OLIMPICI, GIUOCHI
. Grecia. - I giuochi olimpici dell'antica Grecia si riconnettono con le Olimpie (τὰ 'Ολύμπια), la più antica e la più celebrata delle quattro grandi feste nazionali dei Greci antichi (v. istmie; nemee; Pitiche). La leggenda ne faceva risalire la fondazione a Pelope, o ad Oxilo, o ad Eracle; più tardi, essendo caduta in oblio la festa, ne avrebbe restaurata la celebrazione, seguendo l'esortazione dell'oracolo di Delfi, Ifito, re di Elide, aiutato e favorito dal re spartano Licurgo: ancora al tempo di Pausania, si mostrava in Olimpia un disco di bronzo (il cosiddetto "disco di Ifito") sul quale era incisa la prescrizione, che si diceva dettata da quel re, relativa alla tregua sacra da osservarsi durante lo svolgersi della festa. Sta di fatto che Olimpia fu sede di un antichissimo santuario di Zeus, che vi era venerato, del pari che a Dodona, come dio della pioggia e delle tempeste, a fianco di Era, sottentrata certo nel culto alla più antica Dione. L'inizio storico della festa si suol collocare però all'anno 776 a. C. (v. era), nel quale si riteneva che si fosse cominciato a registrare (con Corebo) il nome dei vincitori dei giuochi olimpici e a tenere ilcomputo delle olimpiadi, che alcuni secoli più tardi si usò dagli storici (primo Timeo) come era cronologica.
Il santuario di Olimpia sorgeva nella valle dell'Alfeo e fu per lungo tempo conteso tra gli abitanti di Pisa e gli Elei: nel 776, secondo la tradizione di cui taluni critici dubitano, ne erano in possesso gli Elei, ma circa un secolo dopo (668 a. C.) venne in mano di quei della Pisatide, che per molto tempo presiedettero all'organizzazione dei giuochi (fino al 572 a. C.). Il contrasto fu deciso infine in favore degli Elei, quando questi riuscirono, con l'aiuto di Sparta, a soggiogare Pisa. La regione del santuario fu da allora considerata sacra, chiusa agli eserciti in arme nel mese in cui si svolgeva la festa: all'avvicinarsi di essa, i messaggeri sacri si affrettavano in ogni parte dell'Ellade ad annunciare la tregua sacra e a invitare i cittadini di tutti gli stati greci a partecipare alla festa e alle gare. E, via via che crebbe la fama e il prestigio di quelle gare, sempre maggiore divenne il numero delle città greche che volevano esservi rappresentate: così che le feste di Olimpia, che valevano in origine solo per gli abitanti dell'Elide, erano divenute, forse già al principio del sec. VIII, una sagra solenne di tutte le genti peloponnesiache e, dal sec. VII in poi, furono celebrate con l'intervento dei delegati e degli atleti di tutto il mondo greco.
Le Olimpie furono una festa penteterica, celebrata cioè ogni quattro anni. Il tempo della festa fu, a cominciare almeno dal secolo VI o dal V, l'estate, anzi il periodo centrale dell'estate; e precisamente i giorni del plenilunio dell'ottavo mese del calendario ileo, e cioè (secondo che si trattasse di anno comune o di anno intercalare) del mese di Apollonio (= attico Ecatombeone) o di quello di Partenio (= attico Metagitnione), corrispondenti, con una certa oscillazione di giorni, al luglio e all'agosto del nostro calendario (v. calendario). Non si può disconoscere che il periodo della festa non era certo molto propizio né per gli spettatori né per gli atleti, dato il clima torrido e asciutto dell'estate peloponnésiaca; ma non fu mai deciso di spostare la festa, sia per evidenti motivi religiosi, sia perché l'incomodo del clima canicolare era in parte compensato dalla lunghezza del giorno, che permetteva di usufruire di parecchie ore fresche vicine all'alba e al tramonto.
Sviluppo storico della festa. - Parte essenziale della festa erano, com'è noto, le gare ginniche (v. aconi). In origine, la festa consisteva nella sola gara della corsa a piedi; in progresso di tempo, mentre cresceva il numero delle città greche partccipanti alla festa, cresceva anche quello delle gare nelle quali si misuravano gli atleti: sicché la festa, che fino al 472 a. C. durava un solo giorno, si estese in breve tempo a ben cinque giorni (dal 12° al 16° del mese). Le principali delle moltissime gare che si contendevano in Olimpia pare si siano aggiuntc press'a poco in quest'ordine alla prima della corsa a piedi: nella 18ª olimpiade (708 a. C.), la lotta e il pentatlo (che comprendeva salto, corsa, lancio del disco c del giavellotto, lotta); nella 20ª olimpiade (688 a. C.), il pugilato; nella 25ª olimpiade (680 a. C.), la corsa delle quadriglie; nella 33ª olimpiade (648 a. C.) la corsa a cavallo e il pancrazio (la gara di lotta e pugilato insieme, ritenuta il più duro e difficile di tutti gli agoni); nella 65ª olimpiade (520 a. C.) infine, l'oplitodromo (cioè la corsa a piedi di atleti rivestiti dell'armatura pesante), con cui fu chiusa la serie delle gare principali. Ai giuochi potevano partecipare, nei primi secoli, soltanto gli uomini; nella 37ª olimpiade (632 a. C.), furono ammessi anche i fanciulli alle gare di corsa a piedi e di lotta; più tardi furono ammessi anche al pugilato e, solo in casi eccezionali, al pentatlo e al pancrazio. Nella categoria dei fanciulli s'iscrivevano i giovinetti tra i 17 e i 20 anni e snlo in rarissimi casi di età inferiore.
Olimpia (v.) era un luogo sacro, dedicato esclusivamente alla devozine di Zeus e alla festa nazionale della stirpe ellenica: tutti gli edifici sacri, le are, le statue e i monumemi votivi d'ogni genere si trovavano raccolti nello spazio recinto detto Altis; nelle vicinanze di esso avevano dimora i pochi abitanti fissi del luogo: i funzionarî e il personale, assai numeroso, addetto alla cura dei templi, alla custodia e al mantenimento degli edifici e degli spazî destinati al culto e alle gare.
Anche i più elevati dei funzionarî, del resto, non abitavano stabilmente in Olimpia, ma vi si recavano solo in occasione dei giuochi e vi prendevano dimora qualche tempo prima dello svolgersi di essi.
Supremi moderatori delle gare erano gli Hellanodíkai o "giudici dei Greci": in numero di uno o di due in origine, essi crebbero progressivamente fino a dieci, e tanti rimasero ordinariamente, dal sec. IV in poi. Scelti, per ogni olimpiade, fra i più nobili cittadini di Elide, avevano l'ufficio d'iscrivere gli atleti partecipanti alle singole gare, con facoltà di respingere quelli giudicati, nelle prove, inabili o immaturi; raccoglievano dagli ammessi il giuramento di attenersi strettamente alle regole delle gare, assegnavano i premî, cercavano che le statue dei vincitori con le mlative epigrafi fossero scolpite e collocate nella maniera prescritta. Al primo degli Ellanodici spettava di deporre la corona sul capo del vincitore. A lato degli Ellanodici stavano gli Alútai (αλύται), i quali costituivano una specie di polizia della festa e dei giuochi, e, dietro ordine dei loro superiori, reprimevano o punivano tutto ciò che non convenisse od offendesse le leggi del luogo e della grande riunione.
Per più di un millennio si festeggiarono le Olimpie, e cioè fino all'anno 393 d. C., quando furono proibite dall'imperatore Teodosio; l'Altis di Olimpia fu in gran parte distrutto trent'anni più tardi, quando Teodosio II fece incendiare i templi pagani; i frequenti terremoti compirono, in seguito, l'opera di distruzione.
Svolgimento della festa. - Qualche mese prima della festa, cominciava ad affluire a Olimpia tutto il personale addetto al luogo sacro e non residente sul posto, per curare i preparativi delle varie funzioni religiose e dei giuochi; successivamente gli atleti, per primi quelli che non avevano mai partecipato alle gare e che dovevano perciò essere convalidati dagli Ellanodici per poter essere iscritti; conveniva quindi la folla degli spettatori e dei pellegrini, che si erano messi in viaggio settimane o mesi prima, movendo anche dalle parti più remote del Mediterraneo, dovunque fossero colonie o stabilimenti della stirpe ellenica. Ultime arrivavano le delegazioni ufficiali (ϑεωρίαι) delle città e delle colonie greche, e con lo sfarzo dei loro abbigliamenti, delle insegne, degli araldi portavano al massimo grado la solennità del luogo e del momento.
Il primo giorno era dedicato esclusivamente a riti religiosi: si faceva a Zeus un solenne sacrificio di buoi, e si sacrificava poi anche alle are degli altri dei; nel palazzo del governo, dinnanzi alla statua di Zeus, gli Ellanodici giuravano di giudicare secondo giustizia, gli atleti di gareggiare secondo le leggi della lealtà e dell'onore: per i fanciulli prestavano il giuramento i loro parenti adulti. Si procedeva quindi a uno speciale esame dei fanciulli e dei puledri, che dovevano naturalmente contendere fra di loro non con uomini e con cavalli adulti; benché talvolta si sia permesso a fanciulli o a giovanetti, purché giudicati eccezionalmente robusti, di gareggiare con uomini.
Il secondo giorno era riservato alle gare dei fanciulli, che si misuravano, come è stato detto, nella corsa, nella lotta e nel pugilato e, dal sec. II in poi, anche talvolta nel pentatlo e nel pancrazio.
Più emozionanti erano le gare del terzo giorno, nelle quali si disputavano i premî gli atleti adulti. Fino dall'alba, gli Ellanodici prendevano posto nello stadio, ammantati di rosse vesti e accompagnati dagli araldi: indi facevano il loro ingresso gli atleti, dal sec. V in poi completamente nudi e col capo spalmato di olio. Si cominciava con la corsa, in origine unica gara della festa: si facevano tre gare distinte, due per la corsa di velocità, sul percorso misurato dalla lunghezza dello stadio (192 metri) e sul percorso del doppio stadio (andata e ritorno), una di resistenza, nella quale i ginnasti percorrevano 24 volte lo stadio, superando così una distanza complessiva di quasi cinque chilometri. Poiché i corridori erano sempre molti, se ne formavano, a sorte, tanti gruppi di quattro, che correvano separatamente in una prima gara eliminatoria; i vincitori dei singoli gruppi si misuravano poi fra loro nella gara finale. Era quindi la volta della lotta. Si dichiarava vincitore colui che avesse atterrato tre volte il rivale oppure colui che lo avesse costretto a dichiararsi vinto. Seguiva, al terzo posto, il pugilato, la più crudele e la più pericolosa delle gare, poiché i pugilatori combattevano con le mani e l'avambraccio ravvolti in strisce di cuoio rafforzate da piastrine di piombo e i colpi risultavano non di rado mortali: vero è che l'arte e la maestria degli atleti sapevano spesso conferire una certa nobiltà e compostezza anche a questo giuoco brutale, e una delle vittorie più segnalate era quella che si guadagnava senza dare o ricevere colpi gravi, stancando l'avversario con un lungo succedersi di finte e di parate. Anche più tremendo era il pancrazio, composto di lotta e di pugilato insieme, nel quale i due avversarî comhattevano ferocemente senza esclusione di colpi, potendo il vincittire infierire sul vinto anche dopo che l'aveva atterrato. Non moltui numerosi si presentavano gli atleti allenati per gare così gravose; e non di rado si dava il caso che un pugile famoso per la sua forza e per precedenti vittorie ne riportasse un'altra senza menar le mani (o, come si diceva, ἀκονιτί, cioè "senza impolverarsi"), non trovandosi alcuno che volesse essergli antagonista. Lo stesso genere di vittoria incruenta poteva venir riporiato da un atleta, il cui avversario si presentasse alla gara in ritardo sull'ora prescritta o non potesse combattere perché estenuato da precedenti gare: in questo caso era però sancita una forte ammenda per il colpevole di aver troppo presunto delle proprie forze. Le gare di questa tema giornata erano dunque numerose e lunghe: cominciate all'alba, finivano spesso al lume della luna.
Gli agoni più magnifiei e spettacolosi si svolgevano però nel quarto giorno, destinato principalmente alle corse dei cavalli e dei carri. Le corse delle quadrighe (carri a due ruote, tirati da quattro cavalli) più di ogni altra entusiasmavano gli spettatori: l'unità di misura stabilita per il percorso da superare era l'ippodromo (pari a 8 stadî = m. 1538,16), che le quadrighe di cavalli adulti dovevano ripetere dodici volte, compiendo un percorso totale di km. 13,843 (perché l'ovale descritto dalle quadrighe intorno alle mete non misurava in realtà più di 6 stadî): si trattava dunque di corse di resistenza piuttosto che di velocità (v. ippodromo), e soltanto alla fine della corsa i cavalli che si trovavano ancora in forza raggiungevano la meta, con un ultimo slancio, a galoppo serrato. Grandissimo era il numero delle quadrighe che si misuravano nella gara, perché, a differenza di quanto si praticava nella corsa a piedi, correvano tutte insieme in una volta, e Pindaro (Pitiche, V, 46) ricorda una gara di 41 quadrighe. Seguivano altri agoni ippici minori, come quello delle bighe e quello delle quadrighe di puledri; e si è già ricordato come nel 648 a. C. si fossero introdotte anche le corse di cavalli montati, le quali si svolgevano su un percorso di sei ippodromi, pari a più di nove chilometri. Vincitore nelle gare ippiche non era considerato però né l'auriga né il fantino, bensl il proprietario del cavallo, al quale andava tutta la gloria del trionfo, sia che avesse guidato o montato da sé i suoi cavalli, sia che ne avesse affidato ad altri il non facile compito: si premiava dunque piuttosto la sagacia e le cure di chi aveva allevato i cavalli che l'abilità di chi li guidava. S'intende così come fossero questi i soli agoni ai quali abbiano potuto partecipare donne di illustri e ricche famiglie (come, p. es., Cinisca, sorella di Agesilao), che si fossero dedicate all'allevamento di cavalli da corsa. In questo stesso quarto giorno alle gare ippiche seguiva il pentatlo, che comprendeva le cinque gare del salto, della corsa, del lancio del disco e del giavellotto, della lotta. Bisognava superare l'avversario in tutte e cinque le prove per poter essere dichiarato vincitore: nei primi quattro giuochi tutti i contendenti davano, singolarmente, saggio di sé (o, per la corsa, secondo il sistema sopra descritto); per la lotta si dovevano necessariamente sorteggiare tante coppie di atleti; non è ben certo però come si procedesse per eliminare via via i varî vincitori delle diverse coppie e per far combattere il ginnasta che rimanesse spaiato, nel caso di numero dispari di candidati. Certo pare però che alla prova della lotta venissero ammessi soltanto coloro che erano risultati vincitori in tutte o nella maggior parte delle altre gare. Ultimo giuoco della giornata era l'oplitodromo, cioè la corsa di guerrieri completamente armati (da un certo tempo in poi, anche con lo scudo): il percorso si misutava su due lunghezze dello stadio (384 metri). Alla sera di questo giorno, si cominciava già a festeggiare con banchetti i vincitori, benché non fosse ancora avvenuta la proclamazione ufficiale.
Il quinto giorno segnava la fine della festa; ed era giorno di tripudio e di trionfo per i fortunati vincitori, per i loro congiunti, per i loro concittadini. Avutane indicazione dagli Ellanodici, gli araldi proclamavano i nomi dei vincitori, seguiti dall'indicazione del padre e della città loro, mentre il primo degli Ellanodici poneva loro sulla fronte la preziosa corona di olivo selvatico, che un nobile fanciullo aveva tagliata con una falcetta d'oro da un sacro albero che l'oracolo stesso aveva designato. I vincitori, che avevano raggiunto cosi la più alta gloria e la massima onorificenza che ad un greco fosse dato di conseguire, si recavano quindi a sacrificare a Zeus Olimpio, e poi si abbandonavano alle manifestazioni di gratitudine e di gaudio dei loro concittadini e dei delegati ufficiali della loro città presenti alla festa. Processioni di trionfo e di ringraziamento agli dei attraversavano allora in ogni senso la sacra città: i rappresentanti dei singoli stati gareggiavano tra loro nello sfarzo delle vesti e degli apparati, nella generosità e nell'abbondanza dei banchetti e dei doni: tutti i convenuti ad Olimpia, anche i più umili, ricevevano quella sera un invito a qualche mensa.
Le città collocavano i loro doni, in Olimpia, in appositi tempietti, detti tesori: verso la metà del sec. VI invalse il costume di erigere anche statue dei vincitori. Questi, dopo essere stati invitati a un banchetto ufficiale nel Pritaneo dagli Elei, dopo essere stati spesso celebrati dal carme epinicio di un celebre poeta (e felici coloro cui toccò la sorte di essere immortalati nei versi di un Simonide, di un Bacchilide, di un Pindaro), si mettevano in viaggio verso la loro città, dove facevano il loro ingresso solenne su un carro tirato da bianchi cavalli e dove li aspettavano "onori non minori di quelli che Roma riserbava ai suoi trionfatori che le conquistarono il mondo" (Stengel).
Nei giorni delle Olimpie non si assisteva però nella sacra città soltanto alle gare atletiche: là cominciarono a convenire, specialmente dal sec. V in poi, anche letterati, artisti, poeti, per farsi conoscere e guadagnarsi fama presso i Greci lì radunati: è noto che Erodoto dette, in tale occasione, lettura di una parte delle sue storie e che Dionisio il Vecchio vi fece recitare da provetti rapsodi le sue poesie.
Lo spettacolo dei giuochi olimpici era severamente proibito, sotto pena di morte, alle donne maritate, con la sola eccezione della sacerdotessa di Demetra, che vi presenzia dava un posto a lei riservato: potevano invece intervenirvi le ragazze, ma poche erano quelle che usufruivano di tale concessione.
Bibl.: J. II. Krause, Hellenika, II, i, Olympia, Vienna 1836, con un elenco alfabetico dei vincitori olimpici; E. Curtius, Sparta und Olympia, in Hermes, XIV, p. 129 segg.; II. Förster, De hellanodicis Olympicis, Lipsia 1879, dissert.; E. Lübbert, De Pindari carm., quibus Olympiae origines canit, fontibus, Bonn 1882, progr.; A. Bötticher, Olympia, das Fest und seine Stätte, Berlino 1883; A. Mommsen, Über die Zeit der Olympien, Lipsia 1891; G. F. Schoemann e J. H. Lipsius, Griech. Alterthümer, Berlino 1902, II, p. 53 segg.; P. Stengel, Die griech. Kultusaltertümer, 3a ed., Monaco 1920, p. 190 segg.; C. Gaspar, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, VII, p. 172 segg.
Le olimpiadi moderne.
Nei giuochi olimpici, meglio noti col nome di olimpiadi moderne organizzate, come le antiche, ogni quattro anni, lo sport ha la sua massima e più completa rassegna di forze.
L'idea di ristabilire i giuochi olimpici fu lanciata alla Sorbona nel 1892 dal conte Pierre de Coubertín. Nel gennaio 1894, nella circolare preparatrice d'un congresso ad hoc, egli scriveva: "Importa innanzi tutto conservare all'atletismo il carattere nobile e cavalleresco che l'ha distinto nel passato, affinché, esso possa continuare ad esercitare efficacemente nell'educazione dei popoli moderni la funzione ammirabile che ad esso attribuirono i maestri greci". Il congresso, tenuto a Parigi il 23 giugno 1894, deliberava la ripresa dei giuochi olimpici: la prima olimpiade moderna fu celebrata ad Atene nel 1896. Da allora le olimpiadi si svolsero regolarmente ogni quattro anni, nel 1900 a Parigi, nel 1904 a Saint Louis, nel 1908 a Londra, nel 1912 a Stoccolma. Qui si apre una parentesi: i giuochi della 6ª olimpiade moderna, che avrebbero dovuto svolgersi a Berlino nel 1916, non ebbero luogo a causa della guerra. La 7ª olimpiade, celebrata nel 1920 ad Anversa, e la 8ª del 1924, a Parigi, non videro in gara atleti tedeschi e degli stati ex-nemici. Questi vennero riammessa ai giuochi della 9ª olimpiade (Amsterdam 1928). La 10ª olimpiade si svolse nel 1932 a Los Angeles; l'11ª è fissata per il 1936 a Berlino. Per partecipare alle olimpiadi moderne, gli atleti devono essere sudditi dello stato sotto la cui bandiera intendono gareggiare, ed essere definiti "dilettanti" dalla Federazione internazionale che regola il rispettivo ramo di sport.
La definizione del "dilettante" è resa sempre più difficile dal desiderio di escludere dalle olimpiadi i professionisti, e, nel tempo stesso, di assicurare ai giuochi i campioni più forti dei varî sport. L'atteggiamento intransigente preso in proposito, qualche anno addietro, dai dirigenti del Comitato internazionale olimpico (fondato nel congresso del 1894, che stabilì la ripresa dei giuochi) portò all'esclusione dalle olimpiadi (esclusione che ancora dura) di due diffusissimi giuochi sportivi: il calcio e il tennis. Le decisioni di una commissione internazionale recentemente (1934) nominata sembrano consentire, pur senza confessarlo apertamente il "mancato guadagno" agli atleti mobilitati per le olimpiadi: solo col consentire che le rispettive famiglie possano percepire gli stipendî o salarî durante l'assenza dell'atleta, come se egli fosse in servizio, e con l'autorizzare l'atleta stesso a vedersi rimborsate le spese dei viaggi è infatti possibile conservare alle olimpiadi il loro valore di rassegna di tutti i più forti sportivi del mondo.
Le competizioni olimpiche si svolgono nei seguenti sport: atletica (leggiera, cioè corsa, marcia, salti, e lanci; e pesante, cioè lotta e sollevamento pesi); ginnastica; sport di combattimento (scherma e pugilato); sport d'acqua (nuoto, canottaggio, vela); sport equestri; decatlo e pentatlo moderni; oltre a cinque concorsi d'arte (architettura, letteratura, musica, pittura, scultura). Per ogni sport, la rispettiva Federazione internazionale fissa i programmi delle singole gare. L'olimpiade deve esaurire tutte le sue competizioni nel giro di sedici giorni. Accanto all'olimpiade propriamente detta vi sono i giuochi olimpici invernali (sport della neve e del ghiaccio), disputati per la prima volta nel 1924 a Chamonix, e, successivamente, nel 1928 a Saint-Moritz, nel 1932 a Lake Placid. La Germania, nel 1936, li farà svolgere a Garmisch Partenkirchen.
I premî dei vincitori dell'olimpiade consistono, per ogni gara, in una medaglia d'argento dorato al 1°, d'argentto al 2°, di bronzo al 3°: ogni medaglia è accompagnata da diploma. Inoltre, a partire dal 1928 (Amsterdam), i nomi dei primi sei classificati di ogni prova (generalmente sono sei gli ammessi alle finali dopo le varie gare eliminatorie) vengono incisi sui muri dello stadio.
Particolarmente solenni sono le cerimonie di apertura e di chiusura dei giuochi, che culminano rispettivamente nell'innalzamento e nell'ammainamento della bandiera olimpica (bianca, attraversata da una catena, ogni anello della quale è di colore diverso sicché tutte le bandiere dei varî stati possono venire in essa idealmente ricomposte). Una cerimonia protocollare accompagna la proclamazione dell'esito di ogni gara: mentre le musiche intonano l'inno dcllo stato dell'atleta vittorioso, sul pennone più alto si leva la bandiera dello stcsso stato, fiancheggiata, su pennoni più bassi, a destra e a sinistra, dalle bandiere del secondo e del terzo classificato.
Ufficialmente non si fanno classifiche per punti alle olimpiadi. Ma questo divieto ufficiale (inteso a evitare l'umiliazione dei più piccoli stati) non è affatto rispettato; sicché ufficiosamente si sa, alla fine di ogni olimpiade, qual è lo stato che ha prevalso in ogni sport e quello che è apparso complessivamente il più forte. In tutte le olimpiadi moderne i trionfatori sono stati gli Americani degli Stati Uniti; ma negli sport atletici (corse, salti e lanci), che più si riattaccano alla tradizione e che, per svolgersi interamente nello stadio, maggiormente appassionano le folle, due stati minori - Finlandia e Svezia - hanno saputo contrastare spesso validamente il primato alla grande repubblica.
L'Italia si è proposta, con organicità di vedute e con mezzi adeguati, il problema della partecipazione alle olimpiadi solo nel dopoguerra; e si deve al fascismo, per volontà del suo grande Capo, valoroso sportivo egli stesso, se lo sport ha raggiunto in Italia tale diffusione, attrezzatura ed eccellenza di risultati tecnici da consentirle di ottimamente figurare alle olimpiadi. È stato da tutti ammesso che l'Italia fu al terzo posto ad Amsterdam (1928) e al secondo a Los Angeles (1932).
Accanto al Comitato internazionale olimpico (specie di "senato" sportivo costituito da membri che lo rappresentano nei varî stati: quelli sono attualmente [1934] 66 e questi 43), che presiede alle olimpiadi, tecnicamente organizzate dalle federazioni internazionali, esistono, nei varî paesi, comitati olimpici nazionali, preposti alla partecipazione dei rispettivi atleti alle olimpiadi. In Italia il regime fascista ha attribuito al C.O.N.I. (Comitato olimpico nazionale italiano) le funzioni di supremo regolatore di tutta l'attività sportiva nazionale: da qualche anno suo presidente (o commissario) è il segretario del P.N.F.