BARONCINI (Baroncino), Giuseppe
Visse nella prima metà del sec. XVI. Il Crescimbeni lo ritenne faentino, ma già il Mazzuchelli lo disse lucchese, e che fosse tale risulta dalle stampe delle sue opere teatrali (la Tragedia, Bologna 1546 e Lucca 1552, e la commedia Là fante, Bologna 1547). Che a lungo abbia dimorato a Lucca e che vi fosse conosciuto come poeta risulta sia da cenni autobiografici delle sue Rime ("Arsi molt'anni in riva al Serchio"), sia dalla lettera con cui lo stampatore lucchese Vincenzo Busdrago presentava nel 1553 la stampa in dodici esemplari delle Stanze in lode della chiave (del "nostro Baroncino") alla gentildonna e poetessa lucchese Chiara Matraini.
A Lucca il 16 ag. 1542 tenne un'orazione in presenza di Pellegrino de, Nobili nella pubblicazione del nome della Accademia de' Sonnacchiosi. Studente a Bologna, poté godere della protezione del concittadino Niccolò Liena, che si trovava in quella città come auditore di Rota, e nella casa del Liena fece rappresentare nel 1542, a cura degli scolari lucchesi della università, la Tragedia e l'Anno successivo La fante.
Morì, sembra, ancora assai giovane; certamente prima del 1547, lasciando buona opinione dell' "arte e [del]l'Acutezza dell'ingegno suo, e di quanta speranza egli fosse se più lungamente viveva".
In realtà la sua breve opera porta i segni di un giovanile, goliardico "romanticismo". Nella Tragedia, che il Neri ascrive tra le prime incerte in-útazioni giraldiane, una regina innamorata del figliastro, il quale a sua volta ama la figlia di lei, fa imprigionare i due giovani, ma essi, al momento di essere separati, si tolgono la vita. Ne La fante, scritta, come informa il prologo, "per torre le donne di quella mala opinione che hanno dei poveri scolari e renderle più riconoscenti", al delicato e leale sentimento amoroso di quattro giovani, si contrappongono le pronte voglie e il crudo utilitarismo di una serva, di una mezzana, di un frate intrigante; e all'idealismo petrarcheggiante degli uni, gli osceni doppi sensi e la icastica, machiavellica concretezza del linguaggio degli altri. La stessa duplicità si incontra nelle composizioni liriche: oscene, pur sotto il velo del doppio senso, le trentacinque Stanze citate; di un petrarchismo tenero e sospiroso le Rime (18 sonetti, i canzone, i doppia sestina, i stanza, i madrigale, in Rime di diversi, a cura di E. Bottrigari, IV, Bologna 1552, pp. 91-126).
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia. Commentari, V, Venezia 1730, p. 123; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, p. 778; G. M. Mazzuchefli, Gli Scrittori d'italia, II, 1, Brescia 1758, p. 88; G. B. Mittarelli, De litteratura Faventinorum, Venetiis 1775, Col. 17; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 193; C. Lucchesini, Opere edite e inedite, XVI, Lucca 1833, pp. 154-156 (cita La fante come inedita); F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 549; F. Neri, La tragedia, Milano s.d., pp. 99 s.