BERTINI, Giuseppe
Figlio di Giovan Battista, nacque a Milano l'11 dic. 1825; studiò all'Accademia di Brera con L. Sabatelli e G. Bisi, e vinse nel 1845 il gran premio di pittura con Dante e frate Ilario. Dopo la tradizionale parentesi romana, crebbe di fama e di fortuna, giungendo nel 1860 alla cattedra di pittura a Brera, che tenne con grande autorità e prestigio fino alla morte. Attivissimo e stimatissimo come pittore, uomo di cultura e di gusto, ricoprì delicate cariche artistiche. Sua attività principale, ma in cui non raggiunse buoni risultati, fu la creazione di vetrate artistiche eseguite nell'ambito della ditta "Fratelli Bertini", successa alla "Bertini, Brenta e C" e salita a fama, altissima, della quale il fratello Pompeo (Milano, 1829-1889), pure pittore e autore di numerosi cartoni per vetrate, era il direttore tecnico. Nella produzione, appena mediocre nonostante la risonanza internazionale,si attribuiscono a Pompeo i cartoni più piatti e le peggiori dissonanze di colori, ma non va dimenticato che il lavoro era collegiale e la direzione artistica sempre di Giuseppe.
La ditta, tra il 1849 e il 1850 e successivamente, creò tutte le vetrate del duomo di Como; tra il 1852 e il 1859 i finestroni di S. Carlo, di S. Ambrogio e quello con l'Arcangelo Michele per la facciata del duomo di Milano; nel 1856 vetrate per il S. Martino di Lucca, nel 1861 per il S. Michele di Pavia, dopo il 1866tutte le vetrate della chiesa di S. Giulia in Torino, sei finestre del coro e il finestrone della facciata della chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma, il gran finestrone per il S. Petronio di Bologna, un altro per il duomo di Arezzo, altre finestre infine per l'abside dei SS. Martiri di Arona e per il santuario della Pietà di Cannobio.
All'estero eseguì vetrate per la cattedrale di Glasgow e per il South Kensington Museum (Victoria and Albert) di Londra, per il cimitero di Lima, per la cattedrale di Rio de Janeiro. Sue opere migliori sono ritenute la giovanile vetrata con Dante e la Divina Commedia, esposta a Londra nel 1853 e ora all'Ambrosiana, e le vetrate eseguite per il cavalier Poldi Pezzoli. Ma non sono tanto da deplorarsi queste innumerevoli e piuttosto correnti opere, che non sarebbe neppure esatto definire vetrate in senso stretto e tecnico, quanto piuttosto quella sconsiderata opera di restauro che, sulle orme del padre, Giuseppe e Pompeo ripresero nel 1862, nel 1864-65 e poi, con intervalli, dal 1867 al 1890 nel duomo di Milano, rifacendo, rinnovando e ritoccando i vetri antichi, smembrando storie e persino iscrizioni, associando composizioni e parti loro proprie a quelle degli antichi maestri. In tal modo, ad. esempio, le due vetrate del Vecchio e del Nuovo Testamento furono disseminate in dodici finestre diverse.
Altrettanto infaticabile, ma degno di ben maggior rispetto e spesso di franca lode, è il B. pittore a fresco e ad olio di soggetti storici e religiosi e di ritratti. Tra gli agreschi ricordiamo la decorazione di S. Spiridione a Trieste e, a Milano, una sala terrena del palazzo Sola-Busca, i soffitti del palazzo Poldi Pezzoli e del teatro Manzoni (distrutti), la decorazione del gran salone della villa Ponti a Biumo Superiore (Varese). Tra le pale d'altare, l'Annunciazione, nella chiesa di Valmarana (Vicenza), l'Estasi di s. Francesco in S. Babila a Milano, il Transito di s. Giuseppe nella parrocchiale di Paderno d'Adda. Tra le pitture storico-romantiche si ricordano l'Ofelia (Milano, già nella raccolta Negroni-Prati-Morosini), il Tasso e l'Emanuele Filiberto (Palazzo Reale di Torino), e varie altre, tutte nella Galleria d'arte moderna di Milano, dove è conservato anche un soggetto di genere, la Macerazione della canapa. Dipinse i sipari del teatro Manzoni e alla Scala; quest'ultimo, in collaborazione con R. Casnedi. raffigurava il Carro di Tespi. Numerosissimi i ritratti, da quelli dei membri della famiglia reale, replicati numerose volte, a personaggi lombardi; parecchi di questi sono nella Galleria d'arte moderna di Milano e nella quadreria dell'Ospedale Maggiore.
Come professore di pittura a Brera il B. fu diligentissimo, esigente, severo, autoritario, ma, per testimonianza concorde, un grande insegnante, ed ebbe tra i suoi allievi, che ne riconobbero l'alta seppur dura formazione, uomini come Bouvier, Faruffini, Cremona, Ranzoni, Mosè Bianchi, Carcano, Tallone, Pelizza da Volpedo. E questo merito gli va riconosciuto, come quello, non certo trascurabile, di essere stato per lunghi anni l'aiuto e il mentore oculatissimo del cavalier Poldi Pezzoli nella non facile raccolta del celebre Museo, che il patrizio donò in fondazione autonoma alla città, nominando riordinatore e prosecutore a vita della sua opera appunto il Bertini. Opera di varia e grande cultura, che il B. confermò quando, preposto alla direzione della Pinacoteca di Brera, ne promosse e riordinò le raccolte.
Come artista, partito dallo Hayez, alimentò le sue ricerche con uno studio continuo che va dai quattrocentisti al Tiepolo, ai Nazareni, all'Overbeck; conosceva a fondo il mestiere sia dal lato tecnico sia da quello illustrativo, ed ebbe grandiosità di partiti, di luci, di ombre, di riuni, e grande sicurezza di composizione. Ma, sordo al colore, legato a un ideale di pittura storica, chiuso e come tale già sopravvissuto, evolse faticosamente con i tempi senza riuscire a liberare dalle tradizionali pastoie la sua pittura.
Il B. morì a Milano il 24 nov. 1898.
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