BERIO, Giuseppe
Nacque a Genova nel 1841 da Alessandro, consigliere di corte d'appello di origine onegliese, e da Bianca Vissey; compì gli studi nelle scuole della sua città, e nell'università locale si laureò in giurisprudenza. Iniziò la sua attività forense nel 1867.
Vicino per la sua professione agli ambienti armatoriali, e politicamente alla Sinistra, il B. nel 1876 fu eletto consigliere provinciale di Genova per il mandamento di Cairo Montenotte. Nel 1879, dimessosi A. G. Barrili da deputato di Albenga, si presentò candidato in quel collegio. La sua elezione, contestata dall'avversario Stefano Castagnola, fu convalidata dalla Camera nella seduta del 25 giugno 1879. Rieletto deputato nell'80 e consigliere provinciale nell'81, nelle elezioni del 1882 a scrutinio di lista si presentò, con successo, nel secondo collegio di Genova, che allora comprendeva anche Albenga; dal 1886 al 1892 rappresentò a Montecitorio il collegio di Portomaurizio e dal 1892 fino alla morte quello di Oneglia. Fu anche per qualche tempo consigliere comunale di Genova.
Nella sua lunga vita parlamentare il B. non disgiunse mai la difesa degli interessi armatoriali e di quelli dei piccoli proprietari agricoli della Liguria occidentale, attività economiche tipiche della sua terra, da un impegno ideologico largamente liberale di cui fu caratteristica testimonianza la discussione sulla legge elettorale del 1881, in cui propose che il suffragio fosse esteso a tutti i cittadini maschi maggiorenni in grado di leggere e scrivere.
Nel 1881 il B., che già l'anno precedente aveva chiesto che la direzione, generale della marina mercantile fosse sottratta al ministero della Marina militare per essere affidata a quello dell'Agricoltura, Industria e Commercio, fu tra i promotori di una inchiesta parlamentare sulle condizioni del nostro naviglio, gravemente danneggiato dalla concorrenza francese, alla quale avrebbero dovuto seguire adeguati provvedimenti protezionistici. Questi vennero sotto forma di facilitazioni creditizie e fiscali solo due anni più tardi, quando le pressioni del gruppo dei parlamentari della Sinistra, tradizionalmente legati agli armatori, ebbero la meglio sulla tattica dilatoria adottata dal governo. è di questo periodo la fusione delle due maggiori società di navigazione del tempo - la Florio e la Rubattino - nella Società di navigazione generale; il B. caldeggiò alla Camera l'operazione (1881), ma di lì a un anno rivolse una lunga interrogazione parlamentare al ministro dell'Industria Berti (Sulla Società di navigazione generale italiana, lettera dell'onorevole G. B. a S. E. Domenico Berti… e risposta del ministro, Roma 1882), nella quale si faceva portavoce delle preoccupazioni dei piccoli e medi armatori minacciati dalla concorrenza della nuova società. Si mostrava inoltre allarmato dell'eccessiva centralizzazione della direzione e dell'amministrazione romana che minacciava l'autonomia e l'importanza della sede di Genova, e deplorava che il governo avesse approvato lo statuto sociale che limitava la partecipazione alle assemblee ai possessori di cento azioni o più e che consentiva - tramite le deleghe - il predominio, almeno teorico, di un solo azionista. Negli anni seguenti il B. intervenne sui bilanci del ministero della Marina e sui provvedimenti a favore del naviglio nazionale; nel dibattito sui premi di costruzione (leggi Boselli, 1885) sostenne l'opportunità che questi venissero concessi, in misura maggiore del previsto, alla marineria velica e specialmente a quella utilizzante gli scafi in legno. Ma queste richieste di protezione si accompagnarono assai spesso alla difesa della libera concorrenza e il B. non mancò talvolta di accusare le grosse società sovvenzionate di servirsi dei premi non per le rotte più difficili, ma per quelle più redditizie, al fine di eliminare gli armatori liberi.
Nello schieramento parlamentare il B. occupò una posizione affine a quella di Baccarini e Zanardelli, cioè all'ala più avanzata della Sinistra costituzionale; ma quando i due si distaccarono da Depretis, che faceva mostra di volersi appoggiare troppo a una parte della Destra, egli non li seguì nell'opposizione al ministero. Ben presto però si unì nuovamente ad essi, partecipando al banchetto di Napoli che inaugurò la "Pentarchia" (novembre 1883), e da tale data condusse una blanda opposizione al trasformismo.
Il B. fu relatore della legge che istituì il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e del disegno di legge Baccelli per la riforma dell'ordinamento universitario (febbraio 1884). Nella discussione sulle convenzioni ferroviarie appoggiò le tesi di Baccarini favorevoli all'esercizio statale, raccomandando almeno che i concessionari si valessero dell'industria nazionale per le forniture e votò a favore delle tariffe doganali, sia nel 1883 sia nel 1887, anche questa volta cercando di tutelare alcuni limitati interessi industriali e agricoli del suo collegio. Eletto a far parte della commissione parlamentare preposta all'esame dei decreti registrati con riserva e di quella di vigilanza sugli istituti di emissione, diede il suo appoggio ai vari governi Crispi e Di Rudinì che si successero al Depretis, non nascondendo il suo favore per quelli cui partecipavano Giolitti e Zanardelli.
Intorno al 1890 il B. intraprese due lunghi viaggi nell'America meridionale per incontrarsi con le comunità italiane dell'Uruguay e dell'Argentina; a Buenos Aires, per incarico del governo, provvide alla istituzione di una succursale della Banca d'Italia.
Ostile alla politica di espansione coloniale, non votò la fiducia all'ultimo ministero Crispi e non approvò la sanzione legislativa ai decreti legge sui provvedimenti di pubblica sicurezza presi dal governo per i disordini in Sicilia e in Lunigiana. In più di un'occasione, durante la battaglia che l'Estrema condusse contro i propositi reazionari dei ministeri Pelloux, il B. non esitò a schierarsi con essa. Il nuovo corso liberale lo vide perciò incondizionatamente favorevole, e con calde parole salutò alla Camera la politica del governo Zanardelli in un discorso che può essere considerato il suo testamento politico (Atti parlamentari, Camera. Discussioni, XXI legislatura, sessione II, p. 53).
Negli ultimi anni il B. si dedicò prevalentemente alla professione e all'avviatissimo studio legale che aveva a Genova. Qui morì il 21 marzo 1906. Il giornale socialista genovese Il Lavoro, a testimonianza della stima che si era saputo conquistare anche presso gli avversari, gli dedicò un commosso epicedio.
Fonti e Bibl.: Atti parlamentari. Camera, Discussioni, ad Indices, specialmente legislature XIV (sessione I), XV, XIX, XX; L. Giordano, Memorie onegliesi, Genova 1923, pp. 160 s.; P. Isnardi, Oneglia mia, Cuneo 1955, pp. 278-83; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 334, 374, 383, 385-87.