BERTO, Giuseppe
Nacque a Mogliano Veneto (Treviso) il 27 dic. 1914 da Ernesto e da Norina Peschiutta. Il padre era un maresciallo dei carabinieri che, dopo il congedo, gesti un negozietto di cappelli e ombrelli: il B. si sentì tutta la vita condizionato dall'autorità paterna e dal conformismo piccolo borghese della famiglia, cui cercò di opporre una più scapigliata e giovanile spregiudicatezza personale. La guida migliore alla sua biografia è offerta da una novantina di pagine (L'inconsapevole approccio) che il B. stesso scrisse come premessa alla ristampa del suo primo romanzo Le opere di Dio (Roma 1948; rist., Milano 1965), fatta riserva per l'intonazione spiccatamente ironica con cui circonda alcuni passaggi della sua giovinezza visti nella prospettiva dei "dopo". Risulta, cosi, che a otto anni fu messo nel collegio salesiano "Astori" di Mogliano dove rimase per sette anni; fece il liceo a Treviso e poi il servizio militare in Sicilia. Nel 1935 partì volontario per l'Etiopia come sottotenente di fanteria e vi rimase quattro anni, prima in un battaglione di sussistenza, poi nel XXV battaglione coloniale; riportò, infine, una ferita al tallone, e guadagnò due medaglie una d'argento e una di bronzo.
Il tema del patriottismo contrassegna tutta questa prima fase della sua vita, come risposta all'educazione fascista (aveva appartenuto dal 1929 agli avanguardisti, poi ai Giovani fascisti e ai Gruppi universitari fascisti, infine era stato capomanipolo della Gioventù italiana del littorio), ma anche come tentativo di uscire dalla routine della vita familiare. E sotto questa duplice spinta, dopo aver rapidamente superato gli ultimi esami universitari presso la facoltà di lettere di Padova in divisa militare con decorazioni, inoltrò domanda di volontario alla guerra del 1940, ottenendo - conclusa una breve esperienza di insegnamento (ricopri la cattedra di latino e storia in un istituto magistrale, poi -quella di italiano e storia in un istituto tecnico per geometri) - di partire il 15 ag. 1941 per l'Africa (e dopo aver pubblicato nel settembre 1940 il suo primo racconto sul Gazzettino sera di Venezia, in quattro puntate: La colonna Feletti, pezzi giornalistici ispirati a fatti veramente accaduti). Addetto dapprima ai rifornimenti (a Misurata, VI battaglione Camicie nere), alla rottura del fronte dell'Asse a El Alamein seguì le truppe che tentavano di arginare l'avanzata inglese; si ritirò fino in Tunisia con un gruppo di superstiti, finché fu catturato dagli Anglo-Americani il 13 maggio 1943. Trasportato quale prigioniero negli Stati Uniti (Texas, campo di Hereford), vi fu trattenuto fino al febbraio 1946. Con la pubblicazione, al ritorno in Italia (Milano 1947), del secondo romanzo scritto in prigionia, Il cielo è rosso (presso Longanesi e per l'intervento di Giovanni Comisso), iniziò la carriera di scrittore, contrassegnata dalla stampa nel giro di pochi anni di Le opere di Dio (Roma 1948) e Il brigante (Torino 1951); fu anche sceneggiatore cinematografito, e si trasferì a Roma, dove abitò fino alla morte, alternando la residenza nella capitale con quella in una villa acquistata al Capo Vaticano in Calabria.
La sua produzione fu poi attraversata da un relativamente lungo periodo di inattività, dovuto ad una fase critica dei suo equilibrio nervoso che gli rese difficili i rapporti sia con la pagina sia con l'ambiente letterario; e che gli aprì, d'altro verso, le porte all'esperienza psicanalitica sia come avventura personale sia come sondaggio culturale: furono questi gli ami intercorsi fra la pubblicazione a Affilano nel 1955 di Guerra in camicia nera e la raccolta di vent'anni di racconti (1944-1963) Un po' di successo (Milano 1963), come preludio al romanzo-svolta che fu Il male oscuro del 1964 (ibid.). Otto anni di silenzio creativo, ma di sedimentazione psichica e inventiva.
Al di là di questa "frattura" nel tempo, il complesso della sua produzione si può dividere per lo meno in quattro fasi, a seconda delle soluzioni tematiche e stilistiche di volta in volta inaugurate (sezioni che in parte, ma non letteralmente, corrispondono a quelle dal B. stesso suggerite per lo meno fino al 1965). Diremmo che il "prima" e il "dopo" rispetto all'intervallo 1955-1963 si contraddistinguono, l'uno, per un modo di raccontare più oggettivato e realisticamente spersonalizzato (il "prima", fra l'altro, è per lo più in terza persona, salvo il diario Guerra in camicia nera); e l'altro, per un modo più soggettivo e introspettivamente immedesimato (il "dopo" sfrutta spesso la prima persona, e, quand'anche non lo fa, insegue un protagonista evidentemente proiettato dall'intimo del B. come suo alter ego).
I primi tre romanzi (Le opere di Dio, Il cielo è rosso, Il brigante), pur subendo qualche suggestione della narrativa americana del tempo (Steinbeck e Hemingway soprattutto) anche al di fuori di precisi riferimenti, riflettono l'impasto ideologicamente confuso ma umanamente sincero, e spesso poeticamente patetico, di rivendicazione sociale e di fratellanza sentimentale, cioè di marxismo e di cristianesimo, quale il B. stava vivendo nella temperie ugualitaria e rinnovatrice ispirata, per reazione, dalla guerra.
Il B. scriveva in un campo di concentramento americano e lavorava di fantasia, con scarse notizie dirette: perciò faceva, se lo faceva, del neorealismo a suo modo, immaginando nel primo romanzo, Le opere di Dio, lo sfollamento di un povero gruppo familiare sotto l'avanzata del fronte in Italia, e la morte del nonno, e la perdita di ogni cosa, e la volontà del giovane protagonista Nino di cercare un futuro migliore. E nel secondo, Il cielo è rosso, descrivendo il tentativo di un gruppo di ragazzi orfani di opporsi alla distruzione della loro città (una Treviso rrinventata dal Texas) e di ricostruire un nucleo di affetti e di solidarietà oltre i vincoli formali e ufficiali dei perbenismo borghese: il ragazzo marxista (Tullio) cade sotto i colpi della sfortuna, il borghese e cristiano Daniele si uccide in una esaltata identificazione con l'agnello del Signore; ma, nel quadro tragico, si salva un sentimento di comunione fra gli umili e i diseredati, cui si aggancerà il cristianesimo del B. successivo. Nel Brigante, infine, la polemica si arroventa, e introduce il tema della malavita emarginata (vista dagli occhi innocenti dei ragazzetto Nino), che, in nome di una impossibile giustizia terrena, si brucia nella violenza e cerca un suo velleitario riscatto. Nello sforzo di sublimarsi pur attraverso il delitto, il protagonista Michele Rende (reduce, evaso, partigiano, brigante) cerca una identificazione con il martirio di Cristo, che prepara quella più esplicita dell'altro brigante (Salvatore Ribera) al centro del dramma più tardo L'uomo e la sua morte (Brescia 1964). Il B. conferisce a questo suo neorealismo una carica di passionalità romantica lontana dal freddo documentarismo, e già indirizzata alla partecipazione lirica, di cui i "ragazzi" Daniele e Nino, protagonisti e testimoni dei due primi romanzi, sono i dolci e commossi portavoce.
Il ricordato diario "in camicia nera" si incunea come una serie di appunti sovrapposti cronologicamente, cioè riscritti o risistemati dall'autore nel dopoguerra su quanto restava di quelli autentici andati in gran parte perduti: e vuole essere un bilancio a posteriori della partecipazione volontaria alla guerra come prova di coerenza morale sulla spinta della fede giovanile, e anche lo specchio di una crisi, ormai incipiente, delle antiche certezze. Ma è in realtà con il precedente Il brigante (da cui fu tratto nel 1961 il film di Renato Castellani, dopo quello girato da Claudio Gora nel 1950 da Il cielo è rosso) che si chiude la prima fase dell'attività letteraria del Berto.
Il silenzio di otto anni si interrompe, poi, nel 1963 con la serie di racconti Un po' di successo, che in parte appartengono al passato e ricostruiscono con toni sentimentali e anche con una vena di bonaria ironia le estati giovanili a Mogliano, i primi amori con le villeggianti veneziane, la guerra in Africa del 1935, le prime ambizioni letterarie; ma in parte preannu nciano anche la "ripresa", per la capacità sia di guardare con un sorriso irridente le contraddizioni della vita, sia di mettere a fuoco il proprio carattere e le proprie debolezze con un rapido sondaggio interiore. Da questo momento la narrativa del B. diventa esplicitamente autobiografica: e i due romanzi della "crisi", Il male oscuro in prima persona e La cosa buffa (Milano 1966) in terza persona, segnano il raggiungimento più alto della sua creatività e il momento più profondo della sua lettura introspettiva.
Il primo romanzo ha un arco cronologico più ampio, perché, partendo dalla malattia e morte del padre, ricostruisce l'intero passato dello scrittore, sempre all'insegna del complesso di persecuzione e inibizione creatogli dall'autorità paterna e da quello di colpa per non aver assistito alla sua fine. Il legame con una francese, il matrimonio con una donna-bambina, la paternità, una misteriosa malattia ai reni, la cura psicanalitica, ne costituiscono le tappe più appariscenti; ma sotterraneamente agisce il bisogno di perlustrare anche l'infanzia e la prima giovinezza, l'età della scuola e dei primi amori, l'esperienza di guerra, sempre alla ricerca della propria verità intema e della chiave della propria nevrosi. Il libro è scritto in una prosa fitta, senza punteggiatura, fluente come il flusso di coscienza che affiora sul lettino dello psicanalista; ma è arricchito da una lucidità di concatenazioni psicologiche e logiche e da una freschezza di humor, che ne riscattano la materia plumbea con irresistibili effetti umoristici. Il B. si è riscattato, così, dalle sue angosce dandoci una radiografia clinica e fantastica della malattia del nostro secolo: l'alienazione. E ne ha proseguito l'indagine nella terza persona di Antonio nella Cosa buffa, restringendo l'arco del racconto alla parabola "amatoria" del protagonista, con tutti i suoi complessi di provincialismo e di povertà di fronte alle intraprendenti ragazze veneziane che lo seducono e imbarazzano, lasciandolo alla fine solo e squattrinato: libro più riduttivo, ma non meno azzeccato.
Parallelamente il B. ha ripreso alcuni spunti del Brigante, stornando la sua attenzione dalla figura emblematica di Cristo-martire verso quella di Giuda-traditore, e sviluppando una sua problematica religiosa in termini di spregiudicata eterodossia. L'emarginato non si identifica più, come Daniele e Michele dei romanzi giovanili, con l'agnello di Dio, ma con l'uomo che ha tradito Cristo perché estraniato dal suo amore e posposto ai discepoli prediletti: pur avendolo amato più di tutti, Giuda è stato sacrificato al disegno di una superiore volontà che del suo tradimento aveva bisogno per compiersi. È nel dramma La passione secondo noi stessi (Milano 1972) e nell'ultimo romanzo La gloria (ibid., 1978) che il B. porta alle estreme conseguenze il suo complesso di emarginazione (o "di colpa" come lui stesso l'ha definito), intrecciato, sempre secondo le sue parole, con un parallelo istinto di "esibizione". Giuda incarna la disperazione totale e il bisogno di redenzione nella fedeltà estrema a Cristo fino all'ultimo sacrificio di sé. Nelle accorate pagine finali del B. si intende quale portata soggettiva, individualistica, fosse già presente nell'idealismo anarchico di Daniele e di Michele, sotto la veste apparentemente neorealista.
Accanto al grido disperato di Giuda, il B. ha cercato, negli anni tardi, un messaggio più conciliante, non tanto nei confronti della società, quanto verso se stesso, nel racconto romantico-decadente di un amore (il breve romanzo Anonimo veneziano, Milano 1976, dal dramma in due atti, ibid. 1971: dal precedente soggetto, il film di E. M. Salerno del 1970); e in quello ecologico-favolistico di Oh, Serafina (ibid. 1973, da cui il film di A. Lattuada del 1976) in cui vengono affrontati i temi del ritorno ai sentimenti veri, di una natura francescanamente intatta, del rifiuto della logica capitalistico-industriale: piccole oasi di commozione o di surreale evasione contrapposte alla realtà della società consumistica, dentro una tensione drammatica che, per lo scrittore, è però rimasta visceralmente incisa dalla preghiera di Giuda, l'uomo condannato. Postumo è stato pubblicato Colloqui col cane (Venezia 1986).
Il B. morì a Roma il 2 nov. 1978.
Il B aveva vinto diversi premi letterari: il Firenze nel 1948 per Il cielo è rosso; il Pro civitate christiana nel 1963 per il dramma L'uomo e la sua morte; il Viareggio e il Campiello nel 1964 per Il male oscuro; il Bancarella nel 1974 per Oh, Serafina.
Fonti e Bibl.: G. Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, Milano 1961, ad Indicem; G. Barberi Squarotti, La narrativa italiana del dopoguerra, Bologna 1965, pp. 171 ss.; M. David, La psicanalisi nella cultura italiana, Torino 1966, ad Indicem; C. Marabini, Gli anni Sessanta: narrativa e storia, Milano 1969, ad Indicem; C. Piancastelli, B., Firenze 1970 (con bibl.); G. Pullini, Volti e risvolti del romanzo italiano contemporaneo, Milano 1971, ad Indicem; G. Manacorda, Vent'anni di pazienza, Firenze 1972, ad Indicem; O. Lombardi, Invito alla lettura di B., Milano 1974; F. Monterosso, Come leggere 'Il male oscuro', Milano 1977; C. Piancastelli, G. B., in Novecento, VIII, Milano 1979, pp. 7866-7886; G. Pullini, B. e la testimonianza della guerra, ibid., pp. 7886-7891 (con indicazioni bibl. relative a recensioni alle opere del B.); O. Borrello, G. B. Le patrie perdute dell'anima, Soveria Mannelli 1984. Si vedano inoltre; Diz. critico della lett. ital., I, Torino 1973, s.v.; Diz. della lett. mondiale del '900, I, Roma 1980, s.v.