GIUNTI (Giunta), Lucantonio, il Giovane
Nacque nel 1540 a Venezia da Giovan Maria di Lucantonio il Vecchio e da Maria Stella. Il G. non si limitò a seguire le vicende dell'impresa tipografica di famiglia, ma allargò i suoi commerci a prodotti di vario genere, come carta, stoffe, spezie, vini, armi, zucchero e pepe.
La concorrenza interna sul mercato librario veneziano, quella esterna di centri editoriali che acquistavano sempre maggiore importanza (per esempio, Ginevra e le città olandesi) e la crescente frequenza con la quale libri che promettevano di essere redditizi venivano proibiti lo costrinsero a cercare altri investimenti, anche con acquisto di beni immobiliari, fondi in Terraferma e case a Venezia (ciononostante visse sempre in case d'affitto, in vari sestieri). Dal punto di vista commerciale, i maggiori contatti del G. furono ancora con la penisola iberica, secondo la tradizione inaugurata dal nonno Lucantonio il Vecchio.
Un documento dell'Archivio di Stato di Venezia, datato 30 marzo 1582, indica la situazione patrimoniale del G., che allora viveva nel sestiere di S. Benedetto, in casa di Zaccaria Foscolo: più di duecento terreni sulla Terraferma, una volta in Rialto, una casa in contrada S. Stae e altri possedimenti. Nel 1601 possedeva oltre 400 terreni. Fu eletto priore due volte dai librai e tipografi veneziani (31 marzo 1581 e 8 giugno 1587), ma entrambe le volte rifiutò la carica; l'accettò solo nel 1596, mantenendola dal marzo di quell'anno al gennaio del 1598.
Il programma editoriale del G. proseguì la tradizione editoriale dei Giunti di Venezia: pochi libri in italiano, pochi di contemporanei, mentre gran parte della produzione è costituita da testi liturgici, giuridici, libri professionali e universitari; appare, inoltre, consistente il numero di opere di medicina. La stampa di opere liturgiche, spesso con privilegio, fu in gran parte alla base della fortuna economica del G. e gli consentì di instaurare la sua imponente rete commerciale. Dopo il concilio di Trento e le maggiori restrizioni sulla stampa, le possibilità editoriali in Italia si erano ridotte, ma la produzione del G. poco si prestava ai controlli della censura. Altri erano i problemi nei settori da lui praticati. I testi universitari e giuridici, grandi raccolte che necessitavano l'impiego di ingenti capitali, avevano un assorbimento del mercato molto lento; ciò portò il G. a prediligere il sistema di costituire società temporanee con altri librai e commercianti per la stampa e lo smercio di opere impegnative. Questo afflusso costante di capitali si rivelò assai positivo nel sostenere la sua attività editoriale.
Il G. iniziò a stampare nel 1566; sottoscrisse con il suo nome fino al 1568, poi con il solo nome della famiglia; peraltro, la marca della stamperia aveva, ai lati del tradizionale giglio, le sue iniziali ("L. A."), identiche a quelle di Lucantonio il Vecchio. Nel 1567, per gli undici tomi dei Commentaria in Corpus iuris civilis cum notis variorum del giurista Bartolo da Sassoferrato, ristampati poi più volte, si affidò al tipografo Comin da Trino. Anche nel 1568 il G. affrontò due impegnative imprese editoriali giuridiche: i dieci volumi di Paolo di Castro e i nove del giurista milanese Giasone del Maino; nel 1571 stampò i nove volumi delle opere di Baldo degli Ubaldi. Nel 1570 si associò con gli eredi di Melchiorre Sessa, con Vincenzo Valgrisi, Giovanni Zenaro e il tipografo Domenico Nicolini per la stampa in dieci volumi delle opere di s. Agostino. Nello stesso anno, in società con Domenico Basa, stampò il nuovo Breviarium corretto secondo le direttive del concilio di Trento: la società prevedeva la partecipazione di altri quattro librai veneziani e in totale impiegò quattordici torchi. La stampa avvenne sotto la supervisione di due correttori ecclesiastici e creò alcuni problemi al G., soprattutto quando fu accusato di avere inserito nel volume materiale non autorizzato e gli fu ordinato di sospendere la stampa. Il G. si lamentò di avere investito migliaia di ducati nell'impresa e, dopo le adeguate correzioni, gli fu concesso di terminare il lavoro. Nel 1571 ottenne, con uno speciale breve pontificio, un privilegio assoluto per un'edizione della Bibbia, di cui era proibita allora qualsiasi altra edizione senza autorizzazione della Curia. Nel 1572 s'impegnò in un'altra edizione della Bibbia in grande formato, con testo in colonne e iniziali ornate; nello stesso anno apparvero per i tipi giuntini sei importanti opere liturgiche, tra cui un Antifonario (consistente totalmente in musiche e testo), un Graduale e un Pontificale in caratteri gotici, con illustrazioni e musiche. Il 21 genn. 1573 Gregorio XIII concesse al G. di stampare l'Officium beatae Mariae Virginis, nonostante il privilegio esclusivo concesso dal suo predecessore alla Stamperia del Popolo romano. Sempre nel 1573, il G. propose una nuova edizione del De arte gymnastica di Girolamo Mercuriale, medico ed erudito forlivese, con ventuno nuove incisioni.
Tra il 1573 e il 1576 il G. ripropose nuovamente gli Opera omnia di Aristotele, già stampati dallo zio Tommaso nel 1550, in un'edizione monumentale in quattordici tomi. Nel 1576, ancora a cura del Mercuriale, ripropose nove volumi degli Opera omnia di Galeno nella prestigiosa edizione eseguita da Tommaso nel 1541. Tra il 1577 e il 1578, un'altra grande opere giuridica impegnò il G., gli otto volumi di Commentarii super lib. Decretalium del giurista trecentesco Antonio da Budrio. Nel 1579 si valse nuovamente di un tipografo esterno, Pietro Deuchino, per l'Enchiridion, sive Manuale confessariorum et poenitentium di Martin de Azpilcueta, volume di larghissima diffusione, con molte ristampe e traduzioni in varie lingue. Nel 1583, per la traduzione latina delle opere di s. Giovanni Crisostomo, il G. si affidò a Domenico Nicolini, che anche in seguito appare il tipografo veneziano con il quale egli ebbe maggiori contatti. Nel 1586 stampò le Prediche quaresimali di Cornelio Musso, vescovo di Bitonto, uno dei più celebri e ascoltati oratori del Cinquecento; fino ad allora a Venezia le opere del Musso erano state privilegio esclusivo di Gabriele Giolito de' Ferrari, che le aveva pubblicate in numerose edizioni, e la stampa giuntina venne a interrompere tale tradizione. Nel 1587 il G. stampò di nuovo il Breviarium Romanum, illustrato da trentuno grandi xilografie inquadrate in varie cornici. Nel 1588 ripropose, in modo più ampio, le opere di commento alle Decretali di Niccolò Tedeschi "Panormitanus", che aveva già impresso nel 1582; il volume contiene una grande xilografia a scomparti figurati, che rappresentano l'ingresso solenne del Tedeschi nella sua diocesi di Palermo e vedute delle città di Siena, Parma e Bologna. Sempre nel 1582, il G. ristampò le opere di Ippocrate, ancora a cura del Mercuriale; in questa edizione si conferma quella che era divenuta una delle caratteristiche della sua officina nel campo delle opere scientifiche di grande formato: un frontespizio inciso, in questo caso in rosso e nero, diviso in vari scomparti figurati che illustravano l'opera. Per l'Ippocrate l'incisore fu il veneziano Giacomo Franco, che firmò anche il frontespizio del primo volume delle opere di s. Bernardino da Siena, stampato dal G. nel 1591, dove nell'ovale centrale è rappresentato il santo con la città di Siena sullo sfondo, mentre i piccoli ovali laterali celebrano le sue gesta. Nel 1601, apparve per i tipi del G. una serie di opere dello stesso Mercuriale, parte delle quali rappresentano dispense delle sue lezioni universitarie raccolte dai suoi allievi.
Dal 1574 al 1579 il G. fu in società con Filippo di Bernardo Giunti, Bernardo di Bernardo Giunti e Bernardino Mazzorino da Parma (già dipendente dei Giunti, associato con loro già dal 1555), con un capitale che prevedeva la partecipazione del G. per due terzi. La società fu rinnovata dal 1579 al 1583. Nel 1580 o 1581 il G. partecipò a una società con Michele Tramezzino il Giovane, Venturino Tramezzino e Giovanni Varisco per un'edizione delle Historie del mondo di Giovanni Tarcagnota e di altri; in seguito il G. entrò in causa con Michele Tramezzino per pendenze economiche della società e vinse con l'arbitrato di tre librai veneziani. Nel 1581 reagì, con altri tipografi, alla richiesta del nunzio Lorenzo Campeggi di garantire privilegi dello Stato veneziano a stampatori non veneziani (Domenico Basa e Antonio Lilio); ciononostante, il Senato veneto concesse ad Antonio Lilio un privilegio decennale per la stampa del Martyrologium Romanum. Lilio, allora, formò una società con Domenico Basa e Francesco Zanetti e i tre vendettero immediatamente al G. e a Giovanni Battista Sessa i diritti acquisiti a Venezia. Nel 1582 il G. fu in società con Giacomo Tornieri e Domenico Basa. Nel 1574 erano comparse le prime edizioni di una società editoriale "All'insegna dell'aquila che si rinnova", alla quale partecipava il G. e che operava soprattutto nella pubblicazione dei più noti giuristi dei secoli XIII-XIV. L'attività di questa compagnia resta alquanto oscura, ma nel 1584 si ha notizia di una scrittura privata che fa riferimento a una società editoriale del G. con Filippo e Bernardo Giunti di Firenze, suoi cugini di primo grado, gli eredi di Bernardino Mazzorino, Francesco De Franceschi, Francesco Ziletti, Felice Valgrisio, gli eredi di Girolamo Scotto, Giovanni Varisco, Damiano Zenaro, i fratelli Girolamo, Giovanni e Andrea Zenaro e gli eredi di Melchiorre Sessa, ancora per stampare opere giuridiche di grande formato, e che quindi dovrebbe riferirsi alla Compagnia dell'aquila che si rinnova. Anche nel 1584, in occasione della ristampa delle opere di s. Agostino, si formò un consorzio con gli stessi partecipanti alla stampa del primo volume nel 1570, ma agli eredi di Melchiorre Sessa e di Domenico Nicolini subentrarono Damiano Zenaro e Francesco De Franceschi, libraio in Merceria. La marca della Società dell'aquila che si rinnova s'incontra ancora nel 1591, in una stampa giuntina dei commenti di Niccolò Tedeschi alle Decretali, ma in compresenza con la sottoscrizione tipografica dei Giunti. Il 24 dic. 1587 Giovanni Varisco e gli eredi di Girolamo Scotto e di Melchiorre Sessa si dimisero per disaccordi con gli altri soci, chiedendo al G., che era il cassiere, la liquidazione dei loro capitali nella società. Intorno al 1597 il G. si unì in società con il senese Francesco De Franceschi per una nuova stampa delle Historie del mondo di Giovanni Tarcagnota; il G. lamentò poi più volte l'inadempienza del De Franceschi, il quale non stampava la sua parte, e lo denunciò alla giustizia, che il 23 febbr. 1598 intimò al senese di rispettare il contratto. L'opera, in cinque volumi, uscì con il solo nome dei Giunti nel corso dello stesso anno. Nel 1601 il G., che aveva monopolizzato la produzione del Missale Romanum a Venezia nell'ultimo ventennio del Cinquecento formando un consorzio di cui era a capo, fu condannato insieme con i suoi soci dalla congregazione dell'Indice per deviazioni dal testo originale nel messale stampato nel 1596, ma la condanna non ebbe conseguenze concrete.
Il G. aveva corrispondenti in molte città d'Italia e in Francia a Lione (gli eredi di Iacopo Giunti), in Spagna ad Alicante, Madrid (Giulio e Giacomo Giunti), Medina del Campo, Salamanca (Luca Giunti; qui, nel 1575, fu stampato a spese del G. l'Amadís de Gaula) e Siviglia, in Polonia a Cracovia. Quando poteva, il G. impiegava persone della famiglia come agenti, rappresentanti, corrispondenti. A Roma, negli anni 1595-97, teneva un negozio di libraio in affitto, all'insegna del liocorno, in via del Pellegrino, e corrispondeva con Giorgio Ferrari, cremonese, titolare della Stamperia del popolo romano.
Il G. morì a Venezia il 6 marzo 1602 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, nella tomba di famiglia.
Gli annali del Camerini gli attribuiscono 373 edizioni dal 1566 al 1601. Dalla moglie Bianca Verdi, nobile veneziana, ebbe due figli, Tommaso e Giovan Maria, che continuarono la gestione dell'azienda.
Tommaso nacque a Venezia nel 1582. Di Giovan Maria si ignora la data di nascita. I due fratelli abitavano, insieme con la madre, nel palazzo di S. Eustachio. Il 9 marzo 1603 Tommaso chiese di essere immatricolato nell'università dei liberi stampatori e prese in mano le sorti dell'azienda. L'eredità paterna non venne divisa e l'impresa continuò florida fino al 1618, pur restringendo il volume di affari realizzato dal G. in vari settori. Il totale delle edizioni, secondo gli annali del Camerini, è di 149, apparse con la consueta sottoscrizione societaria.
Dalla documentazione rintracciata dal Camerini emergono, oltre a varie questioni legali, acquisti di terre e di mercanzie (da Costantinopoli, da Aleppo in Siria), rapporti con varie banche, nomine di procuratori nei diversi luoghi dove i Giunti avevano interessi, in Italia e all'estero (Lisbona, Ragusa [Dubrovnik], Madrid, Alicante, Lione, Anversa), la partecipazione alle varie fiere librarie. Il 18 ag. 1604 i Giunti cedettero a Francesco Manolesco tutti i libri che avevano portato alla fiera di Lanciano, con l'impegno che il Manolesco li vendesse esclusivamente in tale fiera; come fideiussore del Manolesco appare Giovanni Battista Ciotti. I Giunti furono presenti anche alle fiere di Recanati, di Pistoia, dell'Apparizione e di Pasqua a Piacenza. Nel giugno 1608 nominarono un procuratore per riscuotere i loro crediti dal tipografo senese Silvestro Marchetti; nell'aprile 1613 è loro procuratore il libraio messinese Francesco Bellagamba per riscuotere crediti che vantavano con Girolamo Zenaro, anch'egli libraio a Messina; il 24 settembre successivo ebbe lo stesso incarico, ancora a Messina, il libraio Giuseppe Raffa. Il 28 nov. 1617 appare notizia di convenzioni tra i Giunti e il noto giurista romano Prospero Farinacci, e al 24 giugno dello stesso anno è datato un contratto tipografico con il Farinacci, riguardante la stampa delle decisioni della Sacra Romana Rota raccolte dal giurista, che furono pubblicate l'anno seguente.
Tommaso morì a soli 36 anni, nel 1618, e lasciò due figlie femmine.
Giovan Maria gli subentrò e con una prodigiosa abilità riuscì a mantenere prosperi gli affari negli anni successivi. Non avendo figli, iniziò ad associare nella direzione dell'azienda Bernardo di Filippo Giunti, suo parente del ramo fiorentino. Quando morì, intorno al 1632, Bernardo agì come procuratore generale e rimase responsabile fino al 1643, dal 1641 con la collaborazione del fratello Modesto, che aveva smesso l'attività a Firenze. Nel 1643 l'officina dei Giunti aveva quattro torchi e pagava la tassa maggiore di tutti i librai veneziani. Nello stesso anno gli eredi Giunti si associarono con l'editore e libraio Francesco Baba in una società che durò fino al 1650. Nel 1651 si costituì una nuova società, "Eredi di Tommaso Giunti ed Hertz", che durò meno di un anno. Dal 1651 al 1657 gli eredi di Tommaso, in un estremo sforzo, stamparono ancora da soli, ma poi i nobili veneziani che avevano sposato le due figlie di Tommaso cedettero il complesso editoriale a Nicolò Pezzana e questo passaggio segnò, dopo oltre un secolo e mezzo di gloriosa attività, l'uscita di scena del marchio giuntino dal panorama dell'editoria veneziana.
Fonti e Bibl.: A. Tenenti, L. G. il Giovane, stampatore e mercante, in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano 1957, pp. 1021-1060; P. Camerini, Annali dei Giunti, II, Venezia-Firenze 1963, passim; W.A. Pettas, An international Renaissance publishing family: the Giunti, in The Library Quarterly, XLIV (1974), p. 347.