GHEDINI, Giuseppe Antonio
Nacque nel 1707 a Ficarolo, nel contado ferrarese.
Come si sa dalla preziosa lettera autografa conservata nella Biblioteca Ariostea di Ferrara e indirizzata a G.A. Scalabrini, il G., grazie all'appoggio di G. Baruffaldi, ebbe "i primi erudimenti in quanto al disegno" dal pittore Giacomo Parolini (Riccomini, 1970, p. 81), protagonista incontrastato della pittura ferrarese nel primo trentennio del Settecento. Il vero apprendistato del G. dovette svolgersi però a Venezia, dove è documentato nel 1736: a questa data risalgono infatti i trentuno disegni, oggi in collezione privata ferrarese, preparati dall'artista per la serie di incisioni che Marco Pitteri stava approntando come corredo illustrativo del Ricciardetto, poema burlesco del pistoiese Nicolò Forteguerri, pubblicato nel 1738 (ibid., pp. 65 s.). Poco prima di trasferirsi a Venezia, plausibilmente dopo la morte del Parolini, nel 1733, il G. firmò in questo stesso anno una pala, perduta durante la seconda guerra mondiale (Roli), per il duomo di Mirandola, e un quadro per la chiesa di Vallalta. Durante il periodo veneziano, grazie al confronto con le opere di G.B. Tiepolo, G.B. Piazzetta, G. Diziani, si decise la sua cultura figurativa, così densa di apporti lagunari visibili soprattutto nella ritrattistica.
Immediatamente a ridosso del soggiorno veneziano si colloca il ritratto di Girolamo Baruffaldi della Pinacoteca nazionale di Ferrara datato 1736, come si ricava da una lettera del 1744 inviata dallo stesso Baruffaldi all'editore bolognese Lelio della Volpe (Campori, 1866, p. 199). Con questo dipinto, e grazie all'importanza del personaggio rappresentato, il G. si apprestava a diventare il maggior ritrattista della società ferrarese. L'anno successivo lavorò per il marchese Ercole Bevilacqua che nel coro della chiesa di S. Francesco a Ferrara aveva fatto erigere un cenotafio in onore del prozio, il cardinale Bonifacio, del quale il G., copiando un esemplare seicentesco (Riccomini, 1970, p. 60), eseguì il ritratto in ovale all'interno della cornice e degli stucchi di Andrea Ferrari. Per conto dello stesso marchese Bevilacqua, e allo scopo di ottenere la venuta a Ferrara di Ferdinando Galli Bibiena (Campori, 1866, p. 197), nel 1738 il G. si recò a Bologna. In questa città ebbe modo di approfondire la conoscenza della pittura locale avviata già a Ferrara grazie alla raccolta del cardinale Tommaso Ruffo che fin dall'inizio del secolo offriva agli artisti un irrinunciabile confronto con la pittura bolognese, ma anche romana e napoletana.
Dopo il rientro da Bologna il G. lavorò costantemente a Ferrara. Nel 1740 fu ancora al servizio dei Bevilacqua, per i quali eseguì ad affresco la raffigurazione dell'Olimpo nel loro palazzo all'angolo della piazza Ariostea; realizzò inoltre il ritratto di Bonaventura Barberini (Ferrara, convento di S. Maurelio) nominato in quell'anno vescovo di Ferrara, e firmò e datò il ritratto di Alfonso Varano nella Pinacoteca nazionale.
In questo riuscito esempio di pittura celebrativa, curatissimo nella preziosità dei velluti e studiato nella scelta di una posa evocativa, il letterato è rappresentato mentre tiene in mano le sue Rime amorose pastorali e scherzose pubblicate nel 1740.
Ancora al 1740 risalgono i dipinti con figure allegoriche e personaggi biblici realizzati dal G. insieme con il pittore Francesco Parolini e con i due quadraturisti Giacomo Filippi e Giuseppe Facchinetti nei due bracci del transetto di S. Maria in Vado; in questa stessa chiesa il G. eseguì personalmente nella cappella Avventi le grandi tele con il Sacrificio di Melchisedech, firmato e datato in basso al centro, e la Parabola del mendico cacciato dal convito di nozze.
Lo stesso pittore ricorda come avesse realizzato i due dipinti "a cola" (Riccomini, 1970, p. 82), ovvero a tempera, mezzo adeguato per un artista che come lui ricercava una pittura leggera, coloristicamente piacevole, di pronta e vivace esecuzione nella rappresentazione delle figure sulla scena, in cui l'aneddoto e il dettaglio di costume appaiono particolarmente ricercati.
Nel 1748 consegnò la pala per un altare della chiesa di S. Maurelio, con i Ss. Fedele da Sigmaringa e Giuseppe da Leonessa. Datato 1751 è il ritratto di Ferrante Borsetti nella Biblioteca Ariostea, l'esempio forse più alto tra le "centinaia" di ritratti che lo stesso pittore dichiarava di aver eseguito (ibid., p. 81).
Si tratta ancora di un ritratto celebrativo in cui il colore d'impronta veneta e la ricercatezza nelle vesti si sovrappone abilmente a un'attenzione al dato reale evidente nei lineamenti del viso del personaggio, raffigurato nell'atto di presentare i Colpi all'aria, poema satirico da lui pubblicato nell'anno del ritratto. Con questo dipinto trova ulteriore conferma l'attività del G. al servizio di letterati, testimoniata anche dai disegni eseguiti nel 1752 per l'incisione a stampa delle prediche del Barberini (Riccomini, 1979, p. 183).
All'inizio degli anni Cinquanta i padri domenicani del convento di S. Maria degli Angeli commissionarono al G. un dipinto di grandi dimensioni con la Moltiplicazione dei pani e dei pesci per il refettorio nuovo, oggi nel transetto della certosa di Ferrara. Nella vasta tela, di cui si conserva in collezione privata ferrarese uno studio per il Cristo (Id., 1971, n. 70), si ritrovano puntuali echi della pittura lagunare accanto a un modo di organizzare la composizione per gruppi di figure, riferibili ad altrettanti prototipi, di stampo accademico e che costituisce la principale sigla stilistica del pittore.
La vastità dell'impresa e difficoltà di natura privata non permisero al G. di consegnare nei tempi previsti l'opera, che fu terminata nell'agosto del 1755 (Barotti, p. 80): ne seguì la denuncia all'autorità competente contro il pittore, per il quale intercesse il marchese Bevilacqua, informato sui motivi del ritardo da una lunga lettera di Andrea Barotti dei primi mesi del 1755 (Riccomini, 1970, pp. 82 s.). In seguito alla morte della moglie, il G., gravato dal fardello di una famiglia numerosa, si era infatti trovato in precarie condizioni finanziarie che lo avevano indotto ad accettare contemporaneamente altre commissioni tra cui alcuni interventi di restauro; nel 1753, per esempio, l'artista era intervenuto su una pala di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, conservata nel convento delle clarisse di S. Bernardino, circostanza che gli aveva dato modo di informare il Baruffaldi sulle opere lì conservate, inaccessibili a causa della clausura (Baruffaldi, pp. 358, 360).
Dalla lettera autografa del G., apprendiamo che nel 1758 egli era impegnato nella realizzazione della pala per la chiesa del Gesù con i Ss. Francesco Borgia e Francesco Regis, oggi in sagrestia, dove forse più che altrove l'artista sembra pagare il debito nei confronti della scuola veneziana. Coadiuvato ancora da Giuseppe Facchinetti per l'architettura dipinta, stava inoltre lavorando agli affreschi, perduti, della volta dell'oratorio di S. Sebastiano adiacente alla chiesa di S. Francesco con la Gloria e il Martirio del santo (Scalabrini, p. 198), e aveva da poco terminato la decorazione della scala dell'attiguo oratorio di S. Maria della Scala, dove aveva collaborato, a partire dal 1754, con lo stuccatore Pietro Turchi e, per le quadrature, con Facchinetti. Del 1758 è anche la serie con i Misteri del rosario della parrocchiale di Porotto.
Nella lettera a Scalabrini il G. menziona anche una nutrita serie di opere realizzate entro il 1758: ritratti di nobiluomi e letterati, decorazioni di alcune residenze signorili, tra cui palazzo Sacrati, dove dichiarava di essere attivo proprio in quel momento, e lavori all'interno delle chiese cittadine, come la pala, perduta, con la Vergine e s. Caterina Vigri per l'altare di S. Ivone nella chiesa di Ognissanti, patrocinato dalla famiglia Vigri. Inoltre, il G. riferisce di un'attività per i sobborghi ferraresi e per committenti di altre città italiane, quali l'abate Giustiniani a Roma e il marchese Capponi a Firenze.
Da questo momento non si hanno più notizie dell'attività del pittore fino al 1767, anno in cui gli furono commissionate le pale per i due altari laterali della chiesa del monastero del Corpus Domini, con l'Annunciazione e il Transito di s. Giuseppe; quest'ultima opera fu tuttavia eseguita nel 1773, come si desume dalla data apposta sul quadro, ed è dunque contemporanea alla Gloria di s. Caterina Vigri, eseguita dal G. nel soffitto della chiesa all'interno delle quadrature di Maurelio Goti.
Nel 1768 il G. realizzò la Maddalena nella parrocchiale di Salara presso Ficarolo e probabilmente cominciò a lavorare nel palazzo Paradiso, sede dell'Università di Ferrara, che in quel periodo stava rinnovando i propri ambienti a seguito della riforma di uno dei suoi istituti più rappresentativi, l'Accademia del disegno, attuata dal vescovo Giovanni Maria Riminaldi. In questa occasione il G. si vide affidare la cattedra di pittura, incarico che ricoprì fino alla morte, e partecipò alle decorazioni di alcuni ambienti del palazzo.
L'affresco con la Sapienza in particolare, terminato nel 1773, riflette le idee di fondo che avevano mosso la riforma dell'Accademia e che avevano sottratto l'insegnamento alle magistrature locali: i fanciulli al di sotto della personificazione della Sapienza hanno abbandonato i loro giochi e possono così liberamente cibarsi dei frutti che sono offerti loro in un convito
Nel 1770, data in cui Barotti pubblicò il suo catalogo delle pitture pubbliche ferraresi, il G. aveva realizzato le opere citate nel testo, oggi tutte perdute, e stava eseguendo la pala per un altare laterale della chiesa di S. Francesco rappresentante S. Francesco di Paola; entro il 1773, data dell'opera dello Scalabrini dedicata alle chiese di Ferrara e dintorni, il G. aveva eseguito l'ovato con il Transito della Vergine per S. Maria della Pietà o dei Teatini.
Le notizie relative all'ultimo decennio di attività del G. sono piuttosto scarse: il 4 maggio 1776 siglò una stima fatta su incarico delle clarisse di S. Bernardino per la vendita di alcuni dipinti in possesso del convento. Nel 1788 dipinse il quadro con Angelica e Medoro, in collezione privata, e il relativo bozzetto nella raccolta Mazza di Ferrara (Riccomini, 1971, n. 89).
Il G. morì a Ferrara il 5 giugno 1791 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco (Garani, p. 81).
Fonti e Bibl.: G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi [sec. XVIII], I, Ferrara 1844, pp. 336, 358-361; II, ibid. 1846, pp. 574 s.; C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara [sec. XVIII], a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, ad indicem; C. Barotti, Pitture e scolture che si trovano nelle chiese, luoghi pubblici, e sobborghi della città di Ferrara, Ferrara 1770, ad indicem; G.A. Scalabrini, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara e de' suoi borghi, Ferrara 1773, ad indicem; C. Cittadella, Catalogo de' pittori e scultori ferraresi, IV, Ferrara 1783, pp. 124-126, 210-212, 218; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 242; Id., Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 196 s., 199; L. Garani, Il tempio di S. Francesco in Ferrara, Ferrara 1950, p. 81; G. Zanotti, La basilica di S. Francesco in Ferrara, Genova 1958, pp. 106, 146, 166; E. Riccomini, Settecento ferrarese, Milano 1970, pp. 27 s., 58-83; Id., in Il Settecento a Ferrara (catal.), Ferrara 1971, nn. 64-89; B. Giovannucci Vigi, in L'arte del Settecento emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 183-185; E. Riccomini, La pittura a Ferrara, ibid., pp. 178 s.; L. Benini, La certosa di Ferrara. Notizie storiche e descrittive, in La certosa di Ferrara, Ferrara 1985, p. 35; R. Roli, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 732; B. Giovannucci Vigi, in La Pinacoteca di Ferrara, Ferrara 1992, pp. 250-253; F. Fiocchi, Il palazzo del Paradiso da residenza a "luogo delle scienze", in Palazzo Paradiso e la Biblioteca Ariostea, Roma 1993, p. 63; R. Varese, Momenti pittorici a palazzo Paradiso, ibid., pp. 106-108; Inventari d'arte. Documenti su dieci quadrerie ferraresi del XIX secolo, a cura di G. Agostini - L. Scardino, Ferrara 1997, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 522.