BECCARELLI, Giuseppe
Di umili origini (il padre esercitava il mestiere di sarto), nacque nel 1666 a Pontoglio (Brescia). Trasferitosi dapprima ad Urago d'Oglio e poi a Brescia, "studiò qualche cosa ed a procurarsi congruo sostentamento vestì subito da prete e servì in qualche casa nel condurre teneri figlioli alle scole ed insegnar loro da sé", come riferisce un suo biografo, il contemporaneo Averoldi (Artuso, p. 457). Più tardi, ottenuta la protezione di un facoltoso signore bresciano, Cesare Martinengo, il B. istituì nella casa di lui un istituto per l'educazione dei giovinetti, sul modello delle scuole dei gesuiti. Questa iniziativa ebbe un notevole successo (il collegio contava una settantina di studenti nel 1695 e oltre un centinaio pochi anni dopo) e guadagnò al B. un largo prestigio nella migliore società bresciana. Tuttavia pare che sorgessero presto, presso il vescovato di Brescia, forti sospetti di quietismo sulla educazione che egli impartiva ai suoi allievi e sui rapporti che lo stesso sacerdote di Pontoglio intratteneva con numerosi esponenti del clero secolare e con molte gentildonne che lo avevano scelto come guida spirituale.
Tali sospetti si inserivano, e trovarono perciò subito credito, in una lunga tradizione del movimento quietista a Brescia, che traeva le sue origini specialmente dalla predicazione dei pelagini della Val Camonica, operanti ancora alla fine del secolo, sebbene la setta fosse stata ufficialmente condannata e dispersa tra il 1653 e il 1657. Pare che anche il B., divenuto poi il principale protagonista dell'ultimo clamoroso episodio di quietismo nella diocesi, tanto che i contemporanei finirono con il denominare "beccarellismo" il movimento quietista bresciano, si iniziasse alla pratica dell'orazione di quiete per questa via: sebbene non molto si sappia della sua esperienza religiosa, questo sembra infatti potersi argomentare dalla notizia dei suoi rapporti giovanili con un prete bresciano, tale Bona, del quale furono poi scoperte relazioni epistolari con il capo dei pelagini camuni di quel periodo, il parroco di Berzo-Demo e poi di Pisogne, Marcantonio Recaldini.
Tuttavia pare che non fosse soltanto la preoccupazione per una ripresa del movimento ereticale a indurre le autorità ecclesiastiche e poi quelle civili all'intervento contro il Beccarelli. Fu probabilmente la stessa fortuna ottenuta dalla sua iniziativa scolastica - così egli stesso, poi sostenne - a procurargli potenti inimicizie nel'ambiente ecclesiastico bresciano, che alla fine provocarono la sua rovina: il successo del B. doveva infatti colpire molti interessi a Brescia, tra le varie istituzioni educative preesistenti alla sua e particolarmente tra i gesuiti, i quali provocarono contro di lui un'inchiesta del vescovo B. Gradenigo, subito interrotta però per la morte dello stesso nel luglio 1698. Di nuovo i gesuiti intervennero contro il B. presso il nuovo vescovo, il cardinale D. M. Dolfin, e presso la stessa Repubblica veneta perché fosse chiuso l'educandato, ottenendo quanto desideravano nel 1701, d'ordine del governo veneziano. Per breve tempo, però, ché il B., forte di influenti amicizie - pare che lo stesso Dolfin non gli fosse troppo ostile - ottenne di riaprirlo sotto il nome e la direzione di un giovane sacerdote suo discepolo.
Così negli anni seguenti l'influenza del B. aumentò ancora, specialmente sul clero cittadino; particolarmente si atteggiavano a suoi seguaci alcuni canonici del duomo, forse a lui legati anche dall'attività dell'educandato. Furono proprio le dicerie che presero a correre in Brescia sulla condotta e sulle dottrine professate da questo gruppo di sacerdoti, soprattutto nella pratica delle confessioni, a riproporre l'attività del B. all'attenzione delle autorità ecclesiastiche e politiche. Del resto abusi venivano segnalati anche in altri settori del clero bresciano: l'ostilità dei gesuiti fece sì che ne ricadessero sul B. le maggiori responsabilità ed egli fu costretto a giustificarsi presso l'Inquisizione a Padova. Dopo questa esperienza indusse i sacerdoti del gruppo che a lui faceva capo ad impegnarsi verso di lui con un giuramento di obbedienza.
La designazione alla diocesi di Brescia, nel maggio del 1706, del patriarca di Venezia, il card. Giovanni Badoer, presso il quale i gesuiti avevano grande influenza, determinò un inasprimento dell'atteggiamento delle autorità ecclesiastiche verso l'attività del Beccarelli. Contro di lui e contro i suoi seguaci - anche se non esplicitamente nominati - il Badoer prese apertamente posizione, comunicando con un editto del 14 luglio 1707 la scomunica ipso facto a tutti coloro che sotto pretesto di esercizi spirituali o di orazione mentale avessero indetto riunioni non autorizzate di fedeli. Con un secondo editto del 12 novembre seguente il Badoer esortava i sacerdoti ad una prudente brevità nelle confessioni delle giovani; proibiva le visite degli ecclesiastici nelle case private per impartire ammaestramenti spirituali e per ricevere confessioni; liberava dal vincolo del giuramento di non comunicare ad altri quanto venisse loro insegnato i penitenti che tale imposizione avessero accettato dal proprio direttore spirituale; proibiva la cieca obbedienza che taluni prestavano allo stesso e riaffermava, infine, il valore dell'orazione vocale.
Non bastò tuttavia questa decisa posizione del vescovo a scoraggiare il B. ed i suoi seguaci, i quali anzi reagirono contro il Badoer con ogni sorta di satire e pasquinate. I fedeli della diocesi furono profondamente turbati da questo contrasto e l'ordine pubblico ne fu a tal punto compromesso che le autorità venete, probabilmente sollecitate dallo stesso vescovo, si decisero ad un intervento definitivo. Lo preannunziava il Badoer da Venezia ad un suo corrispondente bresciano: "Finalmente la perfidia e la pertinacia del B. si è tirata addosso l'odio di tutta Venezia. Non andrà gran tempo e si vedranno gran cose" (Artuso, p. 458). Infatti poco dopo, il 30 maggio 1708, il podestà di Brescia intimava al B. la chiusura del collegio e il 4 giugno ne ordinava l'imprigionamento.
Nell'aprile dell'anno successivo - quando ormai i seguaci del B. si erano completamente dispersi, alcuni sottomettendosi alle autorità ecclesiastiche, altri, i più compromessi, abbandonando lo Stato - venne aperto il processo a cura delle autorità ecclesiastiche. Invano il B., sostenuto anche dal gesuita P. Valsecchi, teologo della Repubblica, tentò di essere rinviato alla giurisdizione civile: la sua richiesta fu respinta dal Senato. Nonostante la disperata difesa del B., che dapprima si riconobbe colpevole soltanto di "alcuni toccamenti disonesti di poca entità" (Artuso, p. 460) e fu costretto solo dalla tortura a confessare ed abiurare un più nutrito elenco di errori quietisti, il tribunale ecclesiastico, costituito dal Badoer e dall'inquisitore T. Manganone, lo condannò il 13 sett. 1710 a sette anni di galera con i soliti corollari canonici. Subito dopo anche il Consiglio dei Dieci lo sottopose a processo, condannandolo il 15 luglio 1711 al carcere a vita.
Il B. morì nella prigione veneziana dei Piombi il 5 luglio 1716, quando ancora in Brescia non si erano spenti gli echi del suo clamoroso processo. La procedura scandalistica di questo, la pubblicità data agli episodi turpi di cui egli e i suoi compagni erano stati accusati, suscitarono profondo sdegno negli animi devoti e una larga messe di pasquinate contro il Badoer. Con la scomparsa del B., tuttavia, si spense in Brescia l'agitazione quietistica e le cronache cittadine non ricordano alcun segno di attività da parte dei suoi seguaci.
Fonti e Bibl.: La fonte princ. è costituita dall'inedito G. A. Averoldi, Del Beccarellismo, presso l'Ateneo di Brescia, Miscell. Averoldi, tomi X, XI (altra copia nella Civica Bibl. Queriniana di Brescia, H. III. 3); qui pure, anonimo, un Ristretto del processo formale contro B. B., F. IV. 8 m. 7. Cfr. inoltre, nella medesima Biblioteca Queriniana, i mss. D. VII. 35, 36, G. Veneziani, Della vita e morte, virtù pastorali, intercessioni e predicazioni del servo di Dio Giovanni cardinale Badoaro vescovo di Brescia, e A. VI. 28, Alcune memorie della vita del venerabile servo di Dio cardinale Giovanni Badoaro vescovo di Brescia. Dell'abiura del B. è pure ricordo nei Diari dei Bianchi, in Cronache bresciane ined. dei secoli XV-XIX, a cura di P. Guerrini, V, Brescia 1933, p. 67; P. Guerrini, Quietisti e Pelagini in Valle Camonica ed a Brescia, in Brixia Sacra, III (1912), pp. 30-48; Id., I Pelagini di Lombardia. Contributo alla storia del quietismo, in La Scuola cattol., L (1922), pp. 267-286, 358-381; Id., La casa del Carmagnola, Brescia 1931, pp. 88-94; B. Artuso, La madre Maria Arcangela Biondini e il movimento quietista del suo tempo, in La scuola cattol., LXVII (1939), pp. 457-480; M. Petrocchi, Il quietismo ital. nel Seicento, Roma 1948, pp. 84-86, 112.