GIURISDIZIONE (lat. iurisdictio; fr. jurisdiction; sp. jurisdiccion; ted. Gaichtbarkeit; ingl. iurisdiction)
Nel diritto romano la iurisdictio indica l'insieme delle facoltà attribuite al magistrato a cui è affidata l'amministrazione della giustizia civile.
Durante l'età repubblicana e agl'inizî dell'impero il concetto di iurisdictio è semplice e omogeneo e designa, come il termine esprime, il potere attribuito a certi magistrati di ius dicere ("esporre il diritto": cfr. δείκνυμι). Ma verso la fine del I sec. dell'impero la cognitio extra ordinem viene assunta nel concetto della iurisdictio e allora iurisdictio e iudicatio diventano sinonimi. Nel corso dell'impero, poi, la iurisdictio è un concetto più complesso, in quanto che si estese a indicare anche misure prese dal pretore in virtù del suo imperium e consistenti nelle missiones in possessionem, nelle cautiones, nelle restitutiones in integrum, negl'interdicta: in un'iscrizione del II sec. (Corp. Inscr. Lat., V, 1874) si chiama iurisdictio pupillaris il diritto riconosciuto da Marco Aurelio e Vero al pretore di nominare tutori. Ciò nonostante, questa estensione del concetto di iurisdictio è impropria, e ben lo rilevano gli stessi giuristi romani dicendo che le misure pretorie sopraindicate sono magis imperii quam iurisdictionis. Infine, ma pare soltanto in età postclassica dopo Diocleziano, rientra nel concetto di iurisdictio l'assistenza del magistrato a una legis actio che le parti compiono d'accordo, soltanto pro forma, fittiziamente, per conseguire un certo risultato convenuto (manumissione vindicta, adozione, emancipazione, cessio in iure): quando il concetto di iurisdictio si estende così, viene naturale distinguere tra questa iurisdictio, che è detta voluntaria, e l'altra, cioè la vera iurisdictio, che è detta contentiosa.
L'elemento essenziale più caratteristico del processo civile romano dal tempo antico fino all'età di Diocleziano è la divisione della funzione giurisdizionale fra il magistrato, organo dello stato, e il iudex, per lo più scelto d'accordo dalle parti contendenti e confermato dal primo.
Il magistrato ius dicit: cioè esamina se la pretesa della parte - supponendo veri i fatti allegati - sia tale da meritare la protezione giuridica, ne fissa il contenuto e i limiti indicando quindi in ipotesi, con maggiore o minor determinatezza secondo i casi, la soluzione della controversia e nomina il iudex. Questi iudicat: cioè verifica i fatti asseriti dalle parti, vaglia le prove e controprove addotte e, applicando i principî posti dal magistrato, pronuncia la sentenza. In altre parole il magistrato istruisce la causa, il iudex la risolve. Il iudex è un privato, o anche più privati, nominati causa per causa, oppure un collegio permanente. Nella prima ipotesi esso può intervenire come iudexo come arbiter: in questo secondo caso, originariamente, con più larghezza e libertà d'indagine. Particolare rilievo, quando i giudici sono più, meritano quelli che erano detti recuperatores: sembra che il loro tribunale offrisse rapidità e semplicità processuale maggiore. Nella seconda ipotesi sono da ricordare i decemviri stlitibus (litibus) iudicandis, i centumviri, i tresviri capitales seu nocturni: il primo collegio lo vediamo funzionare in questioni di libertà; il secondo soprattutto in materia di petizione d'eredità: il terzo ha attribuzioni che si collegano sia alla procedura civile sia alla procedura criminale. In casi eccezionali, invece di rinviare le parti a un iudex, il magistrato poneva egli stesso fine al processo mediante sentenza. Così il magistrato agiva extra ordinem. All'aprirsi dell'età romano-ellenica questa cognitio extra ordinem, che prima era l'eccezione, diventa la regola; e, scomparsa la distinzione tra ius e iudicium, le funzioni di magistratus e iudex si riuniscono in una sola persona che è organo statuale.
Nel diritto romano non vi è separazione rigorosa tra quella che noi chiamiamo funzione amministrativa e la funzione giurisdizionale. Nell'età più antica la iurisdictio spettava al re, nelle cui mani erano concentrati tutti i poteri: caduti i re, la iurisdictio passò ai consoli e a quei magistrati straordinarî che tennero le veci dei consoli: dittatore, decemviri legibus scribendis, tribuni militum consulari potestate. Nell'anno 387 di Roma, secondo la tradizione, la giurisdizione civile viene distaccata dalle attribuzioni consolari e conferita a una magistratura nuova - la pretura -; e il praetor diventa il centro della giurisdizione civile in quanto che l'assorbe quasi tutta a eccezione della limitata giurisdizione riservata agli edili curuli e ai censori. I consoli continuano a esercitare quelle funzioni non propriamente di giurisdizione che vennero poi chiamate di iurisdictio voluntaria. Nel 512 la giurisdizione da esercitarsi fra cittadini si distacca da quella da esercitarsi fra peregrini o fra cittadini e peregrini e si hanno corrispondentemente un praetor urbanus e un praetor peregrinus. Con l'istituzione di quest'ultimo pretore la funzione del ius dicens s'ingigantì. Il praetor peregrinus doveva determinare in ciascun caso particolare la formula da applicare e farla conoscere al giudice. Accanto a questa manifestazione della iurisdictio, consistente nella redazione della formula, è quella manifestazione più generale consistente nella formazione dell'edictum, il pretore fa conoscere, nel momento dell'assunzione della carica, le formule che verranno messe a disposizione dei litiganti: è ciò che Ulpiano chiama iurisdictio perpetua.
Nei municipî e nelle colonie la giurisdizione viene esercitata dai praefecti iure dicundo, che sono delegati dal praetor, e da magistrati locali (duoviri, quattuorviri). Nelle provincie, della funzione giurisdizionale è investito il praeses, che periodicamente trasporta il suo tribunale e tiene sedute, dette conventus, personalmente o per mezzo di legati, nelle più importanti città della provincia. La nuova costituzione politica dell'impero apporta modificazioni notevoli anche nella giurisdizione civile. Il principe esercita questa giurisdizione in concorrenza coi magistrati ordinarî in forza del suo illimitato imperium; si va svolgendo l'istituto dell'appellatio al supremo tribunale imperiale. Le attribuzioni straordinarie date a poco a poco agli ufficiali imperiali limitarono e finirono con l'eliminare quasi del tutto la giurisdizione ordinaria degli antichi magistrati. Così hanno, durante l'impero, funzioni giurisdizionali a Roma il praefectus urbi, il praefectus praetorio, il praefectus annonae, il praefectus vigilum: in materia finanziaria l'hanno i procuratores Caesaris. Mentre durante l'età repubblicana la iurisdictio era esercitata dalle varie magistrature entro la propria sfera, in maniera indipendente, durante l'età imperiale si viene a stabilire una gerarchia nelle magistrature che vengono l'una subordinata all'altra. Questa gerarchia nel diritto giustinianeo ha il suo vertice nell'imperatore rivestito di tutto l'imperium e di tutta la iurisdictio. Subordinati a lui sono i quattro praefecti praetorio che presiedono alle quattro grandi prefetture in cui l'impero è diviso: per delegazione imperiale essi sono anche la suprema podestà giurisdizionale nella prefettura a cui presiedono. Al praefectus praetorio sono subordinati i vicarii delle diocesi in cui la prefettura è distribuita e, a loro volta, sono subordinati al vicarius i rectores delle provincie in cui la diocesi si ripartisce; finalmente sotto il rector stanno i duoviri a capo dei comuni in cui la provincia è frazionata. La subordinazione gerarchica delle varie magistrature ha per conseguenza di ammettere un numero stragrande di appelli. Fuori di questo quadro generale della giurisdizione vi sono numerose giurisdizioni speciali: merita di essere particolarmente ricordata negli ultimi tempi dell'impero quella dei vescovi: l'episcopalis audientia o episcopale iudicium venne acquistando molta importanza. Ciò che caratterizza l'esercizio della funzione giurisdizionale nell'età imperiale non è soltanto la subordinazione gerarchica che si viene stabilendo tra le varie magistrature - subordinazione che anticipa l'ordinamento giurisdizionale moderno - ma anche l'istituto, contrastante coi principî del diritto moderno, della delegazione. Mediante questa i magistrati si moltiplicano: finiscono per essere tanti quante sono le persone di fiducia, solitamente avvocati, detti iudices dati o pedanei o speciales, ai quali i magistrati affidano la funzione giurisdizionale.
Nel campo penale, la potestà domestica, pur rimanendo intatto entro l'età classica il ius vitae et necis spettante al pater familias, cede il posto alla potestà pubblica. Via via lo stato, a cominciare dai reati di ordine politico, afferma il suo diritto punitivo prevalente. La potestà in materia criminale dei consoli e dei comizî scompare col costituirsi delle quaestiones. I iudicia publica legitima hanno come propria caratteristica l'ordinamento delle singole figure di reati e delle corti giudicanti. Ogni reato ha un proprio tribunale che è una corte di giudici presieduta da un pretore speciale e prende il nome di quaestio, cioè commissione d'inchiesta: dapprima straordinaria, poi perpetua, di origine squisitamente politica. Il iudicium publicum della quaestio è esclusivamente accusatorio: ma l'accusa, che faceva dapprincipio del cittadino il fedele rappresentante dello stato, degenerò durante l'età imperiale nella volgare delazione. È opinione probabile che le quaestiones funzionassero non soltanto nella capitale. La loro procedura finisce per essere soppiantata dalla procedura extra ordinem, la quale è estesa perfino ai delitti privati, se la parte lesa preferisce esperire il giudizio pubblico anziché il privato. Questa procedura extra ordinem è esercitata dal tribunale senatorio, ma in più larga e crescente misura dai tribunali imperiali.
In Italia, dopo la caduta dell'impero d'Occidente, la giurisdizione va studiata nelle diverse fasi corrispondenti alle diverse epoche: barbarica, feudale, comunale e moderna. Nello stato longobardo giudici inferiori con limitata giurisdizione erano gli sculdasci e i centenarii: magistrato superiore era il duca: la giurisdizione suprema risiedeva nel re. Al tempo dei Franchi, magistrati straordinarî con speciali attribuzioni erano i missi dominici. Nell'età feudale, passate le attribuzioni dello stato nelle mani dei privati in ragione della qualità dei feudi da ciascuno posseduti, ne derivò un grande frazionamento della giurisdizione. La qualità di magistrato e il diritto di giurisdizione erano uniti al possesso del feudo. Vi erano tanti distretti di giurisdizione quanti erano i feudatarî. E, poiché i varî feudatarî erano ordinati a gerarchia, così vi erano varie specie di giurisdizione coordinate secondo le condizioni di chi ne era investito. La giurisdizione ordinaria feudale si distingueva in alta e bassa, a seconda che aveva, o non, la potestas gladii. L'imperatore in quest'epoca era il giudice supremo in tutti i luoghi dove la sua autorità era riconosciuta. Presiedeva personalmente, o per mezzo del conte di palazzo, il tribunale palatino, che funzionava nel luogo della sua abituale residenza. Nei luoghi dai quali l'imperatore era assente, esercitavano la sua giurisdizione i vicarî imperiali. Al tempo dei comuni la giurisdizione apparteneva sempre all'imperatore nonostante lo svolgersi delle autonomie comunali; ma, col progredire dei tempi, la giurisdizione imperiale si ridusse in confini sempre più angusti. Così ebbero una propria giurisdizione i comuni e le signorie. Gli stati che si andarono a mano a mano formando, esercitarono l'attività giurisdizionale mediante organi di diverso nome: con forme e con effetti non sempre uguali il potere assoluto dei principi riuscì a sua volta a spegnere le autonomie comunali. Anche la giurisdizione della chiesa, alla quale è dovuto il più largo, uniforme e memorabile sviluppo d'istituti giurisdizionali durante il Medioevo, subì per l'ampliarsi e il consolidarsi di quel potere gravi limitazioni. Nonostante la solennità, talvolta raggiunta, dell'organizzazione, la giustizia, annunciata ai popoli come guarentigia dei diritti privati, raramente poté adempiere il suo ufficio con pienezza d'effetti. Il privilegio dell'esercizio delle cariche giudiziarie riservato a caste speciali, la creazione di speciali giurisdizioni per casi o persone privilegiate, le arbitrarie sospensioni dei giudizî, gli annullamenti delle sentenze o dei loro giuridici effetti per ordine supremo del principe furono, insieme ad altre, cause perturbatrici della funzione giurisdizionale. Dalla rivoluzione francese ha inizio l'ultima epoca che chiamiamo moderna.
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La giurisdizione nello stato moderno con particolare riguardo alla giurisdizione civile.
La parola giurisdizione serve per indicare una delle tre grandi branche dell'attività dello stato, la quale dalla scienza giuridica moderna è ripartita in legislazione, giurisdizione e amministrazione. Per determinare l'oggetto e la natura della giurisdizione occorre brevemente distinguerla dalle altre due attività dello stato. Funzione essenziale dello stato è quella di regolare mediante norme giuridiche i rapporti della convivenza sociale: a porre le norme giuridiche provvede la funzione legislativa la quale ha per scopo esclusivo e caratteristico di formulare il diritto nuovo. Il diritto italiano vigente risponde al principio della completezza dell'ordinamento giuridico positivo, per cui ogni rapporto che sorga nella società, per quanto nuovo, è disciplinato da norme che si possono desumere dall'ordinamento giuridico positivo e che preesistono in esso. Solamente gli organi dello stato, investiti della funzione legislativa, possono cambiare il diritto preesistente, mentre nel compimento delle altre funzioni statuali gli organi sono sottoposti alle leggi vigenti. Questo fatto distingue nettamente la legislazione da un lato dall'amministrazione e giurisdizione dall'altro. Perché i rapporti sociali si svolgano ordinatamente per il conseguimento degli scopi cui tendono, non basta che essi siano regolati da norme giuridiche, ma occorre anche che queste siano attuate, cioè che si verifichino nei singoli casi concreti le conseguenze da esse volute. Normalmente l'attuazione della norma giuridica avviene mediante l'esecuzione del comando, in essa contenuto, da parte di coloro cui il comando stesso è rivolto: ma questa attuazione da parte del destinatario del comando può anche mancare e allora interviene lo stato per attuare il diritto mediante la giurisdizione: questa si estrinseca quindi in provvedimenti che sostituiscono l'operato dei destinatarî delle norme, per raggiungere la soddisfazione degl'interessi degl'individui e della comunanza, che è garantita e voluta dal diritto. Non ogni attuazione di norme giuridiche da parte dello stato costituisce giurisdizione: vi sono infatti delle norme che rivolgono immediatamente un comando a organi dello stato per assicurare che, mediante l'azione di questi, sia soddisfatto un determinato interesse che lo stato ha assunto come proprio e per il quale ha predisposta appunto l'azione di quel determinato organo. In questo caso l'attività dell'organo che attua il comando ad esso rivolto rientra neil'amministrazione, cioè nell'attività che è diretta a soddisfare in concreto un dete minato interesse dello stato. L'organo dello stato, che esercita giurisdizione, agisce in ottemperanza a un precetto secondario chiamato sanzione, il quale impone a esso di prendere le misure occorrenti ad assicurare quel soddisfacimento d'interessi, che si sarebbe ottenuto in un dato rapporto giuridico, se i comandi giuridici che lo disciplinano fossero stati attuati dai loro destinatarî. Presupposto dell'attività giurisdizionale è uno stato d' insoddisfazione d' interessi protetti dal diritto, conseguente alla mancata attuazione di norme giuridiche da parte dei destinatarî; scopo della giurisdizione è di eliminare questo stato d'insoddisfazione d'interessi, adottando le misure volute a questo scopo dal diritto.
Naturalmente anche la giurisdizione soddisfa un interesse dello stato e precisamente l'interesse che sia attuato il diritto; in quanto il diritto garantisce il raggiungimento di quegli scopi, individuali o collettivi, che si reputano consoni alla conservazione e al perfezionamento della vita sociale, è evidente che lo stato, come personificazione giuridica della società, ha interesse che sia attuato il diritto. Ma da ciò non consegue affatto che il singolo atto giurisdizionale debba soddisfare in concreto uno di quegl'interessi che lo stato ha assunto fra i proprî compiti e che persegue con l'azione di proprî organi. Molte volte accade che l'atto giurisdizionale riconosca e tuteli un interesse del singolo nei confronti dello stato, come p. es. quando si pronunzia sul diritto patrimoniale del singolo a ottenere un'indennità in caso di espropriazione. Mentre l'amministrazione tende a soddisfare particolari e determinati interessi dello stato, la giurisdizione mira ad assicurare la soddisfazione di tutti gl'interessi tutelati dal diritto, siano d' individui o dello stato, in quanto l'armonico soddisfacimento degl'interessi di tutti i consociati, nella misura garantita dal diritto obiettivo, è condizione essenziale per la vita sociale.
Quindi anche l'attività amministrativa dello stato può essere oggetto di giurisdizione, quando un altro soggetto si asserisca leso nei suoi interessi, giuridicamente protetti, dall'azione degli organi amministrativi. L'organo giurisdizionale interverrà nel conflitto fra cittadini e amministrazione, non come rappresentante di quel singolo interesse pubblico che l'amministrazione fa valere nel conflitto, ma come organo estraneo al conflitto e indipendente dalle due parti, che perciò tende ad attuare imparzialmente il diritto a favore di chi ha ragione. Relativamente ai rapporti, in cui è parte la pubblica amministrazione, occorre distinguere gli atti giurisdizionali da altri provvedimenti che pure hanno per scopo di assicurare che la pubblica amministrazione rispetti i precetti giuridici di cui è destinataria: allo stato interessa che la pubblica amministrazione si mantenga, con la sua attività, nei confini segnati dal diritto, perché solo in questo modo è garantito l'esatto adempimento delle pubbliche funzioni, senza pregiudizio dei consociati: a questo scopo sono predisposti molti controlli amministrativi i quali invigilano che l'attività di altri organi dell'amministrazione sia conforme al diritto. Questi controlli hanno natura amministrativa, per quanto la loro azione tenda ad attuare il diritto obiettivo, in quanto essi agiscono nell'interesse immediato e diretto dello stato e non per garantire egualmente la soddisfazione d' interessi privati e pubblici come avviene nella giurisdizione. Il superiore gerarchico che annulla, anche su ricorso, un provvedimento illegittimo d'un inferiore, agisce perché è interesse dell'amministrazione di mantenersi con proprî mezzi interni nei limitì del diritto, non perché ad esso spetti di tutelare gl'interessi del privato ricorrente, lesi dall'atto illegittimo.
Non è sempre facile stabilire se un organo dello stato sia investito di funzione giurisdizionale oppure eserciti un controllo amministrativo; basterà però tenere presente il principio generale che il controllo amministrativo, se anche mira a far rispettare il diritto obiettivo, appare sempre, per un complesso di circostanze, predisposto nell'interesse dell'amministrazione e che quindi, se pure in certi casi il privato leso eccita l'esercizio del controllo, questo può anche essere esercitato d'ufficio, in vista dell'interesse pubblico cui deve provvedere.
Quantunque il criterio di distinzione fra giurisdizione e amministrazione sia molto controverso per i particolari, vi è accordo nella dottrina generale sul punto che l'attività amministrativa è diretta a soddisfare quegli interessi che lo stato assume come pubblici e per i quali predispone quindi direttamente e in ogni caso un' azione dei proprî organi, mentre la giurisdizione tende a eliminare in modo secondario e sostitutivo un'insoddisfazione d'interessi protetti dal diritto obiettivo, che non si sarebbe verificata se le norme giuridiche, che disciplinano un dato rapporto, fossero state attuate dai loro destinatarî. Prima di tutto occorre dichiarare quale sia la volontà di legge che regola il caso concreto: è questo il primo passo per potere attuare il diritto. Il giudice non crea mai la volontà di legge per il caso concreto, ma accerta quale sia quella che già preesiste; dicemmo infatti che tutti i casi possibili sono regolati da una norma che sì può desumere dal diritto positivo. La norma della legge è formulata in modo astratto e generale, prevedendo una serie di casi possibili, indicati con determinati elementi caratteristici e stabilendo che si debbono verificare per essi determinate conseguenze giuridiche. Quindi, tutte le volte che si verifica in concreto uno dei casi previsti dalla legge, si forma un comando di legge particolare che impone quelle determinate conseguenze. Tale comando esiste già anche indipendentemente dal processo e dalla decisione del giudice, il quale non fa che rintracciarlo e stabilire quale esso sia: più particolarmente il giudice accerta le circostanze del caso concreto, esamina a quale fattispecie ipotizzata dalla legge esse corrispondano e stabilisce che nel caso concreto si devono verificare le conseguenze volute dalla legge per quella determinata fattispecie. Vi sono casi in cui la norma giuridica non precisa alcuni elementi delle conseguenze che si devono verificare in una data fattispecie, rimettendone la determinazione al giudice, il quale deve decidere secondo l'equità, secondo le circostanze e simili. In questi casi il giudice è investito della funzione di determinare il precetto giuridico nella sentenza, ma egli non lo crea arbitrariamente, bensì lo desume dai criterî generali di giustizia, equità e simili che la legge gl'impone di seguire. L'accertamento compiuto dal giudice, quantunque abbia per contenuto una volontà di legge che già esisteva, è tuttavia produttivo di alcuni effetti giuridici nuovi: prima di tutto l'accertamento giurisdizionale, quando è divenuto definitivo, rende incontrovertibile fra le parti l'esistenza della concreta volontà di legge proclamata dalla sentenza. Molte volte questo accertamento è sufficiente a conseguire lo scopo della giurisdizione: può accadere che già l'accertamento, senza altri provvedimenti, soddisfi l'interesse giuridicamente protetto. Così per es. quando viene pronunziata la falsità di una scrittura, la parte istante ha già conseguito lo scopo di togliere a quella ogni valore probativo.
L'accertamento può anche servire ad attuare il diritto obiettivo, in quanto il destinatario di un comando giuridico lo può eseguire spontaneamente, quando ne veda accertata in modo irretrattabile l'esistenza. Quando, nonostante l'accertamento del comando giuridico nella sentenza, non se ne abbia l'esecuzione da parte del destinatario, occorrono ulteriori provvedimenti per attuare il diritto, che in parte rientrano nel concetto di giurisdizione. Gli atti di esecuzione (cioè tendenti ad attuare le conseguenze volute dal diritto) hanno carattere giurisdizionale quando consistono in misure, prese da un organo dello stato che non è parte nella lite, per assicurare quella tutela d'interessi che si sarebbe potuta avere mediante un comportamento dell'obbligato.
Così rientra nella giurisdizione il procedimento di espropriazione, in cui il tribunale vende i beni del debitore, perché i creditori possano essere pagati col prezzo ricavato: così, quando una persona sia obbligata a consegnare una cosa determinata e non adempia all'obbligo, gli organi giurisdizionali provvedono a immettere il creditore nel possesso della cosa.
In altri casi invece l'esecuzione della sentenza non ha carattere giurisdizionale, quantunque sia compiuta da un'organo dello stato: così quando la sentenza è mandata a esecuzione dalla stessa amministrazione che è parte in causa, o quando un organo dello stato compie, per l'esecuzione d' una sentenza, un atto per cui esso solo è competente e in cui non può quindi essere sostituito dalla parte soccombente, per es. quando il conservatore delle ipoteche radia un'ipoteca dichiarata nulla.
L'attività giurisdizionale, nei due momenti dell'accertamento e dell'esecuzione della volontà di legge, non viene mai esercitata d'ufficio, ma deve essere promossa dagl'interessati: l'esercizio della giurisdizione può essere promosso oltre che dai privati, anche dallo stato, sempre rappresentato in questa funzione da un organo diverso dal giudice e precisamente dall'organo amministrativo, cui spetta perseguire in concreto quell'interesse dello stato leso per la violazione del diritto obiettivo.
Per giungere alla formazione degli atti giurisdizionali, che accertano e realizzano la volontà di legge, occorre che gli organi della giurisdizione compiano tutta un'altra serie di atti coordinati allo scopo di attuare il diritto obiettivo e che perciò hanno anch'essi carattere giurisdizionale.
Questi atti, nella prima fase di accertamento, tendono alla formazione del convincimento del giudice, con le reciproche garanzie per le parti, circa il diritto da attuare: nell'esecuzione mirano a preparare i provvedimenti che attuano il diritto, attraverso un procedimento destinato a garantire gl'interessi, non solo delle parti, ma anche dei varî creditori.
Di questi atti giurisdizionali preparatorî alcuni sono compiuti dal giudice, d'ufficio; altri, per iniziativa delle parti. La giurisdizione si divide in tre branche secondo il ramo del diritto che essa tende ad attuare. Oltre la giurisdizione penale, abbiamo quella civile e quella amministrativa: teoricamente la giurisdizione civile è quella che provvede per i rapporti di diritto privato e la giurisdizione amministrativa è quella che provvede per i rapporti in cui è parte l'amministrazione nell'adempimento della sua attività pubblica. Anche in linea teorica, oltre che per il diritto positivo italiano, l'attività privata della pubblica amministrazione è sottoposta alla giurisdizione civile, essendo disciplinata dal diritto civile. Praticamente, secondo le disposizioni del diritto italiano, anche una parte delle controversie relative all'attività pubblica dell'amministrazione è sottoposta agli organi della giurisdizione ordinaria che sono investiti in modo generale della competenza per tutte in genere le controversie civili e penali, che non siano a essi sottratte da disposizioni speciali. Questo gruppo di controversie viene fatto rientrare nella giurisdizione civile, mentre la giurisdizione amministrativa, secondo il diritto positivo italiano, è solamente quella che viene esercitata in materia amministrativa da organi che non fanno parte della giurisdizione ordinaria. La giurisdizione nei suoi varî rami (civile, penale e amministrativo) è sostanzialmente unica perché unico è lo scopo da attuare: il diritto obiettivo. Si hanno però differenze circa il modo con cui si svolge il processo, in relazione alla diversa natura degl'interessi che sono tutelati dal diritto. Nel processo civile, che serve a tutelare interessi privati, i poteri del giudice per raccogliere il materiale di cognizione e in genere per dirigere il processo, sono largamente subordinati alla volontà e all'iniziativa delle parti, che sono arbitre della tutela dei proprî interessi. Nel processo penale e amministrativo, in cui sono in gioco interessi pubblici diretti, i poteri del giudice, per raccogliere il materiale su cui formare il proprio convincimento e in genere per dirigere il processo, sono molto più vasti.
In conformità del principio di distinzione subiettiva delle funzioni, vi sono degli organi dello stato costituiti per esercitare la funzione giurisdizionale in modo ordinario e che formano quella gerarchia, separata e indipendente dalle altre branche di organizzazione dello stato, che si chiama ordine giudiziario (v. giudiziario, ordinamento). Il principio della distinzione subiettiva delle funzioni non ha però neppure in questo caso un'applicazione assoluta e quindi i funzionarî dell'ordine giudiziario esercitano anche funzioni di natura amministrativa. Fra queste sono molto notevoli quelle che si chiamano di giurisdizione volontaria.
Molte volte è disposto l'intervento di organi dello stato nella costituzione nello svolgimento e nell'estinzione dei rapporti fra i privati, sì che questi non possono conseguire lo scopo cui tendono, se non con la collaborazione di un organo dello stato. Ciò è disposto perché a questi rapporti privati è connesso un determinato interesse pubblico che lo stato vuole tutelare direttamente con l'azione di proprî organi. Tale interesse pubblico può configurarsi in vari modi: lo stato può intervenire semplicemente per dare certa e sicura documentazione pubblica a certi rapporti, oppure per accertare che i negozî giuridici privati non pregiudichino l'interesse pubblico (come nell'adozione, che ha effetto solo dopo il decreto della Corte d'appello che ha stabilito che l'adozione non pregiudica l'interesse della famiglia) o per tutelare gl'interessi di certi privati che si ritiene necessario e doveroso per lo stato proteggere con propria azione diretta (per es. nei provvedimenti per gl'interessi degl'incapaci).
Questi diversi atti d'intervento dello stato nei rapporti privati, quando sono compiuti da organi dell'ordine giudiziario, costituiscono la cosiddetta giurisdizione volontaria. Essa è essenzialmente diversa dalla giurisdizione vera e propria che in antitesi a quella volontaria si chiama anche contenziosa: in questa l'intervento dello stato mira a eliminare uno stato d'insoddisfazione degl'interessi delle parti, che si è prodotto perché è stato violato il diritto; nella giurisdizione volontaria l'intervento dello stato è predisposto dalla legge e necessario in ogni caso per lo svolgimento normale dei rapporti fra privati, affinché la loro volontà possa conseguire il risultato cui mira, nei limiti segnati dall'interesse pubblico, connesso a quella classe di rapporti privati.
Lo stato interviene in questo caso per soddisfare un suo interesse determinato e particolare, come avviene in genere nell'amministrazione nella quale infatti la cosiddetta giurisdizione volontaria rientra.
Questa branca di attività viene dunque chiamata giurisdizione, non per la sua intrinseca natura, ma per una ragione formale, perché è compiuta da organi giurisdizionali, cioè che normalmente esercitano la giurisdizione; essa viene detta poi volontaria (da inter volentes), perché lo stato collabora con i privati per conseguire lo scopo che consensualmente vogliono. Invece nella giurisdizione vera e propria (detta pure per questo riguardo contenziosa) lo stato interviene a risolvere un contrasto d'interessi, stabilendo quale di essi abbia diritto alla tutela giuridica.
Per la giurisdizione del lavoro, v. lavoro.
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Giurisdizione penale.
La giurisdizione penale è stata definita variamente, in ragione della nota che si è ritenuta più essenziale alla stessa; ma indubbiamente non è che una delle forme della giurisdizione in genere. Le ragioni determinanti l'origine e l'esercizio della giurisdizione penale non possono essere che la consumazione di un reato o l'avanzamento di altra pretesa d'indole penale.
Nel primo caso, invero, da una parte lo stato assume, in base al diritto e al dovere che ha di eliminare quanto turbi l'ordinamento giuridico, essere un suddito tenuto penalmente per l'opera delittuosa compiuta, come investente quell'ordinamento; dall'altra il colpevole oppone di non essere tenuto, o per non aver commesso infrazione penale, o per aver agito legalmente, ovvero di non esser tenuto che in una misura inferiore. Nel secondo caso, mentre lo stato esige, per la propria tutela, l'osservanza di certe norme penali, cioè l'attuazione del diritto penale obiettivo nella misura e nelle forme prescritte, nega l'altro, in tutto o in parte, l'obbligo a tale osservanza. E s'intuisce, allora, che a porre fine al contrasto fra le opposte pretese sulla punibilità o meno, o sulla maggiore o minore punibilità del reo nel caso concreto, come ancora sull'obbligo o non dell'osservanza processuale penale indicata, occorra un potere superiore, il quale, mercé organi determinati e forme stabilite, accerti e dichiari se sussista uno stato di cose per il quale s'imponga la necessità della condanna, cioè se sia stata violata la legge penale o il diritto obiettivo analogo, o se debba farsi luogo all'accoglimento o meno della pretesa opposta.
La giurisdizione penale, pertanto, si può definire come la potestà sovrana di stabilire in via imperativa, per mezzo di organi appositi, secondo le norme processuali penali, se, nel contrasto di opposte pretese, sia applicabile una determinata norma giuridica penale, e se possa eseguirsi la volontà contenuta nella stessa.
Ora cotesta attività, in quanto diretta a un fine determinato, che s'identifica poi nell'obietto, o, anche, nel contenuto della giurisdizione, secondo il Ranieri al fine di conoscere e accertare i fatti penali, di attuare la legge in ordine al fatto accertato e di rendere realizzabile una determinata pretesa punitiva, non può esplicarsi che con caratteri speciali, attraverso fasi diverse, per mezzo di organi determinati, mercé atti stabiliti, secondo principî inderogabili.
Caratteri. - I caratteri della giurisdizione penale sono: a) imperatività, in quanto le norme giuridiche, secondo le quali ha da procedere, esigano rispetto; b) legalità, in quanto sia vietato (articolo 70 dello statuto), di derogare, in difetto di analoga legge, all'organizzazione giudiziaria, sostituendosi, ad esempio, gli arbitri ai giudici ordinarî; c) indeclinabilità, in quanto non possa il giudice, tanto in via generale, quanto in via di delegazione, tranne che per atti istruttorî espressamente previsti, omettere l'esercizio del proprio ministero; né altri ad esso sottrarsi, eccettuati il re, e i senatori e i deputati per le opinioni manifestate e per i voti dati nelle camere; d) improrogabilità, in quanto non sia dato sostituire un giudice penale ad altro giudice, sottoponendo ad esempio un reato di competenza del giudice ordinario alla cognizione del giudice speciale, che mancherebbe di giurisdizione, dato che questa, quale attributo della sovranità conferito ai magistrati, non possa venire concessa che dal solo potere sovrano del capo dello stato.
Fasi. - La prima è quella dell'istruzione, in cui l'intervento dell'attività giurisdizionale viene provocato dallo stato per mezzo di un atto amministrativo (azione penale), che è la richiesta per l'accertamento della fondatezza o meno della pretesa punitiva e per l'attuazione della stessa; la seconda, quella del giudizio, in cui viene riconosciuto o negato il fondamento di tale pretesa; la terza, quella dell'esecuzione o della traduzione in atto della norma penale, dopo che fu esaurito il compito dell'attività giurisdizionale.
Organi. - Naturalmente, in ragione del momento in cui vanno compiuti i varî atti giurisdizionali, dell'entità e valutazione degli stessi, del luogo, in cui devono seguire, si hanno: a) giudici del periodo istruttorio (pretori, pubblico ministero, giudice istruttore, sezione di accusa, oggi, secondo il codice processuale penale 1930, sezione istruttoria); b) giudici del giudizio (pretori, tribunali, corti di assise, corti di appello); c) giudici dell'esecuzione. In Italia veramente, a differenza che altrove, pur se possa discettarsi al riguardo in civile, non si dubita che in penale rientri nell'attività amministrativa l'esecuzione, tranne per quanto attenga alla risoluzione degl'incidenti, demandata agli stessi giudici del giudizio.
Non potendo, poi, l'estensione o latitudine della podestà essere uguale in ciascuno di tali magistrati, segue di necessità la distinzione, in giurisdizione piena, che ricorre quando il magistrato (pretore, tribunale, corte di assise, corte di appello) sia fornito della podestà più assoluta di dichiarare l'esistenza o meno del reato, e, quindi, di condannare o di assolvere in seguito alla celebrazione del dibattimento, nel quale è dato valutare tutti i risultamenti processuali e le posizioni di accusa e di difesa; meno piena, quando il giudice (pretore, giudice istruttore, sezione di accusa) abbia la podestà di assolvere l'imputato o dichiarare inesistente il reato, ma non di condannare, e neppure di affermare la colpevolezza; e quasi giurisdizione, quando il giudice (istruttore, pretore) possa raccogliere prove ed emettere provvedimenti coercitivi, o anche deliberare sulla libertà dell'imputato, o dare disposizioni per l'esecuzione del giudicato, ma non decidere nel merito dell'accusa contro l'imputato predetto, né a favore dello stesso.
La cosiddetta giurisdizione complementare, poi, che provvede soltanto all'applicazione della legge e della sanzione penale, dopo stabilita la colpabilità del reo, e che dalla dottrina e dal codice italiano di diritto processuale 1889 era riconosciuta nel presidente delle assise per la determinazione della pena in coerenza del verdetto dei giurati, non è, evidentemente, che l'effetto dell'equivoco di considerare quali distinte podestà le manifestazioni di volontà dell'unico potere, che, esercitato dai giurati e dal presidente, non fa che emettere decisione unica, per quanto con atto complesso. Oggi in Italia il presidente e il consigliere giudicano insieme con i cinque assessori in fatto e in diritto, motivando la sentenza.
Possono, ancora, distinguersi i giudici sia per l'indole, sia per il grado. Per l'una, si dicono ordinarî o comuni (per l'ordinamento processuale positivo italiano, i pretori, i tribunali, le corti di assise, la corte di cassazione, i giudici coloniali), quando abbiano tanto di giurisdizione loro propria, che essa, per la generalità delle persone che vi sono soggette e dei reati che si devono giudicare, si presenti come giurisdizione generale; speciali, se istituiti per determinate persone e per certi ordini di fatti o reati (il Senato costituito in alta corte di giustizia, i tribunali militari per l'esercito e la marina, le giurisdizioni penali mercantili marittime, i consoli e i tribunali consolari, i giudici per sudditi coloniali o assimilati, i tribunali marziali, istituiti con l'art. 7 della legge 25 novembre 1926, n. 2008, per i gravi delitti contro la sicurezza dello stato, i tribunali per i minorenni, gl'intendenti di Finanza per determinate materie durante la guerra); e, finalmente, straordinari o eccezionali, quando, come dallo stesso appellativo si desume, vengano creati per casi affatto singolari (tribunali istituiti in occasione di gravi perturbamenti dell'ordine pubblico, con la proclamazione del cosiddetto stato d'assedio o di guerra intestina).
Non è più lecito sollevare, come un tempo, questioni sulla legittimità di questi ultimi giudici, che per essere quasi sempre istituiti con decreti legge, si sosteneva costituissero la più grave violazione del diritto pubblico interno italiano e un vero eccesso di potere del governo, e fossero perciò del tutto incostituzionali e contrastassero col precetto dell'art. 71 dello statuto, che vieta la sottrazione di ogni cittadino ai suoi giudici naturali, e la creazione di tribunali o commissioni straordinarie: l'art. 3, n. 2, della legge 21 gennaio 1926, n. 100, per l'emanazione delle norme giuridiche, e l'art. 219 del r. decreto 6 novembre successivo, n. 1848, sulla riforma della legge di pubblica sicurezza, hanno riconosciuto siffatta legittimità, come del resto avevano fatto anche prima dottrina e giurisprudenza in vista dell'urgenza con la quale agiva il governo, la quale in quanto politica sfuggiva al sindacato del giudice. Per il grado, che implica possibilità di un nuovo esame da parte del magistrato superiore, si hanno giudici di 1ª e 2ª istanza, e giudici di Cassazione.
Appartengono, per l'ordinamento processuale italiano, alla 1ª istanza i pretori e i tribunali; alla 2ª, i tribunali, quando tolgano a rivalutare le pronunzie dei pretori, nonché le corti di appello; e, nel periodo dell'istruzione, l'istruttore nei riguardi delle pronunzie dei pretori, e la sezione istruttoria nei riguardi di quelle del giudice istruttore; al terzo grado, finalmente, la Cassazione, dal Lucchini detta giurisdizione regolatrice, in quanto controllante e regolante l'applicazione della legge da parte degli altri magistrati.
Si è disputato a lungo, e si disputa tuttora sull'opportunità di un duplice o triplice grado di giurisdizione. Ma non si è saputo, tranne nel caso di difetto d'interesse, o d'interesse minimo, o d'impossibilità di riesame, rinunziare, anche per tradizione, a codesto bisogno naturale dell'uomo di sottoporre ad altro giudice la valutazione di una decisione, che non sia riuscita di suo gradimento.
È agevole intanto rilevare che, pur data l'unità e identità della giurisdizione, non possa la stessa venire esercitata sempre dai medesimi organi, per non essere, ad esempio, un solo pretore, un solo tribunale, una sola corte di appello in grado di compiere in tutto il territorio dello stato tutti gli atti a quella inerenti: epperò la necessità e l'opportunità insieme di moltiplicare ogni categoria di tali giudici, e distribuire gli stessi, ciascuno fornito di uguali attributi, in tante sfere territoriali. Giurisdizione, quindi, per mandamenti, per circondarî, per circoli, per distretti, rispettivamente assegnata a pretori, a tribunali, a corti di assise, a corti di appello.
Atti. - Non tutti possono dirsi giurisdizionali; né vi è accordo su un'esatta definizione degli stessi. Tuttavia, senza tener dietro alla varie opinioni manifestate in proposito, sembra che, non potendo non aversi riguardo al fine, per il quale vengono essi compiuti, al contenuto degli stessi e all'organo, a un tempo, onde promanino, debbano dirsi tali gli atti del giudice penale, compiuti sia per accertare o definire un conflitto d'interessi o diritti soggettivi, in conformità della volontà contenuta nelle disposizioni del diritto penale obiettivo, sia per preparare e regolare l'esecuzione della questione sottoposta al giudice penale; in altri termini, gli atti del giudice penale che, attuando il diritto obiettivo, o realizzino le sanzioni imposte dal diritto medesimo o riconoscano i diritti del reo.
Conseguentemente: a) atti d'istruzione; b) di coercizione per fini processuali e non di polizia (mandati di cattura, di comparizione, di accompagnamento, ecc.); c) atti del dibattimento diretti ad approntare gli elementi della convinzione; d) decisioni.
Principî. - I principî cui deve informarsi la giurisdizione penale di qualsiasi specie, possono, in sintesi, ritenersi i seguenti: a) Nulla poena sine lege, nel senso che il giudice penale non possa emettere condanna se non per un fatto, già contemplato come reato dalla legge penale, per la quale osservanza attinente all'esatto esercizio del potere di decisione, è istituita la Cassazione; b) Nulla poena sine iudicio, che è quanto dire, non esser dato applicare pena di sorta, se non in seguito a dibattimento e previa dichiarazione giudiziale di colpevolezza. Sola e vera eccezione a codesto principio, la condanna per decreto, che viene emessa dal pretore senza la celebrazione del dibattimento, e senza neppure la citazione degl'imputati, e non l'oblazione volontaria, non potendo - come bene avvisa il Massari (pp. 49-50) - ritenersi l'accertamento delle condizioni di accettabilità dell'oblazione predetta, un giudizio, sia pure svolgentesi dinanzi a organi amministrativi di giurisdizione speciale, né l'atto di accettazione equipararsi a sentenza emessa da giurisdizione speciale, se occorre sempre la dichiarazione di estinzione dell'azione penale da parte del pretore; c) Ne procedat iudex ex officio, che è quanto dire non poter il giudice, tranne in casi determinati, esercitare la sua podestà, senza che sia questa provocata dal titolare dell'azione penale, che, generalmente, è il pubblico ministero; d) Nec extra, nec supra; in altri termini, esistono limiti di competenza per ragioni di territorio o per ragioni di materia e di persona, per i quali a nessun magistrato è dato di agire fuori dell'ambito della propria giurisdizione. Ove, pertanto, un giudice speciale o eccezionale conosca di reati, rientranti nella podestà del giudice ordinario, converrà ritenere che egli difetti di giurisdizione; tranne se si tratti di delitti di alto tradimento e di attentati alla sicurezza dello stato, che, pur demandati per l'art. 36 dello statuto alla cognizione del Senato costituito in alta corte di giustizia (giudice speciale), ben possono venir giudicati per virtù dell'art. 29 del cod. di proc. pen., anche dalla corte di assise (giudice ordinario) sin quando il Senato predetto non si sia costituito, previo analogo decreto del re, in alta corte di giustizia per giudicare persone non aventi qualità di senatori o di ministri, né intervenuti con gli stessi nei reati mentovati; e) Libero convincimento del giudice, nel senso che possa costui, per la prova dei fatti a lui sottoposti o demandati, ordinare e compiere di propria iniziativa le indagini occorrenti, attingendo a qualunque fonte, e tenendo conto di qualunque ragione, con le sole limitazioni stabilite dagli articoli 201 e 372 cod. di proc. pen., e non, come nel processo civile in cui vige il principio dispositivo, delle sole prove prodotte, generalmente fornite dalle parti, e cioè, iuxta alligata et probata, valutando inoltre a piacer suo i risultati ottenuti, indipendentemente da qualsiasi criterio di prove privilegiate, di presunzioni, di finzioni; f) Motivazione della sentenza, cioè obbligo del giudice, che attiene all'accertamento della verità reale, nello stesso tempo che costituisce una delle guarentigie della difesa dell'imputato, di esporre, giusta il precetto dell'art. 474, n. 4, cod. di proc. pen., le ragioni della propria pronunzia. Il verdetto dei giurati, quale si aveva con la procedura del cod. 1889, come racchiudente un'affermazione o una negazione, in base a soli monosillabi, era esente da motivazione; mentre la sentenza pronunziata dal presidente in seguito al verdetto, era motivata.
Conflitti di giurisdizione. - Possono più magistrature contemporaneamente prendere o ricusare di prendere conoscenza del medesimo reato; e sorge allora un conflitto, detto di giurisdizione, se ha luogo tra magistrati ordinarî e magistrati speciali (art. 51, n. 1, cod. proc. pen.) e di competenza (per materia o per territorio), se tra soli magistrati ordinarî (n. 2 dello stesso articolo), e che non ha nulla da vedere coi conflitti di attribuzione, di cui è parola nella legge 31 marzo 1877, n. 3761.
Il conflitto, che può seguire in qualunque stato e grado del procedimento e in ogni caso analogo, è positivo, se più magistrati intendano conoscere di un reato; negativo, se ne declinino la conoscenza: comunque, non può nascere tra il pubblico ministero e il giudice, come ancora tra il giudice dell'istruzione e quello del dibattimento della stessa autorità.
A dirimere tale conflitto, che non può sorgere se non quando esistano due procedimenti a un tempo, è chiamata la Corte di cassazione (art. 51 e 54 cod. di proc. pen.); mentre può esso cessare in seguito al provvedimento di uno dei giudici, che dichiari, secondo i casi, la propria competenza o incompetenza (art. 52).
Bibl.: G. Amellino, Giurisdizione, in Digesto italiano; G. D'Agostino, L'unità fondamentale del processo civile e penale, Nicastro 1928; R. De Rubeis, Giurisdizioni penali, in Enciclopedia di dir. pen. di E. Pessina, Milano; A. Fabiani, Giurisdizione e competenza, Catanzaro 1922; Mirto, Giurisdizione penale, in Rivista penale, LXXIX (1914); Pasini, Giurisdizione, in Enciclopedia giuridica italiana; E. Piola-Caselli, Giurisdizione penale, in Digesto italiano; S. Ranieri, La giurisdizione penale, Milano 1930; D. Rende, Giurisdizione penale e suoi organi, in Commentario del Garofalo, Berenini, ecc., I, Milano 1913-1915; Segré, De' rapporti fra le giurisdizioni penale e civile, nel Completo trattato di dir. pen. del Cogliolo, II, iv, Milano.
Per la giurisdizione penale militare v. tribunale: Tribunali militari.
Giurisdizioni speciali amministrative.
La funzione giurisdizionale dovrebb'essere del tutto esercitata da organi distinti da quelli che esercitano le altre due funzioni fondamentali dello stato: la legislativa e l'esecutiva. L'unità della giurisdizione non è tuttavia rigorosamente attuata, talvolta per riguardo alle parti in causa, talaltra per riguardo alla natura delle controversie, le quali richiedono, nei giudici, attitudini particolari e speciale competenza. Funzioni giurisdizionali sono, così, esercitate da organi del potere legislativo e del potere esecutivo. Assumono l'attributo di speciali, in contrapposto alla giurisdiżione comune o ordinaria, che è esercitata dall'autorità giudiziaria.
Può aversi specialità di giurisdizione per il giudiee, per le parti, per la natura delle controversie, per il procedimento. Il diritto positivo italiano ha giurisdizioni speciali soltanto nei riguardi del giudice (art. 12 legge 20 marzo 1865, all. E, sul contenzioso amministrativo; art. 3, n. 3, legge 21 marzo 1877 sui conflitti di attribuzione). Giurisdizioni ordinarie sono i tribunali civili e penali. Tutte le altre sono speciali, comprese le giurisdizioni amministrative, e, prime fra queste, le sezioni giurisdizionali del Consiglio di stato, nonostante la larga competenza di cui sono investite (v. giustizia: Giustizia amministrativa). I caratteri delle giurisdizioni speciali amministrative possono così riassumersi: a) i giudici non fanno parte dell'ordine giudiziario, ma della gerarchia amministrativa; sono, cioè, autorità amministrative; b) l'amministrazione pubblica o è parte in causa o deve essere interessata nella controversia in tal grado da poter assumere la qualità di contendente; c) non ha importanza l'indole speciale della controversia, ma è necessario solo che vi sia una controversia giuridica: la controversia, cioè, deve essere risolta mediante una norma che abbia carattere obbligatorio, e per obietto la difesa di diritti pubblici subiettivi; d) l'atto che pone fine alla controversia deve avere il carattere e l'efficacia di una sentenza. Ciò distingue la funzione giurisdizionale dai meri controlli e dai poteri di polizia, i quali pur possono dar luogo all'applicazione di norme giuridiche e incidere in diritti subiettivi, ma non mettono mai capo a una sentenza. Le giurisdizioni speciali amministrative possono classificarsi con varî criterî. L'elemento del giudice offre la distinzione delle giurisdizioni puramente amministrative dalle giurisdizioni miste. Le prime sono esercitate esclusivamente da funzionarî dell'amministrazione attiva; le altre da funzionarî e magistrati dell'ordine giudiziario (tribunali misti). Avuto riguardo alle parti, si distinguono giurisdizioni unilaterali, se la parte in causa sia una sola o anche più, ma per sostenere interessi comuni, e bilaterali se le parti siano più di una, e per sostenere interessi contrastanti. Quando la parte sia una sola, si ha la cosiddetta contumacia istituzionale della pubblica amministrazione e il contraddittorio si stabilisce, o, direttamente, per mezzo del pubblico ministero, o, indirettamente, ammettendo una delle parti a svolgere a voce o per scritto le proprie ragioni. Ratione materiae, infine, le giurisdizioni si distinguono, secondo la nota classificazione di S. Romano, in: a) piena o limitate: nelle piene, la competenza è esclusiva della giurisdizione amministrativa; nelle limitate appartiene anche ad altre giurisdizioni, in modo che il giudice amministrativo conosce solo di un lato del rapporto giuridico controverso, mentre degli altri lati conoscono altri giudici; b) di legittimità e di merito: nelle giurisdizioni di legittimità viene esaminata soltanto la conformità dell'atto alle norme giuridiche che debbono regolarlo: nelle giurisdizioni di merito il giudice la più in là, e, oltre che la legalità, esamina la convenienza e l'opportunità dell'atto; c) inquisitorie e repressive: le prime mirano a indagare se un'accusa possa essere formulata, come nel caso d'ingerenza indebita di amministratori di enti pubblici nel maneggio di danaro; e, nell'affermativa, si mutano in repressive; a loro volta, queste o traggono origine dalle inquisitorie, o sono autonome: hanno per lo più carattere penale, eccezionalmente carattere disciplinare; d) originarie e supplementari: le originarie dànno luogo, fin da principio, a un procedimento giurisdizionale: le supplementari non possono essere eccitate che dopo esperiti altri rimedî non giurisdizionali, come p. es. nel caso del ricorso al Consiglio di stato, che non è ammesso se non dopo esaurita la via gerarchica È da rilevare che alcune controversie sono devolute alla giurisdizione amministrativa in uno o più gradi; alla giurisdizione ordinaria nei gradi successivi, p. es. le controversie in materia d'imposte, che sono sottratte alla competenza dell'autorità giudiziaria fino alla pubblicazione dei ruoli.
La classificazione testé fatta offre, in parte, la chiave per rilevare i rapporti fra le varie giurisdizioni speciali e l'autorità giudiziaria.
Il rapporto fra le varie giurisdizioni può essere di alternazione, di separazione e di subordinazione. È di alternazione, quando per una stessa controversia si può adire l'una o l'altra giurisdizione ad libitum della parte. Scelta, però, una giurisdizione, rimane esclusa la possibilità di adire l'altra: electa una via non datur recursus ad alteram. Ad es.: prodotto ricorso al re in via straordinaria (funzione, questa, che, secondo una prevalente dottrina, ha carattere giurisdizionale), non si può ricorrere al Consiglio di stato in sede giurisdizionale (art. 34 t. u. 26 giugno 1924, n. 1054). Il rapporto è di separazione quando una giurisdizione ha competenza esclusiva e integrale su determinate controversie, come p. es.: il Consiglio di stato in materia di rapporti di pubblico impiego, di spedalità e di ricovero d'inabili al lavoro, ecc. (art. 29 t. u. cit.). Il rapporto è, infine, di subordinazione quando, per talune controversie, è prima competente la giurisdizione speciale, poi, negli ulteriori gradi, la giurisdizione ordinaria. Così, p. es. i ricorsi in materia elettorale sono decisi, in primo grado, dalla Commissione elettorale provinciale, e, in secondo grado, dalla Corte di appello (articoli 26 e 36 t. u. 2 settembre 1928, n. 1993). Per un solo aspetto, le giurisdizioni speciali si trovano in rapporto di subordinazione con la giurisdizione ordinaria, in quanto, cioè, sono tutte soggette al sindacato regolatore delle competenze della Corte di cassazione a sezioni unite, a norma dell'art. 3. n. 3 della legge 31 marzo 1877, n. 3761. Con gl'istituti dell'eccezione di incompetenza e del conflitto reale, positivo e negativo, si provvede ad assicurare che ogni giudice si mantenga nei limiti della propria competenza.
Circa la competenza delle giurisdizioni speciali si è già visto che, talvolta, queste non si limitano a decidere le questioni controverse con il criterio strettamente giuridico, ma spesso giudicano anche col criterio discrezionale dell'opportunità. Esse, inoltre, possono essere anche investite di un potere di annullamento, modificazione e sostituzione degli atti amministrativi impugnati.
Per quanto riguarda il procedimento, ove le leggi speciali non dispongano diversamente, si applicano i principî del diritto giudiziario comune, in quanto compatibili con l'indole delle controversie. Il ricorso è, per lo più, sottoposto a termini perentorî e brevi. Vi è l'obbligo di notificarlo all'autorità da cui emana il provvedimento impugnato, e a coloro che sono direttamente interessati a opporsi al ricorso. Questo non ha, normalmente, effetto sospensivo, ma la sospensione dell'esecuzione può essere disposta dal giudice su istanza della parte. La pubblica amministrazione e le altre parti possono essere ammesse a svolgere oralmente o per scritto le proprie ragioni. Il giudice può ordinare alle parti di produrre documenti, fornire chiarimenti, e spesso ha anche il potere di disporre interrogatori, perizie, prove testimoniali e ogni più ampio mezzo istruttorio. Il giudizio ha termine con la rinuncia espressa o tacita e con la decisione, che ha i caratteri e l'efficacia di una sentenza, e che è per lo più eseguita in via amministrativa.
Le giurisdizioni speciali amministrative possono distinguersi in: I. Giurisdizione degli organi di giustizia amministrativa (v.); 2. Giurisdizione contabile, in materia di conti, cioè, di responsabilità di funzionarî aventi di diritto o di fatto la gestione del pubblico denaro. In alcunì casi si estende ai funzionarî ordinatorì di spese (es. art. 4 r. decr. legge 23 ottobre 1925, n. 2289). È esercitata dal Consiglio di prefettura in prima istanza, per i conti dei comuni, delle provincie (r. decr. legge cit.) e delle istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza (r. decr. legge 20 febbraio 1927, n. 257); dalla Corte dei conti in seconda istanza (r. decr. legge cit.), e dalla stessa Corte in prima e unica istanza per i contabili dello stato (art. 34 legge 14 agosto 1862, n. 800); 3. Giurisdizione per le pensioni. Appartiene alla Corte dei conti, a sezioni unite, per le pensioni degl'impiegati governativi (legge cit. art. 11 e 42), compresi quelli delle Ferrovie dello stato (testo unico 27 gennaio 1909, n. 229, e successive modificazioni); degli ufficiali giudiziarî, degl'impiegati degli archivî notarili (testo unico cit.); degl'insegnanti elementari (r. decr. legge 13 agosto 1926, n. 1500); dei medici condotti (legge 14 aprile 1927, n. 604); degl'impiegati e salariati degli enti locali (r. decr. legge 15 aprile 1926, n. 679). Per le pensioni di guerra è istituita, in via transitoria, presso la Corte una sezione speciale (r. decr. legge 16 dicembre 1929, n. 2169); 4. Giurisdizione tributaria: a) Per le imposte dirette. Commissioni censuarie comunali e provinciali e una commissione centrale decidono i ricorsi dei proprietarî contro i risultati del catasto (legge 1 marzo 1886, n. 3682 e successive modificazioni). Le prime vengono nominate in ciascun comune o in ciascuna provincia quando s'inizia il catasto e vengono sciolte quando le operazioni catastali sono finite. La Commissione centrale è invece permanente. Per le controversie relative ai redditi di ricchezza mobile, vi sono commissioni amministrative di tre gradi, cioè di prima istanza (comunali), di seconda istanza (provinciali), di terza istanza (centrale). Tranne qualche differenza di composizione, funzionano anche per le altre imposte dirette. b) Per le imposte indirette, la giurisdizione è, per lo più, esercitata da ufficiali fiscali di grado superiore a quello contro cui si ricorre (intendente di finanza o ministro). Per i tributi comunali funziona una commissione locale, dalle cui decisioni si può ricorrere alla Giunta provinciale amministrativa. Altre giurisdizioni esistono per alcuni tributi speciali, fra cui, importantissima, quella per le controversie in materie di contributi obbligatorî a carico dei datori di lavoro, lavoratori, artisti e professionisti (legge 3 aprile 1926, n. 563, art. 5; regolamento 1 luglio 1926, n. 1130, art. 25 ecc.); 5. Giurisdizione forestale, sopra i vincoli alla proprietà privata per scopi idrologici e per scopi speciali, quali la difesa dei terreni e dei fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento dei sassi, dalla furia del vento ecc. (r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3267). Già esercitata dai comitati provinciali forestali, appartiene ora a una commissione costituita in seno alla prima sezione dei consigli provinciali dell'economia (art. 15 legge 18 aprile 1926, n. 731), dalle cui decisioni è dato ricorso al Consiglio di stato; 6. Giurisdizione sulla leva, esercitata dalle commissioni mobili e dai consigli di leva, salvo ricorso al Ministero della guerra per tutte le questioni (esenzioni, diritto alla ferma minima, ecc.), che, a termine dell'art. 20 della legge sul reclutamento del R. Esercito (testo unico 5 agosto 1927, n. 1437), non siano di competenza dell'autorità giudiziaria; 7. Giurisdizione per gli usi civici, per la soluzione di tutte le controversie circa l'esistenza, la natura e l'estensione degli usi civici, comprese quelle per cui sia contestata la natura demaniale del suolo. È esercitata da commissarî regionali, con procedimento del tutto semplificato che prescinde dall'osservanza delle forme della procedura ordinaria (art. 31 legge 16 giugno 1927, n. 1766). Contro le decisioni dei commissarî, è ammesso ricorso alla Corte di appello (art. 32). Nelle provincie meridionali i commissarî regionali hanno sostituito, in queste particolari attribuzioni, i prefetti e i commissari ripartitori, e, nelle altre provincie, le giunte d'arbitri (art. 34). Numerose altre giurisdizioni esistono per la risoluzione delle controversie del lavoro; per quelle relative alle requisizioni e alle espropriazioni, nonché alla proroga, modificazione, risoluzione di rapporti giuridici per cause di pubblico interesse; per l'emigrazione, per l'esercizio di diritti corporativi, ecc. Non tutte hanno, com'è ovvio, carattere amministrativo.
Bibl.: L. Caliendo, Disposizioni in materia di giurisdizioni speciali, Roma 1929; F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano 1910; L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, 5ª ed., I, Milano s. a.; S. Romano, Le giurisdizioni speciali amministrative, in Trattato di V. E. Orlando, III, Milano 1901.
Giurisdizione ecclesiastica.
Il concetto di giurisdizione nel diritto canonico in senso ampio comprende la somma dei poteri di governo di cui è investita la Chiesa per il pubblico reggimento dei fedeli, in ordine al conseguimento della salvazione eterna, e cioè quelli di dettare norme, di ammaestrare, di giudicare e di punire, di amministrare e controllare l'amministrazione degl'inferiori ecclesiastici. La giurisdizione si distingue in fori esterni e fori interni, a seconda che abbia carattere pubblico o privato; la iurisdictio fori interni a sua volta può essere poenitentialis o extrapoenitentialis a seconda che si eserciti o meno nel sacramento della penitenza. La giurisdizione può essere ordinaria e delegata. È ordinaria quando è congiunta di diritto a un determinato ufficio, e si dice propria quando chi la esercita ne è investito per ragione del proprio ufficio e in nome proprio (per es. il vescovo residenziale); vicaria, quando pur essendo congiunta a un ufficio sia esercitata invece e in nome di altra persona (per es. i vicari generali, capitolari, ecc.). È delegata o straordinaria la giurisdizione che non si esercita iure proprio, per ragione di ufficio o di dignità, ma solo per una peculiare commissione da parte di chi abbia giurisdizione ordinaria.
La dottrina canonistica ha dato ampio sviluppo all'elaborazione della teoria relativa all'esercizio e alla delegazione della giurisdizione, su cui il codice ha dettato ora norme esplicite (canoni 196 a 210, ecc., passim).
Per le delimitazioni territoriali, v. circoscrizione, X, p. 415 seg.
Considerando ora il concetto di giurisdizione in senso più stretto e cioè come attività della Chiesa nell'esercizio della potestà giudiziaria, va notato come la Chiesa stessa rivendichi alla propria esclusiva competenza, di conoscere: 1. delle cause che concernono le cose spirituali o annesse a cose spirituali; 2. delle violazioni delle leggi ecclesiastiche, e della determinazione del carattere peccaminoso di un atto in relazione all'applicazione di pene ecclesiastiche; 3. di tutte le cause contenziose o criminali concernenti persone che godono del privilegio del foro a nomia del diritto canonico (Cod. iur. can., c. 1553, §1). Nelle cause dette di foro misto, cioè di competenza comune della Chiesa e dello Stato, si segue il criterio della prevenzione, e cioè vengono decise dalla prima autorità che ne è stata investita (can. 1553 § 2)
Il diritto canonico distingue due specie di giudizî: quello contenzioso che ha per oggetto i diritti delle persone fisiche o morali o la dichiarazione dei fatti giuridici che le concernono, e quello criminale che ha per oggetto i delitti in relazione alla pena da infliggere o dichiarare (can. 1552). Le norme del diritto processuale sono però in gran parte le medesime per i due giudizî, e gli organi giurisdizionali hanno al tempo stesso competenza civile e penale.
I gradi di giurisdizione (sotto la riserva che le parti possono sempre deferire ogni causa al pontefice), sono i seguenti: 1. Tribunale ordinario di prima istanza, stabilito in ogni diocesi per giudicare tutte le cause non espressamente eccettuate dal diritto. Esso si compone di un ufficiale e di giudici sinodali, di un istruttore (auditor), di un relatore (ponens, relator), di un notaro: di un promotore di giustizia e di un difensore del vincolo. Il vescovo può riservarsi le cause deferite al proprio tribunale, quando non lo concernono, ma deve sempre eleggere un ufficiale (v. curia, XII p. 100 seg.). 2. Tribunale ordinario di seconda istanza. È costituito, analogamente a quello di prima istanza, presso il metropolita (v. circoscrizione), e giudica in appello dalle sentenze dei tribunali delle diocesi suffraganee. Per le sentenze emesse in primo grado dal tribunale metropolitano giudica in appello il tribunale di una diocesi designata una volta per tutte dal metropolitano, con l'approvazione della Santa Sede. 3. Tribunali ordinarî della Santa Sede. Essi sono: la Rota romana, la segnatura apostolica e il Sant'Officio.
La Rota romana è il tribunale ordinario della S. Sede; è costituito collegialmente, con un certo numero di uditori. Essa giudica in primo grado le cause civili in cui siano convenuti vescovi residenziali o mense vescovili, e tutte quelle che il papa abbia avocato a sé. Da questi giudizî si dà appello ed eventualmente giudizio in terza istanza, alla stessa Rota con turni costituiti da uditori diversi. Giudica in seconda istanza delle cause decise dai tribunali diocesani e devolute immediatamente dopo il primo grado al pontefice invece che al metropolita, e in terza istanza da quelle decise in appello dai tribunali metropolitani.
La Segnatura Apostolica è il supremo tribunale pontificio. È costituita di cardinali; giudica dei conflitti di competenza sorti fra i tribunali inferiori, delle querele di nullità contro le sentenze della Rota, delle richieste di restitutio in integrum contro le sentenze della Rota passate in giudicato, delle cause di violazione di segreto e di danni causati da uditori di Rota, e dell'eccezione di sospetto contro di essi. La Congregazione del S. Officio è il tribunale competente per i delitti di eresia.
A queste giurisdizioni esistenti presso la S. Sede, vanno aggiunte la Penitenzieria Apostolica, costituente il tribunale supremo della Chiesa per il foro interno (concessioni di assoluzioni, dispense, ecc.), e la Congregazione dei Sacramenti, competente fra altro per le procedure di dispensa dal matrimonio rato e non consumato.
Negli ordinamenti positivi degli Stati il riconoscimento agli effetti civili del potere giurisdizionale della Chiesa è stato nel corso dei secoli e nei singoli paesi variamente attuato, o negato, in relazione coi sistemi di rapporti fra Chiesa e Stato (v. chiesa: Chiesa e Stato).
In Italia, con gli Accordi lateranensi si è attribuita piena efficacia, anche per gli effetti civili, alle sentenze e ai provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche e ufficialmente comunicati alle autorità civili circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari (Trattato, art. 23 cap.; cfr. Concordato, art. 5 e 29 lett. i). Inoltre sono state devolute alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici le cause relative alla nullità del matrimonio (Concordato, art. 34; legge 27 maggio 1929, n. 847) V. matrimonio.
Bibl.: J. B. Sägmüller, Lehrbuch des kath. Kirchenrechts, II, 3ª ed., Friburgo in B. 1914, p. 311 segg.; F. Maroto, Instit. iuris canonici, I, Madrid 1918, p. 534 segg.; F. Roberti, De processibus, I, Roma 1926; A. De Meester, Iuris Canonici et Iuris can.-civilis compend., III, ii, Bruges 1928.