BASTIANINI, Giuseppe
Nacque a Perugia l'8 marzo 1899 da Alfredo e da Maria Luisa Stoppa. Nel 1917 si arruolò volontario, prestando servizio come sottotenente degli arditi. Smobilitato, fece ritorno a Perugia, dove si iscrisse al R. Istituto sup. di agraria (si laureò nel giugno 1923) e partecipò attivamente (fu anche ferito) alla lotta politica locale. Nell'autunno del 1920 era stato tra i fondatori dei fasci di combattimento umbri, composti soprattutto da ex combattenti e nettamente orientati in senso conservatore: i fascisti perugini si appoggiarono agli inizi, oltre che alla camera umbra dei sindacati economici, all'ass. monarchica e al giornale nazionalista locale, Vittorio Veneto. Fu proprio su questo giornale che il B. il 22 marzo 1921, all'indomani di sanguinosi incidenti tra fascisti e socialisti, pubblicò un appello al giovani incitante i fascisti alla "riscossa"; nei giorni successivi e Perugia era teatro di nuovi incidenti e violenze gravissime, con l'intervento anche di "squadre" fiorentine venute in rinforzo a quelle locali. Del fascismo perugino e umbro in genere il B. divenne uno dei tre esponenti principali con A. Misuri e F. Felicioni).
Sotto questo profilo la sua figura è tipica di quel fascismo provinciale (è significativo che nel suo Rivoluzione, Roma s. d. [ma 1923], p. 31, il B. definisca esplicitamente il fascismo "fenomeno provinciale", che "come tale prese aspetti diversi a seconda delle esigenze immediate dei paesi dove cause diverse lo generarono e mentalità differenti lo crearono"), delle zone agricole dell'Italia centro-settentrionale soprattutto, che con la seconda metà del 1920 e col 1921 si affiancò al primitivo fascismo urbano, di marca repubblicaneggiante e socialistoide, e prese il sopravvento su di esso.
Segretario regionale dei fasci sino al congresso di Roma del novembre '21, il B., che il 30 ag. 1921 aveva cominciato, a pubblicare L'Assalto, "settimanale di battaglia dei fascisti umbro-sabini", e si era andato rapidamente mettendo in vista nelle gerarchie nazionali fasciste (nel 1921 intervenne al convegno fascista di Milano del 2-3 giugno, in cui si espresse a favore della partecipazione dei deputati fascisti alla seduta reale della Camera; al convegno nazionale dei fasci, sempre a Milano, del 12-13 luglio, che discusse il "patto di pacificazione", votando l'o.d.g. Giuriati, sostanzialmente favorevole alla pacificazione; al convegno di Orvieto del 22 settembre dei fasci umbri e a quello nazionale di Milano dello stesso mese per discutere la proposta di, trasformazione dei fasci in partito, dichiarandosi, in entrambe le sedi, favorevole alla proposta) - fu dal congresso dell'Augusteo nominato membro della direzione del partito nazionale fascista e da questa (19-20 nov. 1921) vice-segretario generale del partito insieme con A. Starace e A. Teruzzi.
Nella nuova carica il B. ebbe nei mesi successivi parte notevole nella elaborazione della politica fascista; tra l'altro, nel marzo-aprile 1922, fu, in rappresentanza della direzione del partito, a Fiume dopo i gravi incidenti tra fascisti e zanelliani e fece parte della commissione incaricata di documentare, ma un apposito "libro", la posizione dei fascisti negli avvenimenti fiumani del marzo. Nonostante queste responsabilità a livello nazionale, il B. continuò ad avere ancora per parecchio tempo parte notevole nella vita del fascismo umbro e nei suoi vivaci contrasti interni, specie in relazione al famoso "caso Misuri", sia nella sua prima. fase, conclusasi nell'aprile '22 con il passaggio del Misuri al nazionalismo, sia nella seconda - nel 1923 - quando, in seguito alla fusione tra i due partiti, il Misuri venne a trovarsi di nuovo nel partito fascista e il caso si riapri drammaticamente (in questa seconda fase il contrasto Misuri-B. sfociò addirittura in una vertenza cavalleresca, che non ebbe luogo solo per il precipitare della situazione in seguito all'aggressione subita dal Misuri dopo il suo noto discorso d'opposizione del 29 maggio e la successiva, formale, riconciliazione tra i due).
Dall'agosto 1922 in poi il B. ebbe parte notevole nella preparazione della "marcia su Roma"; a Roma il 29 settembre fu tra i pochi capi fascisti informati da Mussolini della prossima insurrezione; il 24 ottobre a Napoli - dove si trovava per il congresso del S. Carlo - partecipò alla riunione ristrettissima all'Hotel Vesuvio, nel corso della quale Mussolini, i quadrumviri e i tre vicesegretari del partito approvarono il piano definitivo della insurrezione stessa. Da Napoli, la sera del 25, il B. raggiunse Perugia, scelta a sede del comando generale della "marcia", con l'ordine per i fascisti locali di occupare nella notte tra il 27 e il 28 la città. Da Perugia il 28 e il 29 lanciò, con altri esponenti fascisti locali, due proclami ai cittadini di Perugia e umbri in genere, per invitarli col primo a riconoscere l'autorità dell'esercito, che aveva assunto i poteri, e, col secondo, dopo l'invito del re a Mussolini a formare il governo, per annunciare la vittoria fascista.
Dal novembre 1922 all'ottobre 1923 la composizione della direzione (poi giunta esecutiva) del partito fascista subì varie modificazioni. Il B. (il 1° aprile nominato console generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e, pressoché nello stesso periodo, presidente del consiglio provinciale di Perugia) mantenne praticamente in questo periodo la sua carica di vice-segretario generale, occupandosi soprattutto dell'organizzazione dei fasci all'estero che sorgevano numerosi un po' in tutti i paesi. Sulla consistenza, attività e finì di essi egli riferí al Gran Consiglio del fascismo (di cui fece parte dalla costituzione, il 15 dic. 1922, al 5 nov. 1926, sino a quando cioè ebbe incarichi nella segreteria del partito) nelle sedute dei 14 febbraio e del 26-27 luglio 1923. Nello stesso periodo il B. si preoccupò anche di mettere in guardia Mussolini sulla grave crisi interna del partito, minato da lotte intestine, personalismi, correnti e dalla "manifesta contraddizione fra il Fascismo governo e il Fascismo periferico perché, mentre il Governo prende delle deliberazioni e le fa eseguire a mezzo degli organi dipendenti, il Fascismo periferico è democratico nelle forme mentali e non comprende le necessità" (cfr. lettera dei B. a Mussolini, s. d., ma anteriore al 20 apr. 1923).
La situazione di disagio del partito si ripercuoteva in una situazione altrettanto caotica della direzione; per sottolineare la gravità di un simile stato di cose, il B. nel marzo '23 si dimise dalla direzione stessa; il suo gesto rimase però privo di conseguenze pratiche: il Gran Consiglio, il 24 aprile, sostituì infatti alla direzione una giunta esecutiva, di cui il B. fu nominato membro all'incirca con gli stessi compiti di prima. Questa giunta esecutiva si dimise in blocco - come è noto - il 28 sett. 1923 in seguito al famoso "caso Rocca"; alle dimissioni seguì, nella seduta del Gran Consiglio del 13 ott. 1923, una radicale riforma delle gerarchie, in seguito alla quale il B. cessò di far parte del supremo gruppo dirigente del partito e venne nominato segretario dei fasci all'estero, carica che mantenne sino al novembre 1926.
Sotto la guida dei B. i fasci all'estero assunsero in breve una notevole importanza, sia numerica, sia come strumento della penetrazione fascista tra gli Italiani all'estero; il 30-31 ott. 1925 il movimento tenne a Roma il suo primo congresso (cfr., del B., I fasci italiani all'estero, in Gerarchia, ottobre 1925, pp. 633-39); sulla loro attività il B. riferì, ancora una volta, al Gran Consiglio nella seduta del 31 marzo 1926 (in quella del 29 apr. 1925 aveva riferito invece sui movimenti fascisti esteri).
Anche in questo periodo l'attività del B. non rimase circoscritta al solo settore di sua diretta competenza. Eletto deputato nelle elezioni dell'aprile 1924 per il collegio di Perugia, svolse una notevole attività giornalistica e pubblicistica.
Oltre al già ricordato volumetto Rivoluzione, volto ad illustrare il significato e gli aspetti essenziali del fascismo appena giunto al potere, si ricordano: Leggenda fascista umbra, Perugia 1922; La gloria di Roma, Roma 1924, raccolta di tre discorsi apparsa nella collana "I discorsi del giorno" diretta da G. Bottai; il commento ai discorsi di Mussolini raccolti sotto il titolo Ai lavoratori della nuova Italia, Roma 1923; e la prefazione a O. Uccelli, Il fascismo nella capitale della rivoluzione, Foligno 1924, sul fascismo umbro. Nelle vivaci polemiche sorte nel periodo quartarellista e successivo al 3 genn. 1925 fece sentire più volte la sua voce; tra i più significativi di questi interventi sono da ricordare l'articolo Parentesi chiusa ne L'Assalto del 24-25 dic. 1924, nel quale, riprendendo quanto già detto in un discorso tenuto a Perugia il 30 ottobre di quell'anno, auspicò lo scioglimento della Camera e affermò di accettare il sistema elettorale uninominale senza "entusiasmo" per il sistema stesso ma lieto della soluzione "sacrosantamente fascista perché è un atto di sfida"; la polemica sull'"integralismo" fascista (cfr. La Montagna, 15 febbr. 1925, pp. 5 s.) e l'articolo Verso le riforme apparso sul n. 9 di Echi e commenti e ripreso da L'Impero del 28 marzo 1925, in cui dopo aver affermato che "dal giugno ad oggi si è verificato intorno al fascismo il cambio e non la rarefazione dei consensi; si sono perduti per istrada i gruppi politici fiancheggiatori e si sono riacquistati in blocco tutti coloro che si allontanarono da noi quando i fiancheggiatori sembrarono imprigionare la nostra volontà innovatrice", annunciava che la prossima riforma legislativa fascista avrebbe completato il programma del 1919-22.
Lasciata la segreteria dei fasci all'estero dal 16 nov. 1926 al 23 giugno 1927 il B fu sottosegretario al ministero dell'Economia nazione, di cui resse il settore dell'agricoltura: si trattò, però, di una breve parentesi nella sua carriera politica.
Questa, infatti, con il giugno 1927 si indirizzò nettamente verso il campo diplomatico, campo nel quale il B. esplicò la sua attività fino alla caduta del fascismo.
Entrato nei ruoli nel ministero degli Affari Esteri il 23 giugno 1927, il 7 del mese successivo fu destinato a Tangeri, dove rimase sino a che, il 10 ag. 1928, fu nominato ministro plenipotenziario a Lisbona. Da qui, il 14 nov. 1929, passò ad Atene e, infine, come ambasciatore a Varsavia dal 25 ag. 1932. In Polonia il B. rimase poco meno di quattro anni, in un momento particolarmente delicato per i rapporti italo-polacchi (avvento al potere di Hitler in Germania, negoziati per il "patto a quattro", osteggiato dalla Polonia, "patto orientale", ecc.); nel complesso diede buona prova di sé, adoperandosi concretamente per il miglioramento dei rapporti politici, economici e culturali tra i due paesi.
L'11 giugno 1936 Mussolini riorganizzò il ministero degli Affari esteri; al posto del "duce", che sino allora aveva retto personalmente il dicastero, fu chiamato G. Ciano, cui fu affiancato, come sottosegretario, il Bastianini.
Al ministero la posizione del B. fu a lungo piuttosto singolare; Ciano, che - stando al suo diario - pur ritenendolo un "fedele" sostanzialmente non lo stùnava, lo escluse di fatto dalla direzione degli affari politici, confinandolo agli affari correnti, amministrativi, del personale e degli Italiani all!'estero; frutto di quest'ultima esperienza fu il libretto Gli italiani all'estero, Milano 1939. Sempre di questo periodo sono alcuni suoi scritti d'occasione su Quindici anni di politica estera fascista nel volume dell'Accademia dei Lincei Dal Regno all'Impero, Roma 1937, e su L'Impero italiano nei suoi riflessi internazionali nel volume L'Impero (A.O.I.), a cura di T. Sillani, Roma 1937, pp. 277-82.
Il peso del B. nella direzione effettiva della politica estera divenne un po, consistente - ma mai determinante - solo dopo Monaco e soprattutto col 1939, a mano a mano che l'atteggiamento di Ciano diveniva più cauto e critico verso la Germania e verso i suoi sostenitori nel partito e venivano così affiorando nelle posizioni dei due uomini alcuni punti ìn comune. Si spiega così come, scoppiata la seconda guerra mondiale e scelta, per il momento da Mussolini la politica del "non intervento", fu sul B. che cadde la scelta. come ambasciatore a Londra ("Ho scelto Bastianini - annotò Ciano il 15 sett. 1939 - che non è un'aquila, è però persona molto fidata ed estremamente partigiano della politica di non intervento"). In effetti il B., raggiunta Londra il 14 ottobre, svolse - nei limiti delle possibilità obbiettive offerte dalla politica di Mussolini - sino alla dichiarazione di guerra una intensa attività per cercare un accordo tra Italia e Inghilterra e per una definitiva sistemazione europea.
Nei suoi dispacci (cfr. soprattutto quelli del 24 ott. 1939 e del 29 marzo 1940 a Ciano) diede un quadro sincero e realista della situazione inglese, del fermo proposito di quel. popolo di resistere ad ogni costo, nonché delle vere disposizioni del governo britannico verso l'Italia, mostrando come l'intervento italiano fosse tutt'altro che inevitabile. "Né Chamberlain, né Halifax e nemmeno Churchill - riferiva nel secondo dei dispacci citati - desiderano la guerra con l'Italia. Nonostante che né essi ignorino, né il loro Paese come si siano poste ormai tra il nostro Impero e la Gran Bretagna questioni importanti a causa delle quali vi sono e vi potranno essere momenti delicati tra le due Nazioni, nel conflitto attuale il nemico per essi è uno solo ed il 3settembre la Germania è stata praticamente dissociata dall'Italia. Si fa la guerra alla Germania perché in essa si identifica il nemico di ogni collaborazione e della civile convivenza dei popoli" (I documenti diplomatici italiani, s. 9, III, Roma 1959, p. 554).
Dichiarata dall'Italia, il 10 giugno 1940, la guerra all'Inghilterra e alla Francia, il B. rientrò in Italia a disposizione del ministero. Nell'inverno 1940-41 (nel frattempo, dal marzo 1939, era stato nominato consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni) partecipò alle operazioni militari sul fronte, greco-albanese guadagnandosi una decorazione al v.m. Infine, conquistata con l'aiuto dei Tedeschi la Iugoslavia, il 7 giugno 1941 fu nominato governatore della Dalmazia e poco dopo ispettore del partito per le province dalmate. Come governatore, il B. si dimostrò nel complesso uomo capace e realista, alieno da inutili violenze, disposto, quando possibile, ad aiutare le popolazioni locali e gli ebrei. In particolare nell'anno e mezzo che fu in Dalmazia si rese direttamente conto della gravissima situazione militare in cui si trovavano le forze armate italiane nei Balcani, dei metodi dei Tedeschi e della difficoltà di trattare con essi. Un'esperienza questa che gli riuscì preziosa quando, il 6 febbr. 1943, fu improvvisamente nominato da Mussolini, che, licenziato Ciano, riassunse personalmente la direzione della politica estera, sottosegretario agli Affari Esteri. Nella gravissima, situazione militare nella quale versava l'Italia, il ritorno a palazzo Chigi del B. significò dopo un lungo periodo di pratica inazione - un risveglio di attività politica. Consapevole della gravità del momento, sin dal primo rapporto egli cercò di indurre Mussolini "ad esaminare a fondo la situazione dell'Italia sia in rapporto all'alleato che al nemico per considerare bene ogni elemento ed esaminare se, come e fino a quando le forze di cui possiamo e potremo disporre ci possono consentire di continuare a combattere questa guerra" (Uomini, cose, fatti, p. 81); e, nonostante l'iniziale diniego del "duce", tutta la sua attività fu improntata in questo senso. Verso i Tedeschi il B. con la sua azione intendeva inaugurare una politica di progressiva resistenza, cercando da un lato di ottenere da essi gli aiuti militari necessari alla difesa dell'Italia; dall'altro di rafforzare lo scricchiolante sistema europeo-continentale con una dichiarazione politica dell'Asse che desse finalmente un contenuto accettabile, al famoso "ordine nuovo" hitleriano (assicurare libertà e rispetto alle singole nazionalità e stabilire una effettiva collaborazione paritetica tra i vari componenti il sistema): qualcosa insomma che si potesse in qualche modo cercare di contrapporre alla dichiarazione di Casablanca (importante fu, sotto questo profilo, dopo il pratico rifiuto di Ribbentrop di portare avanti la questione, il discorso pronunciato dal B. al Senato, nel maggio); da un altro lato ancora il B. cercò, infine, di indurre Berlino a prendere seriamente in considerazione la possibilità di una revisione della strategia e della politica dell'Asse, revisione basata sulla pace separata con l'URSS e, almeno, su una condotta difensiva delle operazioni all'Est, in maniera da poter ristabilire la situazione militare nel Mediterraneo, a fare un estremo tentativo per convincere la Spagna ad entrare in guerra a fianco dell'Italia e della Germania, gettando così le premesse per una pace di compromesso. Tappe fondamentali di questi tentativi furono gli incontri romani con Ribbentrop del 25 febbraio-1° marzo, l'incontro Hitler-Mussolini di Salisburgo dei 7-10 aprile e quello di Feltre del 19 luglio.
A mano a mano che questi tentativi naufragavano, mostrando l'impossibilità di smuovere, HitIer dalle sue posizioni, l'atteggiamento del B. Verso i Tedeschi si veniva facendo sempre più rigido, tanto da dare a qualcuno l'impressione che egli stesse "cercando a bella posta di invelenire i rapporti tra i due paesi per provocare un incidente atto a giustificare una eventuale rottura" (Simoni, p. 343). Tipico è il modo con cui il B. si oppose alle richieste tedesche miranti ad ottenere la consegna degli ebrei delle zone di occupazione italiane, riuscendo ad ottenere anche l'assenso di Mussolini, incerto tra il desiderio di non urtare l'alleato e i contrastanti motivi di umanità e di tutela del buon nome dell'esercito italiano.
Contemporaneamente il B. incoraggiava e portava avanti una serie di contatti con gli alleati minori, Ungheria e Romania, per addivenire ad una comune azione di pressione sulla Germania e - più in là -di eventuale sganciamento concordato: rientrano in questa azione gli incontri con N. Kallay e M. Antonescu, rispettivamente in aprile e alla fine di giugno - primi di luglio, e i sondaggi dell'ambasciatore a Bucarest R. Bova-Scoppa. Infine, dopo lo sbarco alleato in Sicilia, il B. (che, a quanto risulta dai Ricordi di R. Guariglia, sin dalla nomina a sottosegretario aveva pensato di servirsi eventualmente della mediazione della S. Sede per stabilire contatti con gli Anglo-Americani) fece pure un sondaggio presso la Segreteria di Stato vaticana (17 luglio) ottenendo un passaporto per un agente (il banchiere L. Fummi) incaricato di recapitare ad A. Eden un suo messaggio personale. Il Fummi, con il tacito consenso di Mussolini, si recò a Lisbona, ove però la sua missione si arenò; sopraggiunse quindi il 25 luglio.
Mentre questo complesso di manovre diplomatiche era in corso, la situazione militare italiana precipitava e cresceva anche all'interno del partito fascista il disagio. In questo frangente il B. fu tra coloro che il 16 luglio si recarono da Mussolini per indurlo a fare qualcosa, ottenendo la convocazione del Gran Consiglio, e nei giorni immediatamente successivi si schierò sulle stesse posizioni di D. Grandi. Alla seduta del Gran Consiglio della notte del 24-25 luglio 1943 il B., che giuridicamente non faceva più parte da oltre un quindicennio di quel supremo organo fascista e costituzionale, intervenne come invitato; ciononostante vi prese la parola. Constatata l'esistenza di una profonda frattura tra il paese e il partito fascista, sostenne - conformemente all'o.d.g. Grandi, che poi votò la necessità di "sostare un momento nella sfera ideologica e accantonarla per far fronte-al nemico con tutte le forze dello spirito nazionale", investendo personalmente il re dell'effettivo comando delle forze armate.
Arrestato Mussolini, il B. fu nominato dal nuovo ministro, degli Affari Esteri Guariglia ambasciatore ad Ankara, dove avrebbe dovuto continuare il tentativo - come pare gli dicesse Vittorio Emanuele III nel corso di una udienza il 1° agosto - di fare uscire l'Italia dal conflitto. La nomina suscitò però le proteste di alcuni ambienti antifascisti, sicché il B. - contrario del resto alla politica "antifascista" di Badoglio - la declinò (il ministero degli Affari Esteri lo collocò a riposo per "motivi di servizio" il 3 ag. 1944) e, sapendosi ricercato dalla questura di Perugia, si diede alla macchia, rifugiandosi in Toscana. Da qui verso la fine dell'anno - essendo ricercato dalla Repubblica sociale per essere processato con gli altri "traditori" del 25 luglio (dal Tribunale speciale straordinario di Verona - davanti al quale fu esibita una lettera-memoriale da lui scritta il 9, nov. 1943 a Mussolini per spiegare il suo voto in sede di Gran Consiglio - fu condannato a morte in contumacia il 10 genn. 1944) espatriò clandestinamente in Svizzera, donde, nell'aprile successivo, rientrò in Italia, sempre clandestinamente, per rifugiarsi in Calabria.
In Svizzera scrisse una biografia di s. Francesco d'Assisi, poi pubblicata in tedesco (Das Lied des Armut des Bruders Franziskus, Olten 1947, e successivamente in francese a cura delle Editions franciscaines: Lorsque Dieu passe..., Paris 1957). Terminato il conflitto, nel novembre 1947 fu sottoposto a giudizio dalla Corte d'Assise speciale di Roma e assolto e così pure dalla Commissione per le sanzioni contro il fascismo; una richiesta iugoslava per processarlo come "criminale di guerra" non ebbe seguìto; nel gennaio 1961, in seguito all'accettazione da parte dei Consiglio di Stato di un suo ricorso fu collocato a riposo dal ministero degli Affari Esteri con le indennità di ambasciatore.
Negli, ultimi anni della sua vita il B. fu amministratore delegato della SIACE, (Società industriale agricola per la produzione di cellulosa da eucalipto), operante in Sicilia. Nel 1959 pubblicò a Milano un volume di memorie, Uomini, cose, fatti, parzialmente anticipate in Settimo giorno (13 marzo-1° maggio 1958).
Morì a Milano il 17 dic. 1961.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Segretaria particolare del Duce. Carteggio riservato, fasc. 242/R.: G. Bastianini; B. Mussolini, Opera omnia, a cura dì D. e E. Susmel, I-XXXVI, Firenze 1956-63, v. Indici; Ministero Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, s. 9 [1939-431, R0ma 1954-60, I-IV, v. Indici. O. Uccelli, Il fascismo nella capitale della rivoluzione, Foligno 1924, passim e spec. pp. 34-39, so; A. Misuri, Rivolta morale, Milano 1924, pp. 37-52, 65-90; G. A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze 1929, III, passim e spec. pp. 133-37, 441-43; V, passim; A. Misuri, Ad bestias, Roma 1944, pp. 88-95, 114-20; L. Simoni [G. Lanza], Berlino. Ambasciata d'Italia 1939-43, Roma 1946, p. 343; G. Ciano, Diario 1937-38, Bologna 1948, v. Indice; Id., Diario 1939-43, Milano-Roma 1946, I-II, v. Indice; D. Alfieri, Due dittatori di fronte, Milano 1948, v. Indice; G. Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano 1949, v. Indice; R. Guariglia, Ricordi, Napoli 1949, p. 537; R. Bova-Scoppa, Colloqui con due dittatori, Roma 1949, pp. 96-116; Y. De Begnac, Palazzo Venezia. Storia di un regime, Roma 1950, v. Indice; C. Bozzi, Oltre la disfatta, Milano 1952, pp. 62-89; J. A. Lukacs, The great powers and Eastern Europe, New York 1953, v. Indice; U. Ojetti, Taccuini, Firenze 1954, v. Indice; A. Cretzianu, The last opportunity, London 1957, pp. 90-96; V. Cerosimo, Dall'istrutt. alla fucilazione. Storia del processo di Verona, Milano 1961, pp. 170-73, 218-49; R. Bova-Scoppa, La pace impossibile, Torino 1961, pp. 205 s.; R. De Felice, Storia degli ebrei ital. sotto il fascismo, Torino 1961, v. Ind.; D. Susmel, Vita sbagliata di G. Ciano, Milano 1962, v. Indice; L. Woodward, Brit. foreign Policy in the second world war, London 1962, v. Indice; W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, v. Indice; G. Bianchi, 25 luglio crollo di un regime, Milano 1963, v. Indice; R. Zangrandi, 1943: 25 luglio-9 settembre, Milano 1964, v. Indice.