GIUNONE (Iuno)
Antica divinità latina divenuta, in progresso di tempo, una delle dee principali della religione ufficiale e privata dei Romani. L'identificazione, ammessa in passato, di Iuno con la greca Dione (v.) sembra ormai da respingersi, come anche l'etimologia che ne ricollegava il nome a quello di Giove (Diovi - Iovi), attraverso la forma Iovino: il nome della dea è piuttosto da derivarsi dalla rad. iun (di iuvenis), nel significato di "giovanile, fiorente", oppure di "donna giovane, in età da marito". G. ci si presenta sotto cinque aspetti fondamentali: e cioè, quale divinità celeste e lunare; come dea del calendario; come dea della donna e delle manifestazioni della sua vita e del suo sesso; come divinità del matrimonio; come dea poliade in alcune città del Lazio e divinità politica in Roma e nelle provincie.
G. è la divinità femminile corrispondente a Giove (v.); e, come tale, ci si presenta, da un lato, nell'aspetto di dea dell'atmosfera e della pioggia, dall'altro sotto quello di divinità lunare. Come dea dell'atmosfera e della pioggia, le era sacra la capra: uno dei riti della festa di G. a Falerii era la caccia alla capra, compiuta da ragazzi; la statua della G. di Lanuvio portava un vestito di pelle di capra, alla quale si dava a Roma il nome di amiculum Iunonis. E anche il cane e la cornacchia - animali appartenenti, come la capra, al più antico rituale magico per provocare la pioggia - furono sacri a G. La quale però, in questo suo più antico e originario aspetto, non salì mai a grande importanza nel culto; e sarebbe certo rimasta una delle più scialbe figure del pantheon romano se, mentre si andava oscurando il suo legame con Giove, essa, immedesimata con l'astro della notte ed entrata, per questa via, in relazione col calendario e con la vita e la natura femminile, non fosse, sotto questo suo nuovo e fortunato aspetto, venuta nella più grande considerazione. A questi nuovi significati della dea furono infatti ispirati tutti gli atti cultuali più importanti ad essa rivolti; e per questi il suo culto venne a trovarsi connesso con quelli di divinità di significato affine: come, p. es., con Giano (v.).
L'aspetto lunare di G. è attestato soprattutto dalla sua connessione col calendario - regolato in antico sulla luna - e con le manifestazioni fisiologiche della donna, le quali con la luna e con le sue fasi apparivano, e si ritenevano, in strettissima relazione. A questo aspetto della dea sembra tuttavia si debbano far risalire gli epiteti di Lucina (v. oltre) e di Lucetia (corrispondente all'epiteto di Lucetius, dato a Giove); e forse anche quelli di Iterduca e Domiduca, i quali benché assegnati più tardi a G., quale divinità delle nozze, furono forse usati in origine a invocare la dea, che, manifestandosi nella luce lunare, rischiarava di notte il cammino ai viandanti e indicava loro la strada. Dello stesso genere è da considerare l'epiteto di Covella, col quale il pontefice invocava G., quando annunziava al popolo il giorno delle none (v. oltre). A ogni principio di mese, il rex e il pontifex minor, dopo avere rivolto sacrifici e preghiere a Iuno Covella nella Curia Calabra, informavano il popolo del cader delle none al 5 0 al 7 del mese. Così G. fu la vera divinità delle calende, ed ebbe l'epiteto di Kalendaris; in questo giorno (primo del mese) cadevano gli anniversarî delle dedicazioni dei templi a lei sacri. A G. divinità delle calende, venne poi a porsi vicino Giano, che, come dio dell'ingresso e del principio, si trovò legato a tutte le manifestazioni del calendario che segnano un inizio e fu invocato perfino con l'epiteto di Iunonius.
Per G. giuravano le donne (con l'esclamazione eiuno) e ad essa consacravano i proprî sopraccigli; alla dea si rivolgevano le donne anche nelle difficili contingenze del parto (così come in Grecia a Ilizia) e la invocavano allora come Iuno Lucina, cioè (qualunque possa essere il significato originario di questo epiteto) come la dea che porta alla luce il nascente. Il culto di Iuno Lucina fu tra i più diffusi in Roma e nell'Italia centrale: ad essa fu dedicato, per cura delle matrone romane, il tempio sul Monte Cispio, il 1° marzo del 375 a. C. E non solo il concepimento e il parto, bensì ogni altra manifestazione sessuale della donna fu considerata sotto la protezione di Giunone. Così pure si riteneva che G. vegliasse anche sulla castità delle spose e delle vergini: nel bosco sacro alla G. di Lanuvio si sperimentava appunto la purità delle fanciulle; mentre alle concubine era vietato accostarsi all'ara di G. Corrispondentemente a questi suoi aspetti, troviamo G. festeggiata in due sacre cerimonie, riserbate alla parte muliebre della popolazione, cioè nelle Nonae Caprotinae e nelle Matronalia. La prima era una festa assai sguaiata, di origine e significato incerti: ricorreva il 7 luglio, e vi si festeggiava G. come divinità del sesso e della fecondità femminile; vi avevano parte notevole le schiave (ancillarum feriae, era perciò designato tal giorno) e nel rituale compariva l'albero del fico selvatico (caprificus). Nelle feste matronali del i° marzo (femineae Kalendae) si venerava invece, da parte delle matrone, la dea della castità muliebre; nelle case private, si festeggiavano le matres familias, alle quali i mariti offrivano doni, sacrificando e pregando insieme con esse per le prospere sorti della loro unione. S'intende pertanto come G. venisse invocata anche nel giorno delle nozze (con gli epiteti di Iuga, Pronuba, Domiduca, Iterduca, Unxia, Cinxia); benché, in tale aspetto, essa sia rimasta sempre subordinata a Giove, il vero protettore e il custode del vincolo nuziale, e abbia risentito in seguito notevolmente l'influsso dell'Era greca.
La grande parte assegnata, nella religione romana, a G. quale protettrice della donna, ne fece assai per tempo quasi un corrispondente femminile del Genio (v.): come ogni uomo aveva un proprio Genio, così ogni donna ebbe una propria Iuno, l'espressione, cioè, più piena e più vera del suo "io", del suo essere femminile. Si ebbero pertanto nella religione di Roma antica (non tuttavia, come pare sia da credere, in età arcaica), a lato ai numerosissimi Genî, le Iunones delle singole donne.
In parecchie città del Lazio e dell'Italia centrale troviam0 infine Giunone al primo posto fra tutti gli altri dei, come divinità protettrice e signora dello stato (dea poliade). Sotto tale aspetto, fu venerata col nome di Iuno Regina a Veio; con l'epiteto di Curitis o Quiritis a Falerii, nell'Etruria meridionale; con quello di Populona nel Lazio meridionale. Ma il più famoso dei culti poliadi di G. nel Lazio fu indubbiamente quello della Iuno Sospes (o Sospita) Mater Regina di Lanuvio, il quale, quando Lanuvio entrò a far parte dello Stato romano (338 a. C.), fu ricevuto fra i culti ufficiali di Roma e affidato alla direzione dei pontefici. Iuno Regina ebbe un suo tempio nel Foro Olitorio, e ben presto assurse in Roma al grado di divinità politica, quando fu posta, insieme con Minerva, a lato di Giove Ottimo Massimo, a costituire quella Triade Capitolina, destinata a prendere il posto dell'antica Triade di Giove, Marte e Quirino (v. giove). Un altro epiteto di questa G., divinità politica, fu poi quello di Moneta, nel significato, forse, di "ammonitrice, consigliatrice" del popolo: l'identità di questo epiteto col nome dato, in seguito, alla zecca e al metallo coniato deve probabilmente spiegarsi col fatto che la zecca era annessa appunto al santuario di Giunone Moneta, sul Campidoglio (ad Monetae); benché altri (Assmann) abbia avanzato, in proposito, una teoria opposta.
Non tutti i moderni studiosi concordano nel ricostruire il processo di sviluppo della figura di G., così come è stato qui descritto: in modo sostanzialmente diverso è stato rappresentato da W. Otto (v. bibl.), secondo il quale l'aspetto originario di G. sarebbe stato quello di divinità del sesso femminile; dalle Iunones delle singole donne si sarebbe poi formata una unica Iuno, da riguardarsi come una dea ctonica, connessa perciò con la fecondità della natura: come dea della fecondità, essa prese a proteggere i popoli (I. Regina) e la nascita; e, perché dea della nascita, essa divenne divinità del principio e signora delle calende. G. non sarebbe mai stata perciò una divinità celeste e lunare e non avrebbe mai avuto, prima dell'influsso greco in Roma, alcun legame con Giove. Alla tesi dell'Otto non sono mancati consensi; notevole fra gli altri, quello del Wissowa.
Vera culla del culto di G. furono il Lazio e le regioni finitime dell'Italia centrale. Quivi, la compagna di Giove si sviluppò nelle sue attribuzioni di divinità del calendario e della donna e di signora e patrona del popolo. Alla diffusione di tale culto nel Lazio e nell'Italia centrale fa riscontro la scarsa importanza da esso raggiunta nelle provincie, ad eccezione della Gallia Narbonese e dell'Africa; evidentemente, il culto della Giunone latina non arrivò a diffondersi nelle varie parti dell'impero, dove la dea non fu venerata se non come divinità della Triade Capitolina e quasi sempre ad opera di ufficiali, soldati, veterani, funzionarî provinciali e membri delle loro famiglie.
Iconografia. - L'iconografia della G. romana deriva direttamente da quella che i Greci avevano adottato per Era (v.). Ampiamente paludata, ma senza simboli speciali, dignitosa e calma, Giunone appare nell'attico dell'arco di Traiano a Benevento, con Minerva e Giove, gli dei della triade capitolina; e tale è in altri monumenti, fra cui si può ricordare quel sarcofago napoletano del mito di Prometeo, pieno di oscure significazioni, in cui la dea assiste alla scena dall'alto, tra Giove e Mercurio, o la scenetta del giudizio di Paride nei bellissimi stucchi della tomba della Via Latina. Particolari tipi furono invece creati per altre e speciali raffigurazioni della dea. Più giovanile e meno solenne, essa ci appare nella serie dei rilievi di sarcofagi con scena nuziale, in funzione di dea protettrice delle nozze: Iuno Pronuba. Del tutto diversa è la Giunone Sospita, di Lanuvio, che la statuaria romana rappresentò, in relazione allo specialissimo significato di questa dea locale, seguendo un modello che l'arte etrusca del sec. VI a. C. aveva tratto da una contaminazione del tipo di Atena Promachos, con l'aggiunta del simbolo indigeno della pelle di capra.
Bibl.: L. Preller e H. Jordan, Römische Mythologie, 3ª ed., I, Berlino 1881-1883, pp. 271-289; W. H. Roscher, Studien zur vergleichenden Mythologie der Griech. und Röm., II: Juno und Hera, Lipsia 1875; id., in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, coll. 574-605; W. F. Otto, Iuno: Beiträge zum Verständnisse der ältesten und wichtigsten Tatsachen ihres Kultus, in Philologus, n. s., XVIII (1905), pp. 161-223; E. Assmann, Moneta, in Klio, VI (1906), p. 477 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 181 segg.; Haug, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 1114-25; G. Giannelli, Iuno, in Memorie del R. Istituto lombardo di sc. e lettere (classe di lett. sc., mor. e stor.), s. 3ª, XXIII-XXIV (1915), v, pp. 173-194; id., in E. De Ruggiero, Dizionario epigraf. di antichità rom., IV, Roma 1931; E. L. Schilds, Juno, a study in early Roman religion, Northampton 1926.