AIGUEBLANCHE, Giuseppe Angelo Maria Carron di San Tommaso marchese di
Nacque a Torino il 4 ott. 1718, settimo figlio di Giuseppe Gaetano Giacinto, ministro di stato, e di Vittoria Teresa Saluzzo di Valgrana, dama d'onore della principessa di Piemonte. Ancora giovanissimo, entrò come alfiere nel reggimento delle guardie e, l'11 marzo 1742, venne nominato secondo scudiere e gentiluomo di bocca del duca di Savoia, quindi, l'11 maggio 1750, primo scudiere e gentiluomo di camera. Dal 17 maggio 1750 al 1753 fu a Dresda, come inviato del governo sardo presso Federico Augusto, elettore di Sassonia e re di Polonia.
Scrisse in questa occasione una breve relazione sul paese, dando ànche un ritratto di Federico Il di Prussia, dove sono notevoli, pur nel riconoscimento delle qualità del re, le riserve riguardo ai sistemi personali del suo governo e agli aspetti economici della sua politica.
Nel 1753 sorse un serio incidente diplomatico tra Dresda e Torino, originato da una decisa protesta della corte di Sassonia contro l'intenzione di Benedetto XIV di conferire un cappello cardinalizio alla nunziatura di Torino, senza fare altrettanto in favore di quella di Dresda. Tale protesta, contrariamente a ogni consuetudine diplomatica, venne pubblicata nella Gazzetta di Utrecht. La corte sarda reagì richiamando a Torino l'A., al quale fu rimproverato di non aver saputo prevenire o almeno attenuare il risentimento di Federico Augusto. Ma tale accusa sembra infondata: di fatto il Brühl, responsabile della politica di Dresda, cercava di compensare con un apparente zelo esteriore il favore concesso all'interno dello stato ai protestanti.
Tornato a Torino, l'A. riannodò i legami di amicizia che, fin dal 1742, l'univano con l'allora duca di Savoia Vittorio Amedeo, non ben visto dal padre Carlo Emanuele III, le cui preferenze andavano al cadetto duca del Chiablese. Vittorio Amedeo, in unione con il Sallier de la Tour, marchese di Cardon, e con l'A., andava progettando una politica estera meno remissiva; il sottosegretario agli Affari esteri, Paolo Antonio Vuy, forniva periodicamente al duca, tramite l'A., sunti dei dispacci degli ambasciatori. Alla morte del vecchio sovrano, il 20 febbr. 1773, Vittorio Amedeo III ne licenziò assai presto tutti i ministri, per circondarsi di nuovi collaboratori: all'A. toccò dapprima la carica di ministro di stato e sovrintendente agli Archivi, e subito dopo (1 marzo 1773) la segreteria degli Affari esteri, che resse fino al 1777.
Quando l'A. ne assunse la direzione, la politica estera dello stato sabaudo non presentava molte possibilità di sviluppo. Il riavvicinamento tra Austria e Francia, sanzionato dal trattato di Versailles del 1756, aveva posto un insormontabile ostacolo alle tradizionali ambizioni espansionistiche dei Savoia, e il patto di famiglia tra i Borboni, nel 1761, ne aveva ancor più accentuato l'isolamento. Inoltre, i matrimoni dei fratelli di Luigi XVI, il conte di Provenza e il conte d'Artois, rispettivamente con Maria Giuseppina (1771) e Maria Teresa (1773), figlie del nuovo re, avevano preparato un'alleanza di famiglia dei Savoia con i Borboni, destinata, nell'intento dei Savoia, a garantire il Piemonte, ma che aveva finito in realtà con l'attrarre il regno sardo nell'orbita dell'influenza francese.
Gli sforzi dell'A. apparvero fin dall'inizio guidati dal desiderio di sottrarre il regno alla preponderanza francese, tanto più pericolosa in quanto la perdurante alleanza tra la Francia e l'Austria impediva una ripresa della vecchia politica di basculla tra i due tradizionali contendenti. Tale significato ebbe, ad esempio, l'inizio di normali relazioni diplomatiche, nel 1774, con la Prussia. Nello stesso anno si lavorava alla segreteria degli Esteri sarda ad una memoria sulle misure che l'Inghilterra avrebbe potuto prendere per controbilanciare l'unione della casa d'Austria con la Francia, e si fecero passi in tal senso a Londra (istruzioni all'inviato sardo a Londra del 9 e 16 apr. 1774). Così pure l'A., legato probabilmente da vincoli di amicizia all' elettrice di Sassonia fin dal tempo del suo soggiorno a Dresda, si adoperò per favorire un matrimonio del principe Carlo Emanuele (IV) con la principessa di Sassonia, mentre si oppose fin dall'inizio al progetto di un "terzo matrimonio francese" (di Carlo Emanuele con Maria Clotilde, sorella di Luigi XVI), propugnato invece dal conte d'Artois, dalla contessa di Provenza e dall'ambasciatore sardo a Parigi de Viry. All inizio del 1775 l'A. dovette rassegnarsi al matrimonio di Carlo Emanuele con la principessa francese, ma prima che questo si celebrasse (5 sett. 1775) pretese dalla Francia un accordo segreto che garantiva lo stato sabaudo da eventuali iniziative dell'Austria, contrariata dal nuovo limite posto alla sua influenza sulla corte francese.
La politica del ministro incontrò l'ostilità degli ambienti filo-francesi di Torino e del segretario d'ambasciata francese, Claude-Louis Bigot de Sainte-Croix. L'A. cercò una prima volta nel 1775 di allontanare quest'ultimo, che venne però difeso in tale occasione dal re; vi riuscì invece l'anno dopo, in seguito a un incidente provocato dal sequestro, che l'A. aveva ordinato, di una cassa contenente tutte le opere di Voltaire spedita dalla Francia per l'ambasciatore francese barone de Choiseul.
Nel 1777 venne scoperta una corrispondenza segreta tra il de Viry e l'intrigante segretario Paolo Antonio Vuy, nella quale erano contenute aspre critiche nei confronti dell'A. in particolar modo, ma non erano risparmiati neppure il sovrano e i membri della sua famiglia. Certamente entrarono in questo intrigo risentimenti e ambizioni personali: il de Viry mirava a sostituire l'A. alla segreteria degli Affari esteri, e il Vuy si riprometteva vantaggi da tale cambiamento. Ma la corrispondenza segreta, della quale pare fosse a conoscenza il Sainte-Croix, rappresentava anche un tentativo di scavalcare l'A. e la sua politica anti-francese. Il Vuy venne allontanato dal suo ufficio e rinchiuso nella fortezza di Asti, poi in quella di Ceva, dove finì i suoi giorni; il de Viry, richiamato, venne confinato per alcuni anni nelle sue terre. Non è molto chiaro lo atteggiamento di Vittorio Amedeo III in tale occasione: è probabile tuttavia che egli temesse di portar troppo oltre quella svolta anti-francese, che era già in parte implicita nella condanna del Vuy e del de Viry.
Così l'A., poco amato anche per il suo carattere aspro e diffidente, fu costretto a dimettersi il 5 sett. 1777, in seguito alle insistenti pressioni della contessa di Provenza.
Poco dopo la sua nomina a segretario per gli Affari esteri (agosto-settembre 1773), l'A. aveva dovuto affrontare una delicata vertenza con la S. Sede in occasione della soppressione dei gesuiti. Egli incaricò l'ambasciatore piemontese a Roma, conte di Rivera, di rappresentare al papa il disappunto provato da Vittorio Amedeo III nell'apprendere l'avvenuta soppressione dei gesuiti e l'incameramento dei loro beni nel suo stato, senza averne ricevuto alcun preavviso. La questione si risolse felicemente con le scuse offerte al re dalla S. Sede per l'inconsueta procedura usata. Sotto il ministero dell'A. si stabilirono pure, per la prima volta, rapporti diplomatici con la Russia e la Turchia.
Già insignito della Gran Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, l'A. fu nominato il 17 nov. 1780 cavaliere dell'ordine supremo della SS. Annunziata, terzo della sua famiglia, il che prova che la sua revoca non gli alienò del tutto il favore regio. Si ritirò nelle sue terre in Savoia, e morì a Torino il 9 marzo 1796.
In gioventù aveva scritto un'operetta: Sogno, versi sciolti di un cavaliere piemontese, pubblicata a cura dell'antiquario Bartoli, Padova s.d.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri Sassonia, m. 5, 6; Corti estere, Sassonia, m. 1; Corrispondenza Inghilterra, m. 81, 1774 Paris, Arch. du Minist. Affaires Etrangères, Corresp. Turin, t. 260, f. 214 lettera del barone, di Choiseul del 24 sett. 1777; L. Dutens, Mémoires d'un voyageur qui se repose, III, Paris 1806, pp. 245-249; Relazione del Piemonte del Segretario francese Sainte-Croix, a cura di A. Manno, in Miscell. di storia ital., s. 2., XVI (1877), pp. XXI, 146, 147, 149, 156, 158, 395, 397, 401; Le "Memorie" del conte Roberto Malines, a cura di P. Robbone, Torino 1932, pp. 156, 201-202, 206; E. A. De Foras, Armorial et nobiliaire de Savoye, I, Grenoble 1868, p. 312; D. Carutti, Storia della diplomazia della corte di Savoia, IV, Torino 1880, p. 437 e ss., 545-550; N. Bianchi, Storia della monarchia Piemontese dal 1773 al 1861, I, Torino 1887, pp. 42-50; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese, I, Torino 1892, pp. 23, 51, 56, 64-69; G. Demaria, La soppressione della nunciatura pontificia in Piemonte nel 1753, Torino 1895, p. 25; R. Bergadani, Vittorio Anzedeo III, Torino 1939, pp. 23, 45-48.