ARCONATI VISCONTI, Giuseppe
Nato a Milano il 9 apr. 1797 dal marchese Carlo, ex consigliere generale della città, e da Teresa Trotti Bentivoglio, nobildonna dedita a severe pratiche di pietà e tenuta in considerazione nei circoli giansenistici milanesi, l'A. ricevette un'educazione improntata a rigida religiosità. Rimasto presto orfano, fu unico erede di un vastissimo patrimonio (immobili a Milano, Torino, Roma; tenute in Lombardia e negli Stati sardi). Nel 1818 sposò una cugina, Costanza Trotti Bentivoglio. I salotti letterari e politici di A. Manzoni, di L. Porro Lambertenghi, di F. Confalonieri si aprirono assai presto alla giovane coppia; del Confalonieri e del Porro Lambertenghi l'A. condivise non soltanto gli interessi culturali, ma anche gli ideali politici.
Fece parte, insieme con G. Pallavicino e G. Castillia, della deputazione che si recò il 16 marzo 1821 dal colonnello di San Marzano e il 17dal principe di Carignano, per sollecitare un intervento piemontese in Lombardia. Invitato alla prudenza dalla suocera, Antonia Schaffgotsche, nobildonna dell'alta aristocrazia viennese, il cui salotto a Milano era frequentato dall'aristocrazia locale e dalle massime autorità, e che lo Strassoldo teneva al corrente delle informazioni raccolte dalle autorità austriache, l'A., a differenza dei due compagni, non rientrò in Lombardia, e con la moglie, che lo raggiunse in Piemonte il 19 marzo, prese la via dell'esilio. Dopo una breve sosta a Parigi, gli Arconati proseguirono nell'aprile per il Belgio, dove contavano sull'appoggio dello zio, Paolo Arconati Visconti; questi, poco prima della morte, avvenuta il 20 agosto, fece donazione al nipote di tutti i suoi beni (castello di Gaesbeek, diverse tenute e immobili a Bruxelles).
Nell'autunno del 1821 l'inchiesta delle autorità austriache portò gravi elementi a carico dell'A., e il processo si concluse con la condanna a morte in contumacia, alla fine del 1823, e la confisca dei beni lombardi. L'A., insieme con la moglie, si stabilì in Belgio, dove nel 1822 aveva chiesta e ottenuta la naturalizzazione. In Belgio lo trattenevano il benevolo atteggiamento di Guglielmo d'Orange (l'A. aveva ereditato dallo zio anche il diritto ad esser ricevuto a corte), una rete di potenti conoscenze, tra cui il ministro delle colonie Talck e il capo della gendarmeria dei Paesi Bassi Roisin, e anche i suoi interessi economici, minacciati da una causa del fisco e da un'altra di una figlia illegittima dello zio, Sophie d'Arc-Masson, per invalidare la donazione di questo all'Arconati.
Le dimore dell'A. (particolarmente il grande castello di Gaesbeek) diventarono rifugio e punto d'incontro di un folto gruppo di esuli, di tendenza moderata, e attivo centro di contatti tra questi e numerosi esponenti della cultura romantica e liberale europea. Animatrice ne fu la moglie Costanza; l'A., il generoso finanziatore.
Intimi degli Arconati e ospiti abituali furono, per alcuni anni a partire dal 1824,Giacinto Provana di Collegno (che poi sposò Margherita Trotti cognata dell'A.); dal 1826 Giovanni Arrivabene, ma soprattutto G. Berchet, con il quale Costanza mantenne una assidua corrispondenza. Più tardi a questa cerchia si aggiunsero Giovita Scalvini e Giuseppe Massari. Ospiti per alcuni periodi furono anche G. Borsieri (1827), Pellegrino Rossi, T. Mamiani (1827), F. Confalonieri (1837), P. Borsieri (1839), e tra gli stranieri il Fauriel con Mary Clarke (1829), l'economista inglese N. W. Senior, il ministro inglese whig Adair, il poeta Longfellow, il giurista tedesco E. Gans, i liberali belgi A. Quételet, S. van de Weyer, F. de Mérode. L'A. sovvenzionò la scuola fondata a Bruxelles nel 1829dall'esule bresciano P. Gaggia, nella quale insegnò dal 1835al 1845il Gioberti; quest'ultimo tenne sempre a distinguersi dal "crocchio" Arconati; ma fu allora uno dei confidenti dell'A. e anche in seguito mantenne con lui contatti cordiali.
A intrecciare rapporti, creare scambi di cultura, i cui benefici venivano subito estesi a tutto il gruppo, servirono anche i numerosi viaggi degli Arconati. A Parigi, a Heidelberg, a Bonn, a Berlino frequentarono lezioni e ambienti culturali, riportandone ai loro amici e corrispondenti gli echi, spesso gli appunti, inserendosi nella discussione dei grandi temi che interessavano il mondo cattolico liberale d'Europa.
La rivoluzione del 1830-31 in Belgio, dove gli amici liberali salivano al potere, rafforzò ulteriormente la posizione dell'A., che si limitò a partecipare assai marginalmente alla guerra contro l'Olanda, nel 1831, come colonnello delle guardie civiche del suo cantone. Per quanto riguardava la situazione italiana, gli Arconati, che subito dopo la rivoluzione di luglio in Francia avevano inviato G. Arrivabene a Ginevra a chieder consiglio a Pellegrino Rossi, furono contrari ad ogni azione immediata.
Nel 1839 la morte improvvisa del figlio Carletto e la speranza di un ritorno a Milano, suscitata dall'amnistia concessa dall'imperatore d'Austria, indussero l'A. e la moglie a lasciare Gaesbeek. In realtà, l'amnistia non si applicava ai contumaci condannati a morte, ma nel 1840 gli Arconati ottennero il permesso di recarsi, e poi, come stranieri, di soggiornare temporaneamente a Milano. L'anno successivo fissarono il domicilio a Pisa, dove ritrovarono vecchi amici, come la famiglia Manzoni, e furono immediatamente introdotti nei circoli moderati gravitanti intorno all'università: S. Centofanti, P. Capei, G. Giusti, G. Montanelli, G. B. Giorgini, e a Firenze G. Capponi. Negli anni successivi condivisero gli entusiasmi e le esitazioni del movimento cattolico liberale: se nel 1843 parvero dapprima approvare gli attacchi della estrema destra piemontese contro il Gioberti - che se ne ebbe assai a male - in seguito si riavvicinarono a lui, pur avendo verso Il Primato le stesse riserve che esprimerà il Balbo nelle Speranze d'Italia. Nel febbraio 1846 l'A. partecipò alla manifestazione organizzata da G. Montanelli e dai circoli giobertiani di Pisa contro l'apertura di un convento di suore del Sacro Cuore voluta dai gesuiti. In seguito a ciò, nel 1847, era costretto a trasferirsi da Pisa a Firenze. Insieme con la moglie, del resto, si allontanò spesso in quegli anni dalla Toscana: nel 1846 fu a Genova per il Congresso degli scienziati, nel marzo del 1847 a Roma per esprimere il proprio entusiasmo per le riforme pontifice, prima di manifestare a Firenze quello per le riforme granducali.
Nel 1848, appena ebbe notizia dell'insurrezione, l'A. partì alla volta di Milano dove con la moglie fu tra i più attivi partigiani dell'unione immediata col Piemonte, predisposto a ciò, come buona parte dell'aristocrazia fondiaria lombarda, oltre che dal propri ideali di moderato - che nella monarchia sabauda trovava una garanzia di stabilità sociale e politica - anche dalla posizione geografica delle sue proprietà, a cavallo tra Lombardia e Piemonte. Nell'aprile l'A. si recò da Carlo Alberto, latore di una mozione di ringraziamento seguita da dodicimila firme, preludio al plebiscito di fine maggio. Ma dopo aver partecipato nell'agosto agli ultimi fatti d'arme insieme alla guardia nazionale mobile, dovette riprendere con la moglie la strada della Toscana. Qui restarono fino alla fine del 1849, personalmente indisturbati, ma irritati e intimoriti dalle rivoluzioni repubblicane di Genova, della Toscana, di Roma, malinconicamente fedeli a Carlo Alberto. Ulteriormente amareggiati dalla caduta del gabinetto Gioberti e dagli avvenimenti del 1849, essi furono spinti dalla paura di moti rivoluzionari su posizioni decisamente conservatrici.
Alla fine del 1849, dopo la restaurazione del granduca in Toscana, gli Arconati si trasferirono in Piemonte, dove risiedettero alternativamente a Torino e nella loro tenuta modello di Cassolnovo, diventata nuovo centro di incontro di moderati e cattolici, come Rosmini, Manzoni, Ricasoli, Minghetti, ecc. L'A., che aveva intanto ottenuto la cittadinanza sarda entrò nel parlamento subalpino come deputato di Vigevano nella IV e nella VI legislatura, e come deputato di Cuggiono nella VII e nell'VIII. In un primo tempo l'A. dominò un gruppo di destra, legato al Collegno e all'Azeglio e poco benevolo verso il Cavour e il Rattazzi, e spesso votò insieme con la destra clericale, soprattutto in materia ecclesiastica. Ma nel 1855 il gruppo dell'A., come il Collegno (e il Rosmini, il cui parere fu richiesto dal governo tramite l'A.), si manifestò favorevole all'intervento in Crimea, e da allora l'A. passò tra i sostenitori del Cavour.
Dopo l'unificazione, l'A. fu nominato senatore nel 1865; anche in senato continuò a sedere sui banchi della destra.
Gli ultimi anni dell'A. furono rattristati dalle condizioni di salute del figlio Gianmartino, nato dopo la morte del primo nel 1839. L'A. morì a Milano l'11 marzo 1873, e con la moglie, morta due anni prima, fu sepolto ad Arconate.
Fonti e Bibl.: G. Arrivabene, Memorie della mia vita, I(1795-1859), Firenze 1879, pp. 160-169, 189, 209; Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da A. Carraresi, I-VI, Firenze 1882-1887, v. Indice; Correspondance de Fauriel et Mary Clarke, publiée par Ottmar de Mohl, Paris 1911, v. Indice; Carteggio del conte Confalonieri ed altri documenti spettanti alla sua biografia, a cura di G. Gallavresi, II, Milano 1911, v. Indice; Carteggio di A. Manzoni, a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, I-II, Milano 1912-1921, v. Indice; G. Massari, Lettere alla marchesa Costanza Arconati dal 19 maggio 1843 al 2 giugno 1853, a cura di G. Beltrami, Bari 1921, passim; A. Malvezzi, Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, 1820-1860, Milano 1924, passim; V.Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile e G. Balsamo-Crivelli, II-XI, Firenze 1927-1937, v. Indice; G. Berchet, Lettere alla marchesa Costanza Arconati, a cura di R. Van Nuffel, I, Roma 1956; Carteggio di Federico e Teresa Confalonieri, a cura di F. Arese e A. Giussani, Milano 1956, v. Indice; A.D'Ancona, Federico Confalonieri, Milano 1898, passim; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, Milano 1911, pp. 120, 229, 300-302, 359-361; J. Boulenger, Berchet et Costanza Arconati, in Il Risorgimento Italiano, VI (1913), pp. 657-719; A. Luzio, Costanza Arconati, in Profili biografici e bozzetti, II, Milano 1927, pp. 2-60; M. Battistini, L'Archivio Arconati-Visconti nel Castello di Gaesbeek, in Riv. stor. degli Archivi toscani, III(1931), pp. 95-99, 162-195, 282-289; E. Li Gotti, Lettere e documenti di storia del Risorgimento Italiano. L'Archivio Arrivabene Valenti-Gonzaga, in Leonardo, IV(1933), pp. 409-413, 466-472; V (1934), pp. 8-13, 306-311, 385-390, 492-497, 530-534; VI (1935), pp. 157-162, 252-257, 305-314; F. Vennekens, La seigneurie de Gaesbeek (1236-1795), Abbaye d'Affligem-Hekelgem 1935, pp. 224-226; D. Scioscioli, Il dramma del Risorgimento sulle vie dell'esilio, I-II, Roma 1937-1955, passim; M. Battistini, All'ombra del Castello di Gaesbeek. Il processo civile d'Arc-Masson-Arconati Visconti (1821-1827), Pescia 1952; Z. Arici, G. Berchet e Costanza Arconati Visconti. Anni di esilio e di attesa (1821-1838), in Studi sul Berchet pubblicati per il primo centenario della morte, Milano 1951, pp. 171-200; R. Van Nuffel, Constance Arconati en Belgique, in Risorgimento (Bruxelles), 1958, n. 2, pp. 67-89; Encicl. Ital., IV, p. 127.