GIURECONSULTO (lat. iuris- o iure-consultus)
Si suole designare con questo nome colui che, possedendo vasta e profonda conoscenza dei principî generali del diritto e compiuta notizia delle disposizioni positive in una o più branche delle discipline giuridiche, ne faccia insegnamento o le divulghi mediante pubblicazioni o dia consulti e decisioni, contribuendo in tal modo al progresso delle discipline medesime.
In Roma i giureconsulti avevano una considerevole posizione sociale e politica, a causa soprattutto della loro grande influenza sullo svolgimento del diritto. È noto che le Dodici Tavole recavano un insieme di norme, adatte a un popolo agreste e di modeste condizioni sociali. Quando Roma divenne uno dei centri di maggiore civiltà, quelle leggi, pur restando la base del diritto pubblico e privato, si svolsero in armonia dei nuovi bisogni e si dovettero adattare alle più varie e complesse relazioni d'affari e ai più delicati rapporti giuridici. Questa evoluzione fu in buona parte merito dei giureconsulti. Essi vi concorsero dapprima soltanto in forza della loro autorità. Il loro ufficio consisteva nel respondere, agere e cavere. Il respondere consisteva nel dare ai privati una risposta sui quesiti che essi sottoponevano al giureconsulto; l'agere consisteva nel suggerire i principî del diritto e le decisioni delle controversie ai difensori delle parti e nel coadiuvarli personalmente durante la difesa. Fu perciò detto la scienza delle formalità. Talvolta, però, l'agere era inteso nella prestazione di aiuti e suggerimenti ai magistrati nell'amministrazione della giustizia. Il cavere consisteva nel consigliare le clausole dei contratti e le cautele atte ad assicurare i diritti che ne derivavano, e a prevenire le controversie che ne potessero sorgere. Più tardi i giureconsulti svolsero un'attività propriamente scientifica, e dal respondere, a cui assistevano giovani auditores, trasse origine l'insegnamento. Così alla più antica attività del giureconsulto si aggiunge da un lato lo scribere, dall'altro l'instruere. I magistrati avevano in gran conto l'opinione dei giureconsulti e si venne così formando il diritto che Pomponio chiama ius compositum a prudentibus. Anche accadeva spesso che i pretori fossero scelti fra i giureconsulti. Allora l'opinione dei giureconsulti si trasformava in editto. Ma all'epoca dell'impero non mancarono riconoscimenti ufficiali. Augusto rese pubblico l'ufficio del giureconsulto; ma questi non poteva rispondere ai privati se non autorizzato da lui. Da allora, i responsa prudentium acquistarono maggiore importanza; ma sembra inesatto che avessero valore di legge. In sostanza, Augusto mirò principalmente a sottoporre al suo potere anche l'ordine dei giureconsulti (Dig., I, 2, De origine iuris, 2, 47). La frase delle Institutiones (I, 2. De iure naturali, etc., 8): ut iudici recedere a responso eorum non liceat, ut est constitutum, sembra riferirsi alla costituzione di Teodosio il giovine, che attribuì forza di legge alle dottrine di Papiniano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino, sempre quando fossero concordi; ché, in caso di disaccordo, doveva prevalere la maggioranza delle opinioni e, in caso di parità, quella di Papiniano. Da questo momento l'opinione dei giureconsulti comincia a essere veramente fonte di diritto. A questa comune coscienza si deve il concetto fondamentale della codificazione giustinianea. Giustiniano trasse dalle opere dei giureconsulti il troppo e il vano e compose il loro pensiero sopra un disegno preordinato, press'a poco eguale a quello dell'Editto Perpetuo. In tal modo al Digesto fu dato l'aspetto di codice. I compilatori conservarono, con savio pensiero, avanti ciascun frammento, l'indicazione dell'opera dalla quale era stato tratto (inscriptio), e redassero un indice delle dette opere da preporsi al Digesto, che ci è stato tramandato col manoscritto fiorentino (index florentinus). Ma anche qui il vigore di legge alle opinioni dei giureconsulti fu dato dalla volontà imperiale (Const. Summa rei publicae).
Di quelle opere a noi sono restati solo frammenti più o meno importanti, eccettuate le Institutiones di Gaio, opera organica. Abbiamo notizie biografiche di molti fra i giureconsulti, sebbene non tutte sicure. Esse si devono ricercare nelle voci relative a ogni giureconsulto. Si dica altrettanto delle varie scuole dei giureconsulti (Proctuliani e Sabiniani).
I giureconsulti conservarono un grande prestigio anche dopo la caduta di Roma, prestigio ravvivatosi anche più nel Medioevo, quando il loro parere fu chiesto nelle contese con l'Impero. Ma il loro parere ebbe sempre valore consultivo (v. le voci consilia; consulenti). Fino ai primi anni del secolo scorso varî ordinamenti giudiziarî autorizzavano i magistrati, nei casi di maggiore importanza, a sospendere la decisione della lite e chiedere l'avviso di giureconsulti per essere illuminati o guidati nel loro ufficio. Ora, questo compito dei giureconsulti è cessato. Essi debbono tutta la loro autorità alla reputazione che sanno guadagnarsi con la probità e la dottrina.
Bibl.: F. Bremer, Die Rechtslehrer und Rechtsschulen in der röm. Kaiserzeit, Berlino 1868; J. Roby, Vita ed opere dei giuristi romani, trad. di G. Pacchioni, Firenze 1887; C. Ferrini, Les scuole di dir. in Roma antica, Modena 1891; P. Rossi, L'istr. pubbl. nell'antica Roma, Siena 1892; G. Baviera, Le due scuole dei giureconsulti romani, Firenze 1898; H. Fitting, Alter u. Folge der Schriften der röm. Juristen von Hadrian bis Alexander, Halle 1908; P. Krueger, Geschichte der Quellen u. Litt. des röm. Rechts, Monaco e Lipsia 1912; F. Kipp, Gesch. der Quellen des röm. Rechts, Lipsia e Erlangen 1919; F. De Visscher, Le Digeste: couronnement de la politique des Empereurs vis-à-vis des Prudents, in Conf. per il XIV Cent. delle Pandette, Milano 1931. Sulla lingua e sullo stile dei giureconsulti romani cfr. soprattutto W. Kalb, Das Iuristenlatein, Norimberga 1888; id., Roms Juristen nach ihrer Sprache dargestellt, Lipsia 1890.