BARBERI, Giuseppe (Tisifonte)
Nacque a Roma il 14 genn. 1746. Avviato agli studi architettonici, nel 1762 si affermò, appena sedicenne, nel concorso Clementino bandito annualmente dall'Accademia di San Luca, avente per tema la ricostruzione della basilica di Massenzio, ottenendovi il terzo premio. Un suo progetto per le solenni esequie che il 28 luglio 1774 si celebrarono in S. Luigi dei Francesi per la mqrte di Luigi XV fu prescelto per concorso ed eseguito. L'addobbo e la decorazione da lui ideati in quell'occasione riuscirono così egregiamente, che da allora egli godé dell'alta protezione del cardinale Francesco de Bernis, ambasciatore di Francia.
In proprietà di Andrea Busiri Vici a Roma è un nutrito album di suoi progetti, intitolato Pensieri dell'Architetto G. B., Romano,eseguiti a penna in seppia e rialzati all'acquerello, composto di 89 fogli numerati e datati 1787 e '88: essi riguardano planimetrie, prospetti, palazzi, ville, giardini, altari, fontane e grandiose soluzioni urbanistiche, e denotano già un incipiente neoclassicismo, oltre che una felice personalità artistica. Alla Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte a Roma ve n'è un altro del 1796, diviso in due parti, di analogo formato e legatura e di 106 fogli, riferentisi a piante, facciate, sezioni, particolari architettonici e decorativi, esterni ed interni, per un solennissimo palazzo reale che lo stesso autore definisce "in stile borominesco" che, pur se ispirato all'opera del grande architetto del Seicento (del quale il B. mostra di conoscere con assoluta padronanza i precetti), è felicemente tradotto in personale e feconda ispirazione. Sono questi i soli rimastici di quella serie di ben 47 volumi di suoi disegni architettonici, di cui lo stesso autore ci dà notizia in una sua lettera (v. Correspondance des directeurs..., XVII)indirizzata il 25 sett. 1800 a Napoleone Bonaparte, che scomparvero durante i saccheggi avvenuti nella sua casa durante la rivoluzione romana giacobina, e che, oltre tutto, ci avrebbero anche resi edotti sulle sue opere effettivamente eseguite.
Dei suoi progetti rimasti nei disegni, certo più numerosi degli altri, si conoscono quelli del 1787 per la nuova facciata della chiesa dei SS. Apostoli a Roma, quello dello stesso anno per il grandioso palazzo Braschi che si sarebbe dovuto erigere sull'area ora occupata dall'ottocentesco palazzo Marignoli, in via del Corso, e quello per la sistemazione della piazza del Teatro alla Scala di Milano.
Ma che esistano, o siano esistite, opere eseguite, pur se a noi rimaste sconoscíute, è dimostrato dal fatto che egli, già dal 22 luglio 1785, era entrato a far parte quale accademico di merito nella Pontificia Accademia di San Luca. Ed è ovvio che, per aver ottenuto la quasi totalità dei suffragi a soli trentanove anni, egli dovesse già ben conoscere l'arte sua e l'Accademia le sue opere, e non soltanto progetti. Nel ritratto che egli donò all'insigne istituzione, come era uso fra gli eletti, è raffigurato con i compassi e la pianta di un tempio; evidentemente si tratta della sua opera maggiore per quegli anni, o la più recente. Probabilmente la planimetria si riferisce alla chiesa di S. Giorgio di Oriolo Romano, progettata nel 1783, come si apprende da alcuni suoi disegni, firmati e datati, che si conservano nella sacrestia della chiesa stessa (gli originali, rovinatissimi e fatiscenti, sono stati recentemente interpretati e trascritti dal Fasolo). L'assenza di pennelli in quel suo ritratto, forse eseguito dal viennese A. von Maron, è compensata dalla didascalia "Cavre Giuseppe Barberi. Rom. Arch. e pitt. prospettico". Egli fu infatti allievo per la scenografia di uno dei Bibiena, svolgendo attività anche come vedutista.
Godé i favori del principe Emilio Altieri, che, oltre alla suddetta chiesa di Oriolo, feudo della sua famiglia (che fu sostanzialmente alterata negli anni 1946-58, con la trasformazione della sua pianta da croce greca a croce latina e la conseguente sostituzione della facciata del B.), gli commissionò importanti lavori di trasformazione da eseguire nell'appartamento del suo primogenito Paluzzo, duca di Monterano, al piano nobile di palazzo Altieri, a piazza del Gesù a Roma, e precisamente in quella serie di sale destinategli in occasione delle sue nozze con Marianna, figlia del principe reale Saverio di Sassonia, nozze avvenute nell'ottobre dell'anno 1793.
Le sale, che ora appartengono all'Associazione Bancaria Itabana, architettonicamente e decorativamente furono eseguite sui progetti e con la direzione del B., che vi tempera la maniera settecentesca in un felicissimo gusto preneoclassico. Per squisita eleganza, proporzioni, raffinatezza ed armonia cromatica non conosciamo a Roma nessun esempio di maggior qualità di architetture di interni nella seconda metà del Settecento.
L'opera, anche attraverso le illustrazioni di una recente pubblicazione (A. Schiavo, 1963), rende l'idea dell'equilibrio, della felice inventiva e del grado artistico del B., che, succeduto a Clemente Orlandi quale architetto degli Altieri, iniziò i lavori già nel febbraio 1787, conducendoli per ben sette anni.
A rendere vieppiù egregia la sua opera, Il B. chiamò a suoi collaboratori, per gli stucchi e le decorazioni, gli scultori Vincenzo Pacetti e Giacomo Ponsaler e i pittori Felice Giani, Giovanni Campovecchio, Antonio Cavallucci, Giuseppe Cades, Francesco Manno, Benedetto Gagneraux, jean-Pierre SaintOurs, e l'animalista Wenzel Peter, vale a dire il fiore dell'arte allora presente a Roma, dei quali collegò e diresse l'attività. Egli stesso poi dipinse nel 1795 le otto tele vedutistiche della Galleria degli Specchi, facendo eseguire il figurativo dal Giani.
Intorno ai venticinque anni aveva sposatoIsabella Breccialdi, dalla quale ebbe nove figli di cui sei maschi. La numerosa prole, l'irrequietezza della moglie, le entrate inadeguate e le vicende politiche, che lo portarono fino al carcere, gli tolsero l'indispensabile serenità, fino a spingerlo, nel 1793, a far rinchiudere la moglie nel monastero delle Viperesche. Di tale episodio il B. ha lasciato traccia in un disegno del 18 ottobre di quell'anno, contenuto in uno dei suoi due album di caricature esistenti a palazzo Braschi, ove egli raffigura la visita dei suoi nove figli alla madre in quell'istituto.
Dalle varie e divertenti didascalie annotate in quasi ogni pagina dei rari volumi ritrovati possiamo in parte ricostruire la figura umana, il suo dramma familiare e politico, e conoscere le persone, illustri ed un-lili, che frequentava. Le spiritose macchiette arieggianti un gusto alla Ghezzi e le annotazioni di un caustico spirito prebeWano consentono di argomentare che l'incoerenza apparente dell'artista, retrivo e reazionario, e che pur si distinse per acceso giacobinismo, è invece un riflesso del profondo tormento che agitò gli animi negli anni che poi si conclusero nella Rivoluzione francese.
Amico di Piranesi, fondò a Roma con lui un'accademia di architettura e di prospettiva. Innovatore, e cosciente del suo valore, nello scrivere a Napoleone così parla di se stesso in terza persona: "il a fait renaitre le goút antique de Rome". Di sicuro giudizio, seppe impedire l'integrale realizzazione del progetto, troppo pomposo, per gli orologi da porre nell'interno della basilica di S. Pietro mitigando le giovanili intenzioni del Valadier. Il cardinale de Bernis l'introdusse più volte presso Pio VI, che gli dimostrò la sua benevolenza.
Sprovvisto di lavoro e attanagliato dall'indigenza, nel 1797 si recò a Milano incontro a Napoleone, sperando di trovare in lui la sua salvezza, e la conoscenza del giovane generale dell'armata d'Italia fece sì che nel 1798, proclamata la Repubblica romana, egli fosse eletto "edìle* insieme a Paolo Bargigli, Giuseppe Camporese e Andrea Vici; a lui venne affidata l'incombenza del tribunale, della polizia, delle fortificazioni e delle carceri. Il 20 marzo di quell'anno eseguì il fittizio, ma solenne, arco di trionfo che fu posto all'imbocco di ponte S. Angelo, ove i consoli passarono per recarsi in piazza S. Pietro a giurar fede alla nascente repubblica.
Prendendo fanaticamente a cuore la sua nomina, ebbe certo ad esagerare, al punto che, il 17 luglio dello stesso anno, bruciò pubblicamente le insegne di cavaliere e il relativo diploma pontificio, dichiarando altresì che assumeva il nome di Tisifonte perché il suo cognome non si confondesse con quello infame del Barberi, già fiscale del precedente governo. La sua infatuaz,ione, pur se in buona fede, fu facilmente sfruttata dai nemici, e lo condusse, dietro le false calunnie di un sedicente patriota di cui aveva rivelato l'impostura, ad essere arrestato per peculato e atti arbitrari, rimanendo quattro mesi in prigione, nonostante l'articolo d'immunità concesso da Pio VI nel 1795 agli accademici di San Luca. Liberato dallo Championnet, volle sottoporsi a pubblico giudizio e, gratuitamente patrocinato da Pietro Baccini, fu assolto con formula piena per non aver commessi i fatti addebitatigli; anzi, dalle testimonianze emersero per lui circostanze altamente onorevoli. Disgustato però dal contegno dei Romani nei suoi confronti, e a seguito della occupazione napoletana, volle, con tutta la famiglia, trasferirsi a Parigi; approfittando della sua assenza, la plebaglia devastò il suo studio e la sua casa.
A Parigi, oltre a venti vedute romane per la casa di campagna del cittadino Hautefort, collaborò assiduamente nella "Calcographie des Piranesi Frères" che Francesco, Angelo, Pietro e Laura, figli del già defunto Giovan Battista e rifugiati politici in Francia, vi avevano impiantato.
Profittando dell'amnistia politica a seguito dell'elezione di Pio VII, rientrò a Roma, ove eseguì ancora altri progetti, fra cui quello della piazza della Scala di Milano, che, nonqstante l'approvazione di Napoleone (1806), non si realizzò forse per difficoltà negli espropri dei fabbricati da abbattere. Morì l'8 dic. 1809, nella casa di via Frattina 10.
Fonti e Bibl.: Roma, Accad. di San Luca: Congregazioni,voi. 54, p. 81v; Ibid., Inventario delle pitture esistenti all'Accad. di S. Luca, vol. 5, n. 473; Ibid., Inventario dei Concorsi dell'Accad. di S. Luca, voll. II e XII; Diario di Roma,18 luglio 1778; P. Baccini, Relazioni del Processo e carcerazione del cittadino Tisifonte già Barberi, Edile in Roma..., s. I. né d. (vedi il solo esemplare alla Bibliothèque Nationale di Parigi, IV, K. sgi [81; riportato integralmente da A. Busiri Vici, in Capitolium, XXXVI U9611, ii, pp. 14-17); G. A. Sala, Diario romano degli anni 1798-99, Roma 1882. 1, pp. 30, 148 S.; II, pp. 33, 48, 56, 72, 102 s., n6; Correspondance des directeurs de l'Académie de France à Rome...,a cura di A. de Montaiglon e J. Guiffrey, XIII (1774-1779), Paris 1904, pp. 16 ss.; XVII (17971804), ibid. 1908,.pp. 259-261; 1. Faldi, La festa Patriottica della Federazione in due dipinti di Felice Giani,in Boll. dei Musei Comunali, II (1955), pp. 14-18; C. Pietrangeli, Scavi e scoperte di antichità sotto il Pontìflcato di Pio VII, Roma 1958, p. 66; Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, p. 453, nn. 2185 s.; A. Busiri Vici, Una proposta accademica romana per i sovrani di Sardegna,in Studi romani, IX (1961), n. 3; Id., G. B., architetto romano giacobino,in Capitolium'XXXVI (1961), 10, pp. 3-14; 11, pp. 3-17; C. Tridenti, Vita difficile e avventurosa di un curioso architetto del '700, in Il giornale d'Italia,30-31 dic. 1961, p. 3; F. Fasolo, Contributo alla conoscenza dell'opera dell'arch. G. B.(1746-1809): la chiesa di S. Giorgio in Oriolo Romano,in Quaderni dell'Istituto di Storia dell'architettura,1962, 52-53, pp. 24-40; A. Schiavo, Palazzo Altieri, edito a cura dell'Associazione Bancaria Italiana, Roma 1963.