
La presenza del B. a Roma, ridotta in quegli anni "a poco per conto dell'erudizione", aveva ravvivato l'ambiente culturale romano: era questa l'opinione del Muratori. Gli studi biblici ricevettero da lui nuova linfa. Finalmente uno che riusciva ad uguagliare in quel campo di studi l'opera dei maurini: del vecchio Martianay e del Sabatier, che da circa un trentennio andava lavorando egli pure attorno alle antiche versioni latine della Bibbia. Sarà proprio nell'ambiente maurino che l'opera bianchiniana riceverà i più calorosi e autorevoli consensi. Il B. divise in effetti con il Sabatier l'errore di credere in una sola versione pregeronimiana, l'Itala: errore del quale i benedettini di Beuron, riprendendo l'opera di quest'ultimo su basi moderne, hanno fatto giustizia (Vetus latina, Freiburg-Br. 1949).
Stimolato da quell'ipotesi di lavoro, che eccitava il suo zelo religioso ("Si tratta la causa di Dio, si tratta delle Divine Scritture"), il B. tese tutte le proprie forze. Riuscì a prendere visione di molti tra i più importanti codici contenenti la versione latina dei Vangeli avanti s. Girolamo: il Vercellensis,a (sec. IV); il Veronensis, b (sec. V); il Brixianum, f (sec. VI); il Corbeiensis n. 21, ff1 (secc. V-VI); il Sangermanensis, g1; il Vindobonensis, i. Questi codici, assieme ad altri di minor valore, saranno alla base della stupenda edizione, stupenda anche per l'esecuzione tipografica, dell'Evangeliarium quadruplex Latinae versionis antiquae seu veteris Italicae, approntata già nel 1744, ma apparsa soltanto ai primi del 1749. Valga per tutti il giudizio di uno specialista, il Mangenot: "ouvrage... le plus considerable, le mieux conçu et le mieux exécuté au point de vue critique sur les Evangiles de l'Italique". Giudizio implicitamente confermato dalle due ristampe romane del 1904 e del 1914 (Collect. Biblica Lat., III). In tale opera il B. esibiva anche gli specimini e le descrizioni di un gran numero di codici greci, latini (tra gli altri del Foroiuliensis e del Perusinus), ebraici, siriaci ed arabi della Bibbia. Giustamente fiero delle sue scoperte, egli le attribuiva non tanto alla sua abilità e tenacia di ricercatore quanto piuttosto a una speciale assistenza celeste: quella versione, eseguita per l'uso dell'Italia nei tempi apostolici, "si credeva dagli eruditi perduta; ma il Signore me l'ha fatta ritrovare". In un'aria di miracolo rivivevano quelle scoperte nel racconto che faceva ad A. M. Quirini (che per primo l'aveva incoraggiato allo studio delle Scritture), dedicandogli (1740) le Vindiciae: "mihi occurrere, et quasi lucere visi sunt non pauci IV. V. VI. saeculi codices mss. Divinae Scripturae qui... Antiquam Latinam Italam mirifice repraesentant". Egli era dunque il predestinato a strappare l'Itala dalle tenebre.
La pubblicazione dei quattro Vangeli non era che una parte del programma esposto in un'opera precedente, le Vindiciae canonicarum scripturarum, approntata nel 1739 e uscita l'anno dopo. Il piano del B. era di rintuzzare sul terreno filologico gli attacchi dei protestanti alla Volgata: in particolare quelli dell'espertissimo conoscitore della tradizione manoscritta della Bibbia, Humphrey Hody, "hostis acerrimus" della versione dei Settanta.
Aveva divisato perciò di mettere insieme un grande corpus in sei parti, contenente: 1) frammenti inediti delle esaple originali; 2) ilibri del Vecchio Testamento tradotti da s. Girolamo sul testo esaplare dei Settanta; 3)una "ingens sylva" di variantes lectiones della versione geronimiana; 4) molti libri del Vecchio e del Nuovo Testamento dell'Itala; 5) i libridel Vecchio Testamento tradotti dal caldaico in latino da s. Girolamo; 6) l'apologia del canone delle Sacre Scritture "quem affiante Numine condiderunt Patres Concilii Tridentini" (Vindiciae, p. CCLIII). Nel primo tomo, il solo pubblicato, trovano posto, un po' alla rinfusa, dopo una prefazione generale nella quale è ritracciata la storia dei testi originali e delle versioni greca e latina della Bibbia, alcuni anticipi dell'opera futura. I più importanti sono: alcuni frammenti delle esaple estratti dal Chisianus R. VII. 45; le varianti della volgata geronimiana raccolte sia dal Toletanus daC. Palomares sia dal Vallicellanus e dal Paullinus dallo stesso B.; frammenti della medesima versione tolti da manoscritti vaticani; parti del Vecchio Testamento dell'Itala estratti da manoscritti di diversa provenienza. L'opera ebbe successo (Novelle lett., Firenze 1741, coll. 132, 149, 164, 261, 278, 358, 373, 387, 525, 530, 549; Novelle della repubbl. lett., Venezia, 1741, p. 283; Journ. des Savants, 1743, pp. 117-124) anche dal punto di vista editoriale: in un anno l'edizione era quasi esaurita.
Negli stessi anni il B. andava pure occupandosi di cose liturgiche. Nel 1738 era sul punto di dare un'intera biblioteca Rerum liturgicarum "in guisa che - gli diceva il Muratori - nulla di più resterà da sperare intorno a questo argomento". Una parte minima del materiale adunato pubblicò nell'edizione delle opere del venerabile Tommasi, intrapresa per sollecitazione del Passionei. Il testo che il B. fece conoscere in tale occasione è uno dei più preziosi: il Libellus orationum (fine sec. VIII) della Capitolare veronese, il più antico degli orazionali mozarabici provenienti dalla chiesa di Tarragona.
Il primo volume - l'unico apparso - contiene: il trattato del bollandista Ioannes Pinius sulla liturgia mozarabica, i prolegomeni al breviario mozarabico, note del Cenni e del B. al Libellus orationum. Nella seconda parte: il testo del Libellus, le opere del Tommasi e, sotto il titolo Supplem. Thomasianum, la prefazione del Passionei agli abati della Congregazione elvetica, i Flores psalmorum (un'operetta di Prudenzio di Troyes), un'esplicazione dell'orazione domenicale e del simbolo, e alcune collette d'orazioni. Il Cabrol non ha torto: "l'édition manque un peu d'ordre, il faut le dire". La vastità del piano e gli intrighi dei teatini fecero sì che l'opera s'arrestasse a quel primo tomo. La ripubblicazione delle opere del Tommasi sarà di lì a poco ripresa e portata a termine meno bene dal Vezzosi (Roma 1747-1758).
Premuto da tante preoccupazioni (non già perché fosse morto, come afferma S. Bertelli,Erudizione e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, p. 463, n. 55), il B. non poté ultimare la sua biblioteca liturgica, e passò i materiali al Muratori. Tra essi c'erano le collazioni del Vat. Reg. 337 e dell'Ott. 313 per il testo del sacramentario gregoriano: due codici importanti, che già avevano attirato l'attenzione del Tommasi.
Congedato il manoscritto dell'Evangeliarium quadruplex, liberatosi dall'impegno della raccolta di antichità liturgiche, volse tutto il proprio pensiero, rimettendo ancora una volta ad altro tempo il lavoro degli annali, alla Historia ecclesiastica. Ai primi del 1746 ne divulgò il prospetto (Methodus historiae ecclesiasticae quadripartitae et in XVI saecula distributae, Romae 1746).
Intorno ad essa spese moltissima fatica: prova ne sia l'enorme fascio di materiali e di appunti che si ritrovò tra le sue carte (codd. Vallic. T 1-27). Riprendeva un'idea dello zio (illustrare la storia ecclesiastica sulla base dei dati archeologici), il quale non era riuscito tuttavia ad andare più in là del I sec. Il nipote voleva proseguir l'opera fino ai suoi giorni. Ne uscì nel 1752la parte prima; nel 1753, la seconda; nel 1754, la terza: in tutto tre tomi in folio (oppure sette in ottavo per due secoli di storia). Nel 1757l'editore Barbazza annunziò che i secc. III-IV sarebbero "indispensabilmente" usciti nell'anno successivo (Novelle lett., Firenze, 1757, coll. 624-628). Ma l'edizione non andò più avanti. Probabilmente l'alto costo dell'opera tenne basso il numero degli associati.
Il 1754 - l'anno della crisi nella pubblicazione della Historia - era stato per il B. funesto. Sin dai primi anni romani egli aveva lavorato con accanimento eccessivo, incurante dei consigli degli amici che, come il Muratori, cercavano di porre un freno al suo troppo studiare. All'enorme lavoro editoriale si era aggiunta nel 1748 la segreteria dell'Accademia di storia ecclesiastica, creata da Benedetto XIV (che singolarmente amava e stimava il B.), con sede nella Chiesa Nuova. Sono numerose le dissertazioni da lui lette in questa sede e nell'accadermia antiquaria che si riuniva nei palazzi apostolici alla presenza del papa (codd. Vallic. U 5-8, II, T 53 e 86). Verso il 1747, incaricato di riordinare l'archivio di S. Maria Maggiore, ne profittò per estrarne tutti quei documenti che potevano interessare la storia della basilica; mise insieme ventidue volumi (codd. Vallic. T74-95). Per intercessione del cardinale de Rohan, Benedetto XIV gli venne incontro accordandogli nel settembre del 1740 una pensione mensile di dieci scudi per pagarsi un copista. Questa attività frenetica e autodemolitrice minò irreparabilmente la salute del Bianchini. Colpito da un grave collasso, giunse, nel novembre del 1754, in punto di morte. Da questo momento la sua produttività declina e sembra, anzi, cessare del tutto. In realtà egli aveva continuato, sia pure con maggiore moderazione, i suoi studi prediletti, e stava lavorando in particolare attorno alle versioni greche del libro di Daniele. L'opera dal titolo: Tetraplon,in quo Δανιήλ κατὰ Θεοδοτὶωνα cum versione Latina,item Δανιήλ κατὰ Ο᾿, pariter cum versione Latina, era pronta alla metà del 1763. Nel luglio aveva ottenuto dal Tanucci l'autorizzazione a dedicarla al re di Napoli. La morte, sopraggiunta il 13 ott. 1764, gli impedì di mandare a fine il suo disegno. Anni prima, nel 1760, s'era molto interessato a una nuova edizione della Bibbia poliglotta, a proposito della quale ebbe un fittissimo carteggio con il cardinale V. A. delle Lanze. In precedenza, nel 1756, era intervenuto autorevolmente circa la ristampa del messale armeno fatta da Propaganda.
La sua opera imponente è senza dubbio uno dei maggiori contributi della Congregazione filippina alla cultura italiana. È tuttavia incerto se fosse stato toccato in profondità dalle idee giansenistiche largamente diffuse nell'ambiente della Chiesa Nuova. I suoi rapporti con i più segnalati giansenisti dell'epoca (fra gli altri Passionei, De Gros, Bottari, delle Lanze, Foggini) sono in realtà rapporti tutti di carattere erudito.
Opere: Parere sopra la cagione della morte della Sig. Contessa Cornelia Zangari ne' Bandi, Verona 1731 e 1733, Roma 1743 e 1758; Enarratio Pseudo-Athanasiana in Symbolum antehac inedita,et Vigilii Tapsitani de Trinitate ad Theophilum l. VI. Accedit Symbolum Nicaenum cuni Symmachi PP. Vita, Veronae 1732; Anastasii Bibliothecarii Vitae RR. PP., IV, Romae 1735; Vindiciae Canonicarum Scripturarum vulgatae latinae editionis, Romae 1740; J. M. Thomasii Opera omnia, I, Romae 1745; Delle magnificenze di Roma antica e moderna L.I. che contiene le porte e le mura di Roma..., Roma 1747; Evangeliarium quadruplex..., Romae 1749, 2 tomi in folio; Hist. calchographica septemdecim annorum M. Iubilaei…, Romae 1750; Hist. calcographica veteris tituli SS. Marcellini et Petri..., Romae 1751; Demonstratio Historiae Ecclesiasticae quadripartita, I, Romae 1752; II, ibid. 1753; III, ibid. 1754; Idea della Venerabile Arciconfraternita di S. Maria della Morte di Roma..., Roma 1763.
Fonti e Bibl.: Copiosissimi di carte bianchiniane i fondi manoscritti vallicelliani (293 voll., compresi quelli di Francesco, Catal. alfabetico MSS). Di particolare interesse le 70 lett. del B. al Muratori nell'Arch. Muratori presso la Bibl. Estense di Modena; le 35 al Quirini nella Nazionale di Parigi; quelle al Lami nella Riccardiana di Firenze; quelle al Bottari nella Corsiniana di Roma, quelle al Muselli nella Bibliot. Capit. di Verona, cod. CCCCXXXVII, ecc. Brevi memorie e discorsi nella Vaticana,Vat. lat. 565-8081, ff. 103-1075 113-119, 121-138; cod. 573-8113, ff. I-III; cod. 574-8116, ff. 89-101. Sei lettere al Sarti (1743-1761) nella Biblioteca dell'Archiginn. di Bologna, B. 316, e nell'univ. di Bologna, Caps. CXVIII, alcune lettere sopra la storia calcolgrafica dei SS. Marcellino e Pietro; S. Maffei,Epistolario, a cura di C. Garibotto, Milano 1955, pp. 745, 790 s., 1031; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760 pp. 1182-1185; I. B. presbyteri congregationis Oratorii Romani Elogium historicum, Romae 1764; F. A. Zaccaria,Bibliotheca ritualis, Romae 1778, II, p. 135; C. A. De Rosa di Villarosa,Memorie degli scrittori filippini, Napoli 1837, pp. 60-67; P. Gueranger,Institutions liturgiques, Paris 1880, II, P. 489; E. Mangenot,J. B. et les anciennes versions de la Bible, in Revue des Sciences Ecclésiastiques, s. 7, V (1892), pp. 150-175; S. Filippo Neri e il contributo degli Oratoriani alla cultura italiana nei secoli XVII-XVIII, Roma 1950; H. Hurter,Nomenclator literarius, pp. 71-76; Dictionn. de la Bible, I, coll. 1774-1775; F. Cabrol, in Dict. d'arch. chrétienne et de liturgie, II, I, coll. 838-839.