BARTOLI, Giuseppe
Nacque a Padova il 27 febbr. 1717 da Bartolomeo e da Isabella Manzoni: i suoi studi procedettero dapprima stentatamente perché dovette lavorare nella bottega patema di ferramenta; poi, un po, per aver mostrato un certo talento poetico e notevole disposizione allo studio dei classici, un po, per mutate condizioni di famiglia, egli fu tolto dalla bottega e poté continuare gli studi sino alla laurea in diritto (1736). Ottenne un incarico di assistente alla cattedra di fisica sperimentale a Padova (1739), ma, dopo due anni, abbandonò quell'ufficio per il quale sembrava avere scarsissima propensione: continuava invece a coltivare le lettere ed era già in rapporti con lo Zeno, col Mazzuchelli, con Gaspare Gozzi.
Dopo una visita al Museo veronese del Maffei (1744) pubblicò Due dissertazioni di G. B. Nella prima si dà notizia del pubblico museo di iscrizioni eretto nuovamente in Verona... Nella seconda si dimostra la bellezza di una greca inedita iscrizione collocata in questo museo (Verona 1745). Nella prima, che è sostanzialmente un'apologia degli studi epigrafico-antiquari, il B., memore forse dell'assistentato padovano, paragona stranamente l'antiquaria agli esperimenti scientifici, in quanto quella sarebbe il "mezzo" della storia, e questi il "mezzo" della fisica; la seconda dissertazione èinvece l'editio princeps dell'iscrizione che gli abitanti di Alessandria e di altre località dell'egitto avevano eretto in onore del retore Elio Aristide (v. Corpus Inscriptionum Graecarum, nr. 4679).
Le due dissertazioni non erano certo di straordinario valore, ma ottennero al ventottenne B., con l'aiuto di compiacenti amici, la cattedra di eloquenza italiana e lettere greche nell'università di Torino (1745); la cosa destò scandalo, e durissimo fu il giudizio del Maffei ("è stato ricevuto [il B.] a Torino, paese in questo di ciechi, per professore di belle lettere; l'abbiamo avuto a Verona sei mesi, e non sa né il greco, né il latino, né l'italiano..."). L'anno successivo il B. ricevette comunque anche l'incarico di attendere all'organizzazione del Museo dell'università (17461750), e sembra assolvesse bene tale compito, tanto da meritarsi (1751) la nomina a "regio antiquario" di Carlo Emanuele III. Egli si trattenne a Torino per circa un trentennio, tolti due brevi congedi, di cui fruì per un viaggio di studio nella penisola (1757-1758) e per rivedere il natio Veneto (1760). Nel 1763 fu sollevato dall'incarico dell'insegnamento e tenne la direzione del Museo per un decennio (1763-1773) al termine del quale fu congedato da Vittorio Amedeo III. In realtà la sua condizione a Torino non doveva essere tra le più felici: aggredito dal Baretti, inviso alla maggior parte dei dotti italiani, non doveva trovarsi a suo agio anche per la sua simpatia per le idee enciclopedistiche e illuministiche, certo non gradite a corte. E il criterio degli enciclopedisti aveva, ad esempio, adottato nel fare il catalogo della biblioteca del marchese di Barolo, distribuendola (secondo la testimonianza del Pellico: cfr. Paravia) nelle categorie della memoria, della ragione e della fantasia. Si trasferì dunque a Parigi e quivi dimorò il resto della vita, eccetto due brevi viaggi in Piemonte e a Londra (1775-1776). Ma era ancora pieno di interessi e ben lontano dal considerarsi un uomo finito: se sembra avere allora messo da parte gli studi antiquari, che gli avevano procurato tante amarezze, collaborò (1774) all'edizione della parte italiana del Jurnal de vojage del '70 y Montaigne, proprio allora scoperto, e soprattutto si accostò alla politica, entrando in contatto con esponenti del pensiero radicale e illuminista del tempo: tra tutti è da ricordare B. Franklin, che conobbe forse nel suo viaggio a Londra e col quale, più tardi, ebbe a Parigi frequenti rapporti. Si spense a Parigi il 21 nov. 1788.
Il B. è un personaggio assai complesso, oggi purtroppo seppellito dalla ridicolizzazione che ne fece il Barètti a suo tempo. Aveva anche interessi scientifici (si vedano per esempio le sue lettere ad A. Vallisnieri jr., riportate dal Paravia), e latente fu in lui, sino a manifestarsi pienamente nell'ultimo periodo della vita, l'interesse alla politica; ma il B. prescelse quella via cui allora sembrava arridere maggiore fortuna, lo studio delle cose antiche. Non era però assolutamente capace, anche per la propria personale presunzione e per una certa qual caparbia ostinazione, di rendersi conto dell'effettiva importanza delle cose di cui si occupava: di qui la sua inutile contesa con J. T. Needham a proposito degli strani segni incisi sulla "Iside" di Torino (che tra l'altro non era opera antica, ma del sec. XVII), nei quali lo studioso inglese credeva trovare la prova della somiglianza tra la scrittura cinese e quella egizia, ma soprattutto la lunga, tediosa polemica sul "dittico quiriniano", alla quale il B. deve, in definitiva, gran parte della sua cattiva fama. Si trattava di un dittico d'avorio, del sec. V d. C., posseduto allora dal card. A. M. Querini e ora al Museo cristiano di Brescia, sulla cui autenticità, data e significato infinite erano le controversie. Il B., che pure vide personalmente il dittico solo nel 1751, scrisse sull'argomento una dozzina di lettere (1746-1752), poi in gran parte raccolte in Lettere apologetiche... all'occasione del dittico Quiriniano...(Torino 1753), che dovevano servire d'introduzione a una Vera spiegazione...che non venne mai pubblicata; una parziale rettifica di alcune sue opinioni seguì invece alcuni anni più tardi con Il vero disegno delle due tavolette d'avorio...(Parma 1757). La tediosa prolissità e l'albagia dimostrata nel ritenersi unico depositario della verità in questa faccenda gli attirarono l'ostilità di molti studiosi: tra questi il Maffei, che lo definì ripetutamente "matto". Ma più grave fu che il Baretti, certo non tenero per gli studi antiquari in genere, lo avesse ridicolizzato con il Primo cicalamento sopra le cinque lettere del signor G. B.(Milano 1750) e con altri scritti d'occasione, coniando persinó il termine bartolaggine come sinonimo di insulsaggine.
Il giudizio del Baretti è stato fatale per la fama del B., ritenuto oggi il prototipo dell'antiquario settecentesco verboso e sciocco. Certo, era poco male se nel Saggio... sopra un antico bassorilievo d'argento...(Roma 1758), ora a Napoli (A. Ruesch, Guida d. Museo naz. di Napoli,Napoli 1908, nr. 1881), il B. credeva di ravvisare Venere sconsolata per la morte di Adone (si tratta invece di Didone abbandonata). Ma non.si può non restare esterrefatti nel constatare che il B., per illustrare la celeberrima "tazza Farnese", essa pure a Napoli (Ruesch, nr. 1858), ritenesse opportuno ricorrere alla poesia (circa 1300 pessimi versi), ravvisando per di più nell'allegoria del Nilo anche il ritomo di Traiano dalla Germania nel 98 d.C. (Le medaglie... di Torino... esplicatrici della gran tazza...,Torino 1769): tutto questo preceduto dalle sue consuete, perentorie affermazioni: "concedette la sorte d'essere il primo... fui il solo che del pugnale [che non c'è affatto] facesse parola...", ecc.
Eppure, nella controversia sul "dittico quiriniano", il B. aveva visto certo assai meglio di G. F. Baldinì, S. Maffei e P. M. Paciaudi, che l'avevano ritenuto opera del sec. XV. E in altri scritti antiquari egli s'era mostrato tutt'altro che sciocco: valgano, ad esempio, le Inscriptiones antiquae in Dalmatia repertae (manoscritte a Venezia, Marcian. Lat. X, 219), o le Varie antichità trovate nel Piemonte (edite da V. Pron-iis, in Atti d. Soc. di archeol. e belle arti per la prov. di Torino,11 [18791, pp. 281-328), le une e le altre utilizzate, non senza qualche lode, dal Mommsen (Corpus Inscriptionum Latinarum, III, i [18731, p. 275; V, 2 [18771, pp. 775 s.). E un certo buon senso aveva mostrato ne La quarta, egloga di Virgilio...(Roma 1758), ove vedeva nella nuova era annunziata dal poeta il ristabilimento dell'ordine civile dell'antica repubblica romana, o anche in una Memoria (inedita, ma utilizzata dal Vallauri) sulla riforma degli studi letterari. L'abate Galiani, che l'aveva conosciuto a Torino e lo rivide poi a Napoli (1757), 10 giudicava "un homme très savant dans l'antiquité et les belles lettres, grand génìe qui paraissait fou à cause de sa téte" (Correspondance, Paris 1818, 11, p. 174). Lo stesso Gibbon, che fu a Torino nel maggio del 1764 e visitò minutamente il Museo con la premurosa guida del B., lo giudicava "un peu charlatan, mais très savant" e si meravigliava anzi che fosse tanto detestato.
Al B. si deve anche una copiosa produzione poetica, peraltro di scarso valore, iniziata già negli anni giovanili con piccoli carmi d'occasione, e continuata poi, con intenti aulici, presso la corte di Torino. Componimenti d'occasione sono le stanze su La battaglia dell'Assietta (Torino 1747), i componimenti drammatici Le tre dee...e La vittoria d'Imeneo...(ambedue, Torino 1750) per le nozze di Vittorio Amedeo con Maria Antonietta di Borbone-Spagna, i tre canti Imeneo secondato da Amore e da Piacere...(Chambery 1775), per le nozze di Carlo Emanuele con Maria Clotilde di Borbone Francia. Ambiziosa era la tragedia Eponnina (Torino 1767), ma mediocrissima, e per di più bersagliata dall'Alfieri alle prime armi con la farsetta I poeti (1775). I Sonetti furono raccolti e pubbl. dal Paravia (Torino 1818).
All'ultimo periodo dell'attività del B. appartengono sia quattro sonetti in lode dell'Inghilterra scritti originariamente (1775) in italiano e tradotti in inglese per ordine del re d'Inghilterra (sonetti che il B. nel 1783 rimaneggiò e fece ritradurre, in inglese e francese, per compiacere il Franklin, inserendovi vaghissime allusioni alla Rivoluzione americana), sia le Réflexions impartiales sur le progrès réel ou apparent que les sciences et les arts ont fait dans le XVIIIéme siècle..., stampate a Parigi nel 1780, opera composita, di cui la metà circa è dedicata allo studio del mito dell'Atlantide' mentre successivamente si prendono in esame quattro opere storiche dal B. ritenute partìcolarmente significative. Di un certo interesse le lettere al Franklin riportate dal Pace; la corrispondenza con Mazzuchelli, 68 lettere (1742-1759), è conservata nel Vat. Lat. 10004, ff. 385-459; quella con G. Gennari è nella biblioteca del seminario di Padova.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 445-450; P. A. Paravia, Della vita e degli studi di G. B., Torino 1842 (è lo studio fondamentale sul B., con elenco delle opere edite e inedite, ma un po, manchevole per gli ultimi anni); T. Vallauri, Storia delle università e degli studi in Piemonte, III, Torino 1846, pp.127-131, 136 s; G. Natali, Il Settecento,Milano 1960, pp. 49, 408, 475, 975, 1173; S. Maffei, Epistolario, a cura di C. Garibotto, II, Milano 1955, passim; Gibbons Yourney from Geneva to Rome 117641, a cura di G. A. Bonnard, London 1961, pp. 21 ss. e passim.Sulla controversia col Ncedham, decisa dall'intervento del missionario P. Cibot, v. E. Davin, Un éminent si~ologue toulonnais du XVIII siècle, le R. P. Amiot,in Bull. de l'Assoc. G. Budé, s. 3, III (1961), pp. 393 ss., C S. Curto, Storia di un falso celebre,in Boll. Soc. piemontese Archeol. e Belle Arti n.s. XVI-XVII (1962-63), pp. 5-15. Sull'atteggiamento del Baretti nei riguardi del B., v. L. Piccioni, Studi e ricerche su G. Baretti, Livorno 1889, pp. 171-200, e in Giorn. stor. letter. ital., suppl. 13-14 (1912), passim. Sui sonetti all'Inghilterra, che probabilmente non furono mai stampati, qui si segue A. Pace, Beniamin Franklin and Italy,Philadelphia 1958, pp. 238 s., 349 s., 407; leggermente diversa è la versione che del fatto da D. Visconti, Le origini degli Stati Uniti d'America e l'Italia, Padova 1940, p. 110.