SCACCHI, Giuoco degli (fr. échecs; sp. ajedrez; ted. Schachspiel; ingl. chess)
Cenno storico. - L'origine orientale del giuoco degli scacchi è indubbia, ma assai meno sicura è l'esatta sua precisazione locale e temporale. La Cina, l'India e la Persia sono state indicate da varî eruditi come la patria prima del giuoco; ma mentre le notizie piuttosto vaghe sulla sua esistenza in Cina nel sec. I a. C. lasciano poi del tutto all'oscuro circa la sua diffusione e l'eventuale passaggio nell'India, qui sembra accertato che fiorisse già nei primi secoli dell'era volgare, donde, poi, probabilmente nel sec. VI, passò alla Persia sassanide. L'etimologia indubbiamente indiana della parola che in Oriente servì a designare il giuoco (arabo-persiano shaṭranǵ, dal sanscrito caturanga "le quattro membra" dell'esercito: elefanti, cavalli, carri e fanti), e il preciso ricordo della tradizione orientale, confermano l'India come l'estremo anello per noi raggiungibile della trasmissione degli scacchi. Nell'epica e novellistica persiana l'introduzione del gioco dall'India in Persia, che si fa avvenire al tempo del re Cosroe Anōsharwān, contemporaneo di Giustiniano, è narrata con ogni sorta di particolari, per buona parte certo fantastici, ma con una tale uniformità di elementi fondamentali, da far ritenere la sostanza del fatto quale assolutamente storica. Dai Persiani appresero il giuoco gli Arabi conquistatori (sec. VII d. C.), e con gli Arabi esso si diffuse per tutto il mondo musulmano; le note etimologie di "scacco matto" (ar.-pers. shāh māt "il re è morto", e "arroccare" (ar.-pers. rukh, corrispondente alla "torre") sono vivi documenti della fase "araba" degli scacchi; ma di nuovo incerto è il problema della ulteriore via che il giuoco avrebbe seguito per passare, dal mondo musulmano, nell'Occidente cristiano. Non del tutto persuasivi sono gli accenni dei cronisti che sembrerebbero attestarne la conoscenza a Bisanzio nel sec. IX, e contano la scacchiera tra i doni scambiatisi fra Carlomagno e Hārūn ar-Rashīd; tanto vero che, secondo alcuni autori, per il passaggio degli scacchi in Occidente, si dovrebbe discendere all'epoca delle crociate. Certo è invece che sulla metà del sec. XI troviamo già traccia dell'esistenza del giuoco in Italia, e più in Francia e in Spagna, in cui una serie di provvedimenti disciplinari vieta ai chierici di indulgere agli scacchi. Nel sec. XII Anna Comnena ne parla con ogni precisione come di distrazione favorita del padre, l'imperatore Alessio. L'evoluzione del giuoco, dalle forme medievali e orientali (del resto a noi abbastanza note grazie ad appositi trattati) a quella moderna, sembra si sia compiuta a partire dal sec. XV, in Spagna e in Francia; in Italia il giuoco fiorì nel Rinascimento e in quel periodo la superiorità italiana si affermò anche in questo campo.
Il giuoco moderno.
Fondamenti. - Il giuoco moderno degli scacchi si svolge secondo regole precise, definitivamente fissate dal regolamento della Fédération intemationale des échecs [F. I. D. E.), adottato all'Aia nel 1925 e ratificato a Venezia nel 1929. Nella presente esposizione si trascureranno le regole seguite in passato, in quanto divergano dalle anzidette, come pure gli abusi che ancora talvolta vengono commessi dagl'inesperti, e si seguiranno le norme e le definizioni della F. I. D. E., abbreviando e commentando ove necessario.
Gli scacchi sono un giuoco senza alea, che si svolge su un quadrato diviso in 64 case, altemativamente chiare e scure, detto "scacchiere", tra due giocatori che dispongono ciascuno di 16 pezzi, bianchi per l'uno e neri per l'altro.
Scopo del giuoco è dare scaccomatto al Re avversario (vedi appresso). Il giocatore che dà scaccomatto vince la partita.
Lo scacchiere dev'essere collocato in modo che ciascun giocatore abbia alla sua destra una casa d'angolo inferiore bianca. La serie verticale delle case costituisce la "colonna" o "fila"; la serie orizzontale la "linea", "riga" o "traversa"; la serie obliqua la "diagonale".
I pezzi sono, per ciascun giocatore: un Re, una Donna, due Torri, due Alfieri, due Cavalli e otto Pedoni, indicati graficamente come segue: R, D, T, A, C, P.
All'inizio della partita, i pezzi debbono essere disposti sullo scacchiere come al n. 1 dell'illustrazione f. t. I due giocatori muovono alternativamente, compiendo una mossa per volta. Il bianco ha sempre il "tratto" vale a dire il diritto di effettuare la prima mossa. L'assegnazione del colore nella prima partita si effettua a sorte o d'accordo. Poi il bianco è attribuito alternativamente all'uno e all'altro giocatore.
Il regolamento della F. I. D. E. non riconosce che due sistemi di notazioni: quello descrittivo e quello algebrico (in Italia è ammesso solo quest'ultimo).
Nel sistema descrittivo ogni pezzo è designato con la propria iniziale; la distinzione tra la Torre, il Cavallo e l'Alfiere di Re e quelli di Donna è fatta con l'aggiunta delle lettere R o D; le otto traverse sono numerate da 1 a 8, dal basso verso l'alto, tanto per il Bianco quanto per il Nero; vengono indicate l'iniziale del pezzo giocato e la casa d'arrivo (così, p. es., D5AR significa che la Donna si porta alla 5ª casa dell'Alfiere di Re; se necessario, s'indica il punto di partenza del pezzo che viene spostato).
Nel sistema algebrico ogni pezzo è designato con la propria iniziale, eccetto i Pedoni; le otto colonne (da sinistra a destra per il Bianco) sono contraddistinte dalle lettere a b c d e f g h; le otto traverse sono numerate 1 2 3 4 5 6 7 8, contando dalla base del Bianco (n. 1). Ogni casa è così definita dalla combinazione di una lettera e di un numero. All'iniziale del pezzo (escluso il Pedone) si aggiunge la casa di partenza e quella di arrivo (così, per esempio, Af1−c4 significa che l'Alfiere della casa f1 è portato alla casa c4; e2−e4 significa che il pedone della casa e2 vien portato alla casa e4). Tali mosse possono abbreviarsi qualora non ne nasca confusione.
Un pezzo può essere giocato a una casa vuota o ad una casa occupata da un pezzo avversario; nessun pezzo può essere collocato su una casa occupata da un altro pezzo dello stesso colore; nessun pezzo, tranne il Cavallo, può passare oltre una casa occupata da un pezzo qualsiasi; un pezzo regolarmente portato sopra una casa occupata da un pezzo avversario lo prende, e il pezzo preso viene tolto dallo scacchiere.
Il movimento dei pezzi si effettua come segue: il Re muove dalla sua casa a una casa vicina qualsiasi (n. 2), eccetto nel caso di "arroccamento"; quest'ultimo è un movimento combinato del Re e di una Torre, che conta per una mossa. Lasciando la casa iniziale, il Re si colloca sulla casa più vicina dello stesso colore situata sulla stessa traversa; indi la Torre, verso la quale si è spostato, si colloca accanto ad esso dall'altro lato (v. fig.). L'arroccamento non è lecito se il Re o la Torre sono stati già mossi, se una o più case tra i due pezzi è occupata, se il Re è sotto scacco (v. appresso) o se è obbligato a passare sotto uno scacco.
La Donna muove a una qualsiasi casa situata sulla colonna, sulla traversa o su una delle diagonali della sua casa di partenza (n. 3).
La Torre muove a una casa situata sulla colonna o sulla traversa della sua casa di partenza (n. 4).
L'Alfiere muove a una casa situata su una delle diagonali della sua casa di partenza (n. 5).
Il Cavallo muove un passo verso una casa contigua come una Torre, indi un passo verso una casa seguente come un Alfiere, sempre allontanandosi dalla casa di partenza (n. 6). Purché la casella d'arrivo sia libera, il Cavallo non viene arrestato da altri pezzi o pedoni che si trovino sulla sua strada.
Il Pedone, al suo tratto iniziale, avanza di una o di due case sulla sua colonna; successivamente di una sola casa sulla stessa colonna. Il Pedone prende un pezzo avversario se questo si trova diagonalmente avanti alla sua casa e su una colonna contigua. Il Pedone che avanza inizialmente di due case può essere preso alla mossa seguente da un Pedone avversario come se avesse avanzato di una casa sola (presa "al varco" o "passando"): così, p. es., un Pedone bianco che si trovi in d5 può prendere, portandosi in e6, un Pedone nero che si sia spinto in e5. Ogni Pedone che arrivi a un'ottava casa dev'essere cambiato dal giocatore in una figura qualsiasi dello stesso colore.
Il Re è "sotto scacco" quando la sua casa è battuta da un pezzo avversario; l'offesa al Re si suole annunziare con la parola "scacco" un giocatore non può porre il proprio Re sotto scacco.
Lo "scaccomatto" è uno scacco imparabile, che pone termine alla partita, dando la vittoria a chi lo effettua.
I simboli adoperati nel sistema algebrico sono i seguenti: 0−0 = arroccamento con la Th1; 0−0−0 = arroccamento con la Ta1 (o rispettivamente, per il Nero, con la Th8 e con la Ta8); × = prende; + = scacco; × + = prende e dà scacco; ∓ = scaccomatto; × ∓ = prende e dà scaccomatto; ! = buona mossa; ? = cattiva mossa (gli ultimi due sono comuni tanto al sistema algebrico quanto a quello descrittivo).
La partita può terminare anche patta, nei casi seguenti: a) quando manchino i pezzi indispensabili per dare scaccomatto; b) quando, non avendo il Re sotto scacco, il giocatore che ha il tratto non può eseguire alcuna mossa regolare (si dice allora che il Re è in "stallo"); c) quando il giocatore dimostra che può dare "scacco perpetuo" (che cioè può dare continuamente scacco al Re dell'avversario senza che questi possa impedirlo); d) per ritorno di posizione, quando la stessa posizione si ripete tre volte; e) per mutuo accordo; f) nel caso in cui uno dei giocatori dimostri che da una parte e dall'altra sono state effettuate 50 mosse, senza che sia stato dato lo scaccomatto, né preso un pezzo, né mosso un Pedone.
Nel giuoco degli scacchi una mossa fatta non può venire ritirata; il pezzo toccato deve venire giuocato, e se è un pezzo avversario deve venir preso, salvo casi d'impossibilità; se sono più i pezzi toccati, il competitore determinerà quale debba venire mosso o preso. Il giocatore che ha il tratto può assettare i proprî pezzi a patto di avvertirne il competitore.
Oltre alle norme anzidette, il regolamento della F. I. D. E. ne contiene varie altre, relative alle mosse irregolari, alle penalità, all'abbandono obbligatorio, all'uso dell'orologio nelle partite giocate con limite di tempo, alle partite sospese, a quelle con vantaggio, alla notazione delle partite, alle contestazioni, ecc. Tali norme, non essenziali a una comprensione schematica del giuoco, vengono qui necessariamente omesse.
Divisione della partita. - Sin dall'inizio del giuoco, e in base alle regole enunciate, il giocatore che ha il tratto (ossia il Bianco) ha la possibilità di scegliere tra 20 mosse diverse, e altrettante ne ha a disposizione il Nero.
Se da un lato ciò basta a mostrare quale enorme numero di combinazioni e di successioni di mosse possa aversi in una partita, si comprende d'altro canto come non tutte queste 20 mosse debbano essere di efficacia equivalente, in vista del primissimo scopo da raggiungere, quello di dare ai proprî pezzi e Pedoni la migliore posizione ("sviluppo" del giuoco) in confronto a quelli avversarî.
Ciò che vale per la prima mossa vale anche per varie altre dell'inizio della partita: sino a un certo numero di esse, l'analisi degli specialisti ha mostrato le vie più forti e più corrette per entrambi i giocatori, cosicché molte mosse d'inizio sono state scartate perché inefficienti o dannose, altre sono state considerate mediocri, altre ottime. Dopo un certo numero di mosse, che varia di molto a seconda dell'"apertura" che si è scelta, la teoria può solo dare indicazioni generali e fornire esempî, non già condurre passo passo il giocatore come sul principio del giuoco; e così - a meno che la partita non si concluda rapidamente, con molti pezzi ancora sulla scacchiera - si giunge gradualmente al "mezzo della partita", e poi al "finale", circa il quale la teoria nuovamente soccorre con notevole precisione, indicando per molte situazioni tipiche la migliore via da seguire.
Principî generali nella condotta del giuoco. Azione e valore dei singolí pezzi. - Tenuto presente che lo scopo finale della partita è dare scaccomatto al Re avversario, possono enunciarsi, tra i moltissimi, alcuni principî generali per il buon andamento del giuoco e per l'uso dei singoli pezzi.
Uno di tali principî è, come già accennato, lo sviluppo rapido dei pezzi, ossia il loro più rapido ed efficiente sfruttamento. Un pezzo immobilizzato da altri pezzi, o da Pedoni, è quasi come se non esistesse sulla scacchiera, e per converso un pezzo avrà tanto maggiore efficacia quanto maggiore sarà il numero di caselle che potrà dominare o quanto più "strategica" sarà la sua posizione. Da ciò la necessità di "aprire" il proprio giuoco. La teoria e la pratica hanno d'altronde insegnato che tale sviluppo - data la mutua interdipendenza dei pezzi - deve avvenire secondo alcune direttive, quali, ad es., quella per cui non è opportuno portare troppo presto la Donna o le Torri (per non parlare del Re) in mezzo alla scacchiera, mentre invece è preferibile "sviluppare" prima i Cavalli e gli Alfieri, ecc.
L'opportunità di conquistare il centro della scacchiera è un altro principio generale da seguire, giacché al centro i pezzi hanno maggiori possibilità di agire verso i varî settori e quindi di controllare il giuoco avversario. Tale principio non è però universalmente accettato.
Un terzo principio è l'economia di tempo, ossia il tendere al risultato cui si mira nel minor numero possibile di mosse; il guadagno di uno, due, o più tempi, è spesso decisivo, poiché anche a parità di forze un giocatore in vantaggio di tempi assume l'iniziativa del giuoco, conquista l'attacco e, talvolta, la vittoria.
Anche per quanto si riferisce ai singoli pezzi possono darsi alcuni suggerimenti generici, subordinati beninteso alle svariatissime esigenze del giuoco:
Il Re va tenuto al sicuro in apertura e nel mezzo della partita: da ciò l'utilità dell'arroccamento, specie con la Th1 (e rispettivamente con la Th8): con ciò si proteggono i punti deboli f2 e f7. Il Re acquista maggiore efficacia via via che gli altri pezzi vengono cambiati, e assume la massima importanza nei finali, specialmente nel sostenere i Pedoni.
La Donna, come si è già detto, non deve esporsi troppo presto agli attacchi avversarî; questo potentissimo fra i pezzi esercita la sua influenza decisiva specialmente nel mezzo della partita.
L'azione delle Torri ha notoriamente la massima efficacia allorché esercitata di conserva, quando cioè questi due pezzi si trovano sulla stessa colonna. La loro occupazione di una colonna aperta, o della settima fila avversaria, decide sovente le sorti del giuoco. Per forza di cose, le Torri non possono entrare in lizza troppo presto; l'arroccamento ha peraltro anche lo scopo di disimpegnare più rapidamente l'una o l'altra.
Gli Alfieri sono più potenti se dominano diagonali libere. Le uscite in "fianchetto" come, per es., Ac1−b2, Af1−g2, Ac8−b7, Af8−g7, possono essere utili, dominando diagonali massime.
I Cavalli sono, specie per i principianti, i pezzi più difficili a manovrare, dato il loro specialissimo procedere. In genere l'uscita dei Cavalli non è da ritardare. Le caselle più forti dei Cavalli bianchi sono rispettivamente, in apertura, f3 e c3. La facoltà che ha questo pezzo di "saltare", cioè di passar sopra ad altri pezzi, gli conferisce una speciale efficacia di penetrazione. È da notare che, con i cambî, liberandosi linee e diagonali, aumenta la potenza di tutti i pezzi meno quella del Cavallo, il quale offende sempre lo stesso numero di Caselle, indipendentemente dal numero di pezzi che è sulla scacchiera.
Sul giuoco dei Pedoni variano notevolmente i punti di vista: nel tempo andato un giuoco più brillante, con sacrifizio di qualche Pedone (i cosiddetti "gambetti" e "controgambetti"), oggi un giuoco più sicuro, che fonda la superiorità anche sul vantaggio di un Pedone singolo. Nel giuoco moderno i Pedoni vengono manovrati relativamente poco, anche in apertura; d'altra parte la conquista, da parte dei Pedoni, del centro della scacchiera non è più ritenuta decisiva.
Preso per unità di valore il Pedone, si ritengono ordinariamente accettabili le seguenti valutazioni: Pedone = 1; Alfiere = 3; Cavallo = 3; Torre = 5; Donna = 10. Naturalmente tali valutazioni sono approssimative, e soggette a variare a seconda di come si svolge la partita. Allorché si cambia un pezzo minore (Cavallo o Alfiere) ma una Torre, si suol dire che si perde (o rispettivamente si guadagna) una "qualità" o "differenza". Da notare, tra le tante comparazioni possibili, che i due Alfieri insieme valgono più dei due Cavalli e la Donna equivale alle due Torri.
Le principali aperture. - Per le aperture esiste una classificazione ufficiale della F. I. D. E., le cui denominazioni sono state qui seguite. Le aperture si possono dividere in tre grandi gruppi: aperture del PR, aperture del PD, aperture irregolari.
Le aperture del PR dànno luogo a giuochi che si possono anche chiamare aperti e semiaperti. Le aperture del PD e quelle irregolari dànno luogo ai giuochi cosiddetti chiusi.
A) Aperture del PR (e2−e4). - La mossa iniziale e2−e4 del Bianco dà luogo a una serie di notissime aperture allorché gli venga opposta la mossa omologa e7−e5 del Nero. Esse sono:
1. Partite del CR
2. Partite dell'AR o Spielmann
3. Partite del CD
tale apertura è chiamata propriamente partita Viennese. Essa dà luogo a molte varianti, p. es.:
4. Partita del centro
oltre a questo, che è il gambetto del centro propriamente detto, si ha:
5. Gambetto di Re
che può essere accettato o rifiutato, con molte diramazioni, ad es.:
6. Partita Alapine
Tra le aperture in cui al tratto e2−e4 del Bianco non segue quello e7−e5 del Nero, si notano principalmente le seguenti:
10. Partita scandinava, già detta controgambetto del centro, o controgambetto nordico
B) Aperture del PD (d2−d4). - La mossa iniziale d2−d4 del Bianco dà luogo alle seguenti principali aperture di giuoco chiuso, principalissima quella n. 1:
1. Apertura regolare del PD
che dà luogo assai spesso al gambetto di Donna
il quale può essere accettato o rifiutato.
C) Aperture irregolari. - Sono tutte quelle che cominciano altrimenti che con e2−e4 o con d2−d4. Tra le più note figurano le seguenti:
Molte delle anzidette aperture sono oggi pressoché abbandonate, o perché gli studî teorici ne hanno messo in luce le deficienze, o perché comunque esse non conservano a lungo al Bianco il vantaggio iniziale del tratto. Il giuoco dei tornei si è orientato, nell'epoca moderna, molto più verso le aperture del tipo B che verso quelle dei tipi A e C.
Partite giocate. - In corrispondenza ai tipi più noti di apertura, si dànno qui le notazioni di alcune partite brillanti, giocate da esperti giocatori. Dal loro studio si potranno desumere, tra l'altro, alcune situazioni interessanti relative al "mezzo della partita".
Gambetto Evans rifiutato (Morphy-Lewis):
Partita Ruy López (Flechsig-Riemann):
Difesa russa (Principe Dadian di Mingrelia-Mazeevskij):
Partita dell'Alfiere di Re (Legal-N. N.):
Celebre partita, che prende il nome di "matto di Legal"; posizioni simili a questo matto si verificano in altre combinazioni.
Partita Caro-Kann (Réti-Tartakower):
Partita viennese (Boros-Lilienthal):
Gambetto dell'Alfiere di Re (Anderssen-Kieseritsky):
Questa meravigliosa partita è universalmente nota come la "partita immortale" di Anderssen.
Partita francese (Alekhine-Vasić):
Partita Alekhine (Rabinowitsch-Löwenfisch):
Gambetto di Donna rifiutato (Rubinstein-Lasker):
e patta per scacco perpetuo.
Partita indiana (Janowski-Michel):
Partita Zukertort-Réti (Réti-Bogoljubov):
I finali. - I finali di partita si possono dividere in due categorie: finali di esito forzato e finali di esito regolare. I primi terminano matematicamente in un dato modo, salvo naturalmente il caso di deviazione dalla corretta linea di giuoco; circa i secondi la teoria indica solo qual è l'esito normale e più frequente con le posizioni che derogano dall'esito normale.
I finali di esito forzato sono tutti quelli in cui da un lato si trova il Re solo, e dall'altre il Re e più pezzi senza Pedoni. Nel caso di Re e Donna o di Re e Torre contro Re solo la vittoria è facile. L'esito è parimente di matto nei finali di Re e due Alfieri contro Re solo e di Re, Cavallo e Alfiere contro Re solo. Re e due Cavalli contro Re solo non possono, invece, dare scaccomatto, salvo il caso di errore grossolano; Re e Pedone o Re e più Pedoni contro Re solo vincono nel maggior numero dei casi. La teoria elenca al completo le eccezioni.
Per ogni finale di esito forzato la teoria, non potendo evidentemente indicare i tratti singoli come per le aperture, fornisce dettami di ordine generale, in modo da consentire per ogni caso il matto in un numero limitato di mosse. Così, ad es., nel finale di Re e Donna contro Re solo occorre confinare il Re avversario in una delle quattro file o traverse estreme della scacchiera e avvicinarlo col proprio Re; in quello di Re, Alfiere e Cavallo contro Re solo, il Re viene costretto ad occupare una casella d'angolo di colore uguale a quello delle diagonali su cui si muove l'Alfiere, e quivi è mattato.
Tra i finali esaurientemente analizzati per un grandissimo numero di situazioni, vanno menzionati quelli di Re e Pedone contro Re solo, di Re e più Pedoni contro Re solo, di Re e Pedone contro Re e Pedone di Re e 2 Pedoni contro Re e Pedone, di Re, Pedone e Alfiere contro Re solo, di Re, Pedone e Cavallo contro Re solo, di Re, Pedone e figura contro Re e figura; e altri molti. In quasi tutti il problema consiste nello spingere a dama un Pedone e trasformarlo in una figura (per lo più in una Donna): dopo di che la partita è virtualmente vinta per il giocatore che sia riuscito nella trasformazione.
"Tranelli" e "mosse decisive". - In varî momenti delle partite riportate più sopra possono ravvisarsi situazioni in cui uno degli avversarî, con una mossa imprevista e brillante (e spesso a tutta prima sconcertante in quanto implica o il sacrifizio di un pezzo o un apparente indebolimento di posizione), volge le sorti del giuoco a proprio favore. Tali mosse possono essere "inviti" insidiosi a seguire un giuoco in apparenza vantaggioso, ma che in realtà si risolve in un danno talora irreparabile per chi vi si lascia indurre, mentre l'esito sarebbe assai diverso e talora opposto se l'insidia stessa fosse evitata; oppure mosse tali da "forzare" l'esito di per sé, qualunque sia la risposta dell'avversario.
Un esempio di tranello nel mezzo della partita è dato al n. 7. Muove il Bianco: Th5−g5 (offrendo la Torre in preda al Cavallo del Nero), Ce4 ×g5? (cadendo nella trappola: occorreva giocare De7!); e allora:
Un altro esempio di tranello è dato dalla seguente partita (Mueloch-Kostitch
(quest'ultima mossa del Nero è un "bluff" tipico),
(il Bianco cade a occhi chiusi nell'insidia e il Nero irrompe inevitabilmente),
Una posizione analoga a quella finale di questa partita si dice "scaccomatto affogato": in essa il Re è interamente circondato dai proprî pezzi, come all'esempio n. 8.
Ecco ora un esempio di "mossa decisiva", effettuata in una partita giocata da Koltanowski (Bianco) contemporaneamente ad altre 19, senza vedere la scacchiera:
e qui il Nero, per conquistare un Pedone, non prevede la brillantissima e decisiva mossa dell'avversario (v. n. 9): Dd3−d8+!!!, e il seguito inevitabile: Re8 × d8,
posizione e combinazione analoga all'altra già riportata nella partita Réti-Tartakower.
Al n. 10 si ha un'altra situazione in cui una mossa brillantissima ha deciso della partita: Alekhine (Bianco) giocava contro Prat, in un'esibizione di 20 partite simultanee, e annunciò in quel punto il matto in 10 mosse!
Studî e problemi. - Viene chiamata studio "una posizione di pezzi e Pedoni combinata in modo che una delle parti possa ottenere la vittoria o fare patta mediante una sola maniera più o meno sottile e ingegnosa, immaginata dall'autore, e ciò indipendentemente dal numero delle mosse necessarie per ottenere il determinato intento" (L. Miliani). Il n. 1 riproduce uno studio di C. Salvioli, di cui ecco la soluzione:
Il n. 12 riproduce un elegantissimo studio di H. Rinck, che si risolve come segue:
Se invece alla prima mossa del Bianco segue
si ha:
Più diffuso dello studio è il problema scacchistico, che presenta una situazione a esito forzato, in un numero determinato di mosse; la prima mossa è unica, e si chiama "chiave".
In genere il problema è "diretto", ossia il Bianco dà matto al Nero; ma esiste anche il problema "inverso" (detto anche "automatto"), quando il Bianco obbliga il Nero a dargli matto. I problemi diretti hanno una propria classificazione molto complicata, che può variare a seconda del criterio di classifica. Assumendo come criterio la "chiave", i problemi si distinguono in "problemi-minaccia", "problemi-blocco" e "problemiblocco-minaccia". Nei primi la chiave apre la via a un'insidia o a un attacco; nei secondi il giuoco del Nero è inizialmente bloccato, cosicché il Bianco risponderebbe col matto a qualsiasi mossa del Nero; i terzi partecipano dell'una e dell'altra caratteristica.
L'origine dei problemi si ritiene contemporanea a quella stessa degli scacchi, e ad ogni modo se ne conoscono di antichissimi (sec. IX). Di tutti i tempi sono le raccolte di problemi, i quali via via sono andati perfezionandosi e arricchendosi di nuove idee, sino ai più profondi e complicati "temi" moderni, appartenenti a singoli sistemi o "scuole", e dovuti a problemisti specializzati.
La diffusione del problema è oggi tale che si sono quasi praticamente esaurite le possibilità strategiche nel "due mosse", ed è sempre più difficile svolgere problemi originali.
Al n. 13 è dato un classico problema stile antico in 3 mosse, di S. Loyd, ed eccone l'analisi, che considera tutte le varianti di cui esso è ricco.
1. Te6−e1!!, con la minaccia: 2. Ce3+, Rb3 (o Rd3, o Rd4); 3. T × b1 matto o Dd5 matto.
Un problema modernissimo in tre mosse di A. Bottacchi è dato al n. 14.
La soluzione è:
Se invece
Al n. 15, infine, si dà un elegante "due mosse" dei fratelli May. Chiave: c4−c5.
Bibl.: La letteratura relativa agli scacchi è estremamente ricca. Qui si dà solo l'indicazione di alcune opere fra le più importanti o più utili.
Fonti (opere antiche notevoli, specie italiane): J. De Cessolis, Solatium ludi scacchorum (ms., circa 1300), prima ed. a stampa, Firenze 1493; Damiano, Libro da imparare giuocare a scacchi, Roma 1512; R. López de Segura, Libro de la invención liberal, y Arte del juego del Axedrez, Alcalá 1551; A. Salvio, Trattato dell'invenzione e dell'arte liberale del giuoco degli scacchi, Napoli 1604; G. Greco (detto il Calabrese), Traité des échecs, Roma 1619; Ph. Stamma, Essai sur le jeu des échecs, Parigi 1737; A. D. Philidor, L'analyse des échecs, Londra 1749; P. Pratt, The Theory of Chess studies, ivi 1799.
Storia: A. v. D. Linde, Gesch. u. Literatur des Schachspiels, voll. 2, Berlino 1874; id., Das erste Jahrtausend der Schachliteratur (850-1880), ivi 1881; T. v. d. Lasa, Zur Gesch. und Literatur des Schachspiels, Lipsia 1897; H. J. R. Murray, A History of Chess, Oxford 1913; L. Bachmann, Das Schachspiel und seine historische Entwicklun, Lipsia 1924.
Opere introduttive; E. E. Cunnington, The modern Chess Primer, Londra 1920; J. Minckwitz, A B C des Schachspiels, 4ª ed., Berlino 1925; E. Voellmy, Die Anfangsgründe des Schachspiels, 2ª ed., Basilea 1927; G. Padulli, Gli scacchi, 2ª ed., Milano 1931; C. Salvioli, Il giuoco degli scacchi, 4ª ed., Livorno 1932; U. Pasquinelli, ABC del gioco degli scacchi, 3ª ed., Milano 1935.
Trattati e monografie: C. Salvioli, Ultima teoria e pratica del gioco degli scacchi, Venezia 1898-1900; id., La partita d'oggi, voll. 4, Firenze 1928; P. W. Sergeant, Morphy's Games of Chess, Londra 1916; J. R. Capablanca, My Chess Career, ivi 1920; id., Chess Fundamentals, ivi 1921; id., Grundzüge der Schachstrategie, 2ª ed., Berlino 1934; L. Bachmann, Schachmeister Steinitz, Ausbach 1921; E. Znosko-Borovsky, The Middle Game in Chess, Londra 1922; J. Berger, Theorie und Praxis der Endspiele, 2ª ed., Berlino 1922 (Nachtrag, ivi 1933); P. W. Sergeant e W. H. Watts, Pillsbury's Chess Career, Londra 1923; S. Tarrasch, Die moderne Schachpartie, 4ª ed., Lipsia 1924; id., 300 Schachpartien, 3ª ed., Gonda 1925; R. C. Griffith e J. H. White, Modern Chess Openings, 4ª ed., Londra 1925; S. G. Tartakower, Die hypermoderne Schachpartie, 2ª ed., Vienna 1925; id., Bréviaire des échecs, Parigi 1934; H. Kmoch, Die Kunst der Verteidiggung, Berlino 1927; E. Lasker, Lehrbuch des Schachspiels, 6ª ed., Berlino 1928; id., Schachstrategie, 5ª ed., ivi 1928; A. Chéron, Traité complet d'échecs, Parigi 1928; E. Bogoljubow, Die moderne Eröffnung, Lipsia 1929; A. Aljechin, Meine besten Partien 1908-23, Berlino 1929; id., Auf dem Wege zur Weltmeisterschaft 1923-27, ivi 1932; J. Mieses, Das Buch der Schachmeisterpartien, 6ª ed., Lipsia 1930; R. Réti, Das Werk Rich. Rétis im Schach, voll. 2, Moravská-Ostrava 1930-31; J. Dufresne e J. Mieses, Lehrbuch des Schachspiels, 12ª ed., Lipsia 1932; L. Miliani, Il giuoco degli scacchi, 6ª ed., Milano 1935; F. M. Pareja Casanas, Libro del ajedrez de su problemas, ecc., Madrid e Granata 1935; J. A. Lapacek, Débuts du jeu des d'échecs, Praga 1935.
Sui problemi in particolare: H. v. Gottschall, Streifzüge durch das Gebiet des Schachproblems, Berlino 1926.
Arte.
L'unico "pezzo" superstite di una serie di scacchi già esistente nel tesoro dell'abbazia di Saint-Dénis, che si diceva appartenuta a Carlomagno, ora a Parigi nel Cabinet des Médailles, è indiano: esso rappresenta un "elefante" d'avorio che un'iscrizione cufica dice opera di un Yūsuf an-Nāhilī (sec. XI). Gli Arabi, quando furono più ossequienti alle loro concezioni religiose, evitarono negli scacchi le figure, riducendoli a forme schematiche nelle quali nondimeno s'intravvede il tipo figurato. In Occidente, dopo il sec. XI, dovette essere molto attiva così nelle regioni meridionali sotto l'influenza araba, come nel nord, la produzione dei "pezzi". Questi venivano intagliati per lo più in avorio; e gl'intagliatori nordici adoperarono anche l'avorio tratto dal narvalo. Nel 1831 venne trovata nell'isola di Lewis presso la Scozia una serie di pezzi (6 re, 5 regine, 14 cavalieri, 10 fanti, ecc.) del sec. XII, certamente di produzione nordica, modellati con forte stile romanico.
La scacchiera si eseguiva di solito in avorio e legni preziosi, ma era ornata nei bordi con liste d'oro, smalti trasparenti, e persino pietre preziose: rubini, smeraldi, topazî, zaffiri. Una scacchiera bellissima che si poteva chiudere a libro, priva però degli scacchi, di arte borgognona del sec. XV, è nel Museo Nazionale di Firenze.
Gli antichi inventarî ricordano sovente scacchi e scacchiere: fra i tanti, quelli di Carlo VI e del duca di Berry, di diaspro e cristallo. Una scacchiera di Margherita d'Austria era tutta d'argento con bordi d'oro, e i pezzi erano scolpiti in argento. A partire dalla seconda metà del Seicento si fece uso di materiali meno preziosi, adoperando generalmente l'avorio e il legno (ebano), dando però sempre importanza all'intaglio delle figure.
Fra i tanti pezzi isolati che sono dispersi in varie collezioni pubbliche e private dell'epoca dei Medici, degli Stuart, ecc., ricordiamo lo splendido giuoco intagliato in cristallo di rocca, con montatura di metallo, che è nel museo di Cluny.
Quando però il giuoco degli scacchi divenne non più il passatempo privilegiato delle corti e dei nobili, ma quello familiare a ogni categoria di persone, e l'industria moderna ne moltiplicò gli esemplari, ben raramente i pezzi e la scacchiera ebbero valore d'arte.
Bibl.: Oltre alle opere sopra citate, cfr.; N. P. Larousse, Grand dictionnaire universel, Parigi 1867, VII, pp. 70 e 82 segg.; Viollet-Le Duc, Dict. du mobilier français, ivi 1871, II, pp. 462-468; F. Madden, Historical Remarks on the introduction of the game of Chess, in Archaeologia, 1832; J. de Mauri, L'amatore di oggetti d'arte, Milano 1922, p. 1060 segg.; A. Goldschmidt, Die Elfenbeinskulpturen aus der romanischen Zeit, IV, Berlino 1926, pp. 4-8; H. Havard, Dict. de l'ameublement et de la décoration, Parigi s. a., II, p. 262 segg.