FURIETTI, Giuseppe Alessandro
Nacque a Bergamo, parrocchia di S. Andrea, il 23 genn. 1684 (e non 1685 come erroneamente riportano il Gallizioli e il Serassi), da Giovanni e da Caterina Terzi, entrambi di famiglia patrizia.
I Furietti erano un ramo dei Sonzogni di Zogno, in val Brembana, che aveva preso il nome da un Fachino di Guarisco detto Furia, i cui discendenti, stabilitisi a Bergamo, vi ricoprirono le prime cariche; i Terzi poi, marchesi e conti del Sacro Romano Impero, erano una delle prime famiglie della nobiltà bergamasca.
Il F. compì gli studi di grammatica in patria e quelli di retorica e di filosofia a Milano, nel collegio Elvetico, che era stato fondato da s. Carlo ed era tenuto dai padri della Congregazione degli oblati, poi denominati di S. Ambrogio e Carlo. In seguito passò al collegio Borromeo di Pavia per seguirvi corsi di teologia e di matematica, e frequentò quelli di diritto civile e canonico in quell'università fino al conseguimento della laurea in utroque iure. Non se ne conosce la data esatta, ma si può supporre che ciò sia avvenuto intorno al 1705, come pure l'ordinazione sacerdotale, che ebbe probabilmente luogo a Bergamo.
Nel 1709 il F. si trasferì a Roma, e lì lavorò ad arricchire il suo bagaglio di erudizione, indirizzandosi particolarmente alla storia e alla cronologia dell'antichità romana. Nel 1710 fu ammesso in Arcadia, col nome di Entesto Calameo. Tuttavia lo scopo del suo trasferimento a Roma era quello di entrare negli impieghi curiali, per cui il suo impegno maggiore fu indirizzato alla pratica giurisprudenziale. Dimostrò attitudini tali che nel 1715, appena trentenne, si vide affidata dall'ambasciatore di Venezia N. Duodo e dal papa Clemente XI, del quale godeva la stima, un delicata missione diplomatica: recarsi a Malta per ottenere dal Gran Maestro i vascelli dell'Ordine necessari a difendere dai Turchi alcuni presidi della Repubblica Veneta in Morea. Anche se gli aiuti giunsero in ritardo e la Morea venne abbandonata, il comportamento del F. fu approvato, e contribuì a fargli ottenere da Innocenzo XIII il 19 genn. 1722 la mantelletta prelatizia e la carica di referendario utriusque Signaturae. Nel 1725 venne nominato luogotenente civile del cardinale vicario e l'8 ott. 1732 ottenne da Clemente XII la luogotenenza civile dell'uditore della Camera apostolica, carica che ricoprì fino al 17 sett. 1743, "con equità, dottrina e scrupoloso impegno, decidendo intorno a cinquemila cause". Benedetto XIV nel 1743 lo promosse alla segreteria della S. Congregazione del Concilio (cui poi si aggiunse anche quella della Residenza dei vescovi), che il F. manterrà fino alla sua elevazione alla porpora sedici anni dopo.
Ma il F. fu anche archeologo e letterato: aveva esordito con l'edizione delle opere di Gasparino e Guiniforte Barzizza (Opera…, Romae 1723), due importanti umanisti del secolo XV di Clusone (Bergamo), opere alle quali il F. fornì una dotta prefazione e una biografia di Gasparino, che gli valse gli elogi del Muratori.
Successivamente, essendo sorta una questione di precedenza fra i votanti della Segnatura di grazia e quelli della Segnatura di giustizia, egli, che faceva parte dei primi, ne difese in giudizio i diritti, con due orazioni a stampa, Alla santità di n.s. papa Benedetto XIV, Memoriale per li votanti di segreteria di grazia contro li votanti di segreteria di giustizia (Roma 1742) e … Memoriale di replica… (ibid. 1743). La causa ebbe molta risonanza e, quando la vittoria arrise alle tesi del F., egli ne ricavò ulteriore prestigio. Qualche anno dopo pubblicò Marci Publii Fontanae Bergomatis vita (Bergomi 1752), biografia in bel latino classicheggiante di un poeta suo conterraneo del sec. XVI, destinata come prefazione all'edizione delle poesie di quello curata dall'abate P.A. Serassi, anch'egli bergamasco, noto studioso del Tasso, che sarà suo collaboratore e dal 1759 suo segretario. Per questo egli cominciò in quel periodo a raccogliere lettere di Maurizio Cattaneo, che fu precettore del Tasso, lavoro che non completò mai, ma che venne adoperato dal Serassi per la sua Vita dell'autore della Gerusalemme.
La fama del F. ebbe origine dalla sua fortunata attività di archeologo e da un'opera attinente a tale attività. Egli era solito passare le sue vacanze nei dintorni di Tivoli: nel 1736 fece effettuare a sue spese fra i ruderi della Villa Adriana degli scavi che nel dicembre portarono al ritrovamento di due splendide statue di prezioso marmo bigio egizio, rappresentanti due centauri di squisita fattura dell'epoca di Adriano, di mano di due maestri greci, Aristea e Papia, i cui nomi figurano sui basamenti. La scoperta suscitò grandissimo interesse fra gli studiosi di antichità, nonché il vivo desiderio del papa di annettere quei capolavori alle sue collezioni, desiderio cui però il F. non volle assolutamente aderire. Nel 1738, poi, proseguendo gli scavi egli fece un altro rinvenimento di eccezionale importanza, quello del celebre mosaico "delle colombe", attualmente al museo Capitolino dove dà il nome a una sala, e dove sono conservati anche i due centauri, detti "il ridente" e "il piangente". Stimolato da quest'ultima scoperta, il F. indirizzò allora i suoi studi e le sue ricerche ai mosaici antichi, divenendo in pochi anni uno specialista in quel campo, tanto che nel 1752 a Roma poté dare alle stampe la sua opera principale, che resta tuttora un corpo di dottrina fondamentale sull'argomento. Si tratta di De musivis ad ss. patrem Benedictum XIV pontificem maximum, edizione arricchita da rami e iscrizioni.
Il lavoro, diviso in sei parti, tratta diffusamente dell'etimologia del nome, dell'origine e delle varie specie di mosaici, della loro storia, e dei modi d'uso presso i vari popoli da Roma antica al secolo XVIII. Dotato di sincero spirito religioso, il F. faceva uso caritativo delle sue rendite, abbastanza ricche da quando, oltre i benefici ecclesiastici di cui godeva in Roma, aveva ottenuto a Bergamo quello della doviziosa abbazia dei Ss. Simone e Giuda (un tempo detta della Magione), rinunziatagli dal card. A. Albani, e quella di S. Maria e di Tutti i Santi del Galgario.
La vita romana del F. conobbe anche un altro importante impegno, che assorbì molte delle sue energie e del suo tempo: il patrocinio dei bergamaschi di Roma. Nel 1535 questi ultimi avevano fatto acquisto dai canonici di S. Pietro della chiesa di S. Mauro ed edifici adiacenti per farne la sede della loro confraternita e per stabilirvi un ospedale (dove sarà ospitato il Tasso), ma nel 1725 Benedetto XIII, trasferendo quei beni ai gesuiti, ordinò ai bergamaschi di sgomberare. Il F., che era in prelatura da tre anni, perorò la causa dei suoi compatrioti, e riuscì a ottenere, in sostituzione di quelli ceduti, gli edifici di via di Pietra con l'annessa chiesa di S. Maria della Pietà. Con impegno e sacrifici poi, insieme con i "guardiani" dell'arciconfraternita, riuscì a raccogliere i fondi necessari ad acquistare tutti i piccoli fabbricati adiacenti, riunendoli in un unico grande edificio con fronte su piazza Colonna, comprendente la facciata della chiesa, ridedicata ai Ss. Bartolomeo e Alessandro. In tale edificio fu possibile finalmente, dando vita alla fondazione stabilita nel 1640 da F. Cerasoli, di ristabilire, insieme all'ospedale, il Collegio della nazione bergamasca, già alla Lungara.
Benedetto XIV non elevò il F. al cardinalato. Si volle che ciò derivasse da un presunto raffreddamento dei loro rapporti dopo il rifiuto del F. di cedere al papa i suoi preziosi reperti archeologici, ma il motivo vero fu di ben diversa natura. In quegli anni infatti era giunta alla crisi finale la secolare vertenza fra Venezia e l'Austria per la giurisdizione del patriarcato d'Aquileia, conclusasi nel 1751 con l'abolizione di quell'antichissima sede. Il F., che da fedele suddito veneto aveva attivamente collaborato con l'ambasciatore A. Cappello a sostenere con la sua dottrina giuridica le rivendicazioni della Serenissima in aspra opposizione alla corte di Vienna, era per quest'ultima divenuto persona non grata, per cui al papa sembrò inopportuno acuire tensioni concedendogli la porpora in quel momento. Ma venuto a morte nel 1758 Benedetto XIV, il successore Clemente XIII, il veneto Carlo Rezzonico, si affrettò a includerlo nella promozione cardinalizia del 24 sett. 1759, assegnandogli il titolo presbiterale dei Ss. Quirico e Giulitta. Venne subito assegnato alle congregazioni del Concilio, delle Immunità, della Disciplina regolare e della Segnatura di grazia, dichiarato protettore della Chiesa e nazione bergamasca, e della collegiata e capitolo di Argenta. Non poté però esercitare le sue mansioni che per pochissimo tempo, perché quasi subito si manifestò una gravissima infermità (probabilmente una forma avanzata di arteriosclerosi) che lo lese sia nelle facoltà mentali sia nelle fisiche: dopo cinque anni morì a Roma il 14 genn. 1764.
I solenni funerali furono celebrati a S. Maria sopra Minerva, ma egli fu sepolto a S. Alessandro dei Bergamaschi, dove nel 1772 gli fu eretto un monumento, con un ritratto a mosaico. Il suo testamento, redatto il 28 febbr. 1760, ebbe notevole importanza per Bergamo: infatti, pur nominando eredi i nipoti, Giovan Battista, Pietro Antonio e Lanfranco, figli del fratello Francesco Luigi (i quali vendettero a Clemente XIII i famosi pezzi di scavo per la somma di 14.000 scudi), legò tuttavia la sua scelta biblioteca romana alla città natale, con l'obbligo tassativo che entro cinque anni essa fosse aperta al pubblico. Ciò avvenne puntualmente nel 1768, cosicché in una sala del Palazzo comunale venne costituito il primo nucleo della Biblioteca civica. Il lascito, contenuto in 36 casse, era costituito da 1363 volumi e da manoscritti del Furietti. Di essi esiste nell'archivio capitolare (cat. 32-49) un catalogo stilato dal Serassi.
Fonti e Bibl.: Bergamo, Biblioteca Civica, Mss. Furietti; ibid., mss. vari e lettere dell'abate P.A. Serassi (interessante un lungo elenco di personalità che furono in corrispondenza col F., ms. R, 67, 6/22, e una Cronologia per la vita del s.r card. Furietti); C. Mozzi, Antichità bergamasche (ms.), alle voci Sonzogno e Furietti; ms. 5/166, f. 274 (sulle cariche del F. a Roma); Ibid., Biblioteca Capitolare: F. Bonetti, Libro di cerimonie 1751-1773, sub anno 1759; Ibid., Archivio comunale, Raccolta de' cerimoniali 1694 usque 1800, alle date 27 sett. 1759, 24 apr. 1760, 24 genn. 1764; copialettere del Comune, lettere del 3 ott. 1759, 30 apr. 1760, 21 magg. 1760, 1° febbr. 1764; Ibid., Arch. della parrocchia di S. Andrea, Liber baptismatorum, I, p. 269; Roma, Arch. dell'Arciconfraternita dei Bergamaschi: carte concernenti il F., in faldoni non ordinati. Novelle letterarie (Firenze), I (1740), col. 1; II (1741), col. 8; F. Buonamici, De claris epistularum pontificiarum scriptoribus…, Romae 1753 (il F. è uno degli interlocutori del dialogo che precede il trattato); G.B. Gallizioli, Memorie per servire alla storia… del card. G.A. F., Lucca 1790; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma…, IV, Roma 1806, pp. 323 s.; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant'anni, Venezia 1856, Appendice, pp. 1992 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e altri edifici di Roma dal sec. XI…, VI, Roma 1875, p. 520; A. Tiraboschi, Notizie storiche intorno alla Biblioteca civica di Bergamo, Bergamo 1880; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1933, pp. 494, 501, 1024; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, p. 408; P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Lettere, III, Milano 1951, pp. 105 e n., 1193; G.A. F., in Almanacco dei bibliotecari nel 1956, Roma 1956, p. 141; I. Negrisoli, in Atti dell'ateneo di Bergamo, XXIX (1957), ad Indicem; G.P. Galizzi, Nel bicentenario della morte del card. G.A. F., in Bergomum, XXXVIII (1964), pp. 1-16; L. Chiodi, La biblioteca civica e il cardinal F., ibid., pp. 17-28; G. Drago, Un grande umanista e giurista - Il cardinale G.A. F., in L'Osservatore romano, n. 75, 31 marzo - 1° apr. 1964, pp. 5, 10; L'Eco di Bergamo, 22 apr. 1964 (lettere al direttore di F. Luiselli); 1° maggio 1964 (articolo di E. Sornaga); G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica, XXVIII, Venezia 1844, pp. 75 ss.; Nouvelle biographie générale, XIX, Paris 1857, coll. 66 s.; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon…, V, Wien 1859, pp. 35 ss.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VI, Patavii 1958, p. 22 e n. 40; Enc. dell'arte antica, I, p. 75, s.v. Adriana, villa; Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XIX, coll. 436 s.