GIULLARI (lat. iocularis e ioculator; ant. fr. jogleor e jougleur, mod. jongleur; prov. juglars; sp. juglar; ted. Spielmann; ingl. minstrel)
Per quanto la forma latina - derivazione di iocus che si estende al significato di ludus - risalga all'epoca classica, solo nell'età medievale se ne diffonde l'uso; e il termine "giullare", inteso in un primo tempo come sinonimo di mimo e di istrione con un senso però più volgare e ristretto, diventa sempre più frequente nei testi del sec. IX, fino a sostituire del tutto queste due voci.
Per quanto il giullare presenti analogie con il bardo celtico e lo scôp germanico - tanto da indurre qualche critico a considerare il primo come derivazione e contaminazione di questi, specie per sostenere le origini germaniche e merovingiche dell'epica e la sua trasmissione orale - tuttavia la sua figura, quale risulta con l'estendersi del vocabolo e del suo significato, si può e si deve storicamente riconnettere al mimo latino, la cui diffusione è attestata dal sec. V in poi per tutto il mondo cristiano, dove egli porta, in tempi di decadimento, qualche parvenza di vita letteraria e soprattutto teatrale: il mimo è buffone, giocoliere, saltimbanco; recita, canta, suona, danza; diverte il pubblico nelle piazze, nelle fiere, nelle campagne; si spinge per le strade che portano ai confini della latinità, penetra e si mescola negli ambienti dei barbari e dei militi. E il giullare, che via via ne soppianta il nome, ne eredita anche l'arte, che può però sviluppare e arricchire e può meglio sfruttare con il graduale rifiorire della civiltà medievale, di cui egli segue il progresso nei suoi varî aspetti, specie in quelli economici e letterarî. Il suo vero regno sorge, si svolge e decade dal sec. X al XV: con il rinascimento carolino, la ricostituzione di chiese, monasteri e scuole, l'incremento degli scambî e delle comunicazioni, la maggiore fusione sociale operatasi con il consolidarsi dell'economia feudale e poi con il formarsi dei centri cittadini e comunali, il fervore spirituale delle crociate e le nuove esperienze dell'Oriente, il sorgere di nuovi linguaggi e perciò di nuove espressioni, e infine con la munificenza delle corti, delle signorie, dei principati, i giullari si moltiplicano, accolgono un'infinita varietà di tipi, diventano elemento indispensabile della società, si fanno tramite di cultura e di poesia.
Dove maggiormente si articola la realtà politica e spirituale, qui essi fioriscono ed esplicano la loro multiforme attività. Perciò si trovano, per tempo e in gran numero, nella Francia, la loro terra d'origine, dove germina rigogliosa la letteratura in volgare; e di qui si muovono verso i paesi anglo-normanni, nelle regioni renane e germaniche, tentano e percorrono le vie dell'intero territorio romanzo, fino ai Latini d'Oriente.
Vivono dapprima in margine alla vita morale e rappresentano il divertimento e la dissipazione; nella loro esistenza vagabonda e stentata obbediscono al solo istinto del lucro e piegano la loro coscienza con la stessa abilità dei loro giuochi; le loro schiere sono accresciute dai goliardi (v.), preti di falsa vocazione, frati richiamati dal desiderio del mondo, vaganti, ribelli, maledici; a loro si uniscono le giullaresse o "soldadere" - che vivono cioè alla giornata - le quali all'arte dei primi aggiungono quella libertina e venale: e in uomini e donne la Chiesa vede per tempo - fin dal sec. VIII - licenza e corruzione, e condanna a più riprese il loro spirito mondano e dissoluto; nei concilî, nelle ordinanze vescovili, negli scritti degli ecclesiastici e dei moralisti, la loro opera è ritenuta diabolica.
Ma a mano a mano - agl'inizî del sec. XII e per tutto il XIII - anche i giullari si evolvono e partecipano dei molteplici interessi che il clima storico va creando sulla loro strada: da mimi e istrioni, diventano poeti; interpretano le grandi idealità nazionali e religiose, conoscono il latino e l'arte della rima, s'impadroniscono e rielaborano il patrimonio folkloristico e leggendario del loro popolo, diffondono il gusto letterario, laicizzano la cultura ecclesiastica, s'inseriscono nella tradizione spirituale della loro epoca. Accanto al repertorio buffonesco - di saltimbanchi, equilibristi, ciarlatani, parodisti - accolgono quello letterario, nobilitando la loro indole e le loro condizioni. Nel potente rigoglio religioso ed epico delle crociate i giullari costituiscono l'espressione letteraria: anche se non sono gli autori di tutte le Chansons de geste, ne diffondono però il genere, ne rielaborano il contenuto, ne trasmettono e conservano i migliori esemplari. Essi accompagnano i crociati, ripassano per le vie di pellegrinaggio: dal nord, attraverso la via Tolosana, al mare; oppure oltre i Pirenei, a Roncisvalle fino a Santiago di Compostella dove ha radici la Chanson de Rolland; dalle Alpi, dal Moncenisio e dalla Novalesa a Pavia, Borgo San Donnino, Bologna, Imola; e da qui a Roma per S. Pietro, oppure a Brindisi per salpare verso l'Oriente: dovunque sosta il giullare, nelle chiese, nelle abbazie, nei santuarî; dovunque accoglie e riecheggia leggende locali e coopera con chierici e monaci all'esaltazione di luoghi santi e di personaggi storico-eroici. La stessa Chiesa comincia a distinguere entro la folla dei giullari e finisce con legittimarne l'opera: per loro si propagano le agiografie - ed è tipica la figura di Garnier o Guernes de Pont-Sainte-Maxence, chierico e giullare, pellegrino cantore della vita di S. Tommaso Becket dalla Francia in Inghilterra. E dal popolo i giullari salgono alle corti: per colmare l'ozio dei principi recitano e cantano - accompagnandosi con il gesto e con ogni sorta di strumenti - i lais e la materia di Bretagna, i romanzi d'avventura e i poemi allegorici: poesia cioè più colta e sottile. È un'infinita gradazione di contenuti umani e di forme d'arte che costituisce la ricchissima produzione del Medioevo francese e romanzo. Qualche genere porta il segno preciso del costume giullaresco; i fabliaux specialmente, per il loro tono salace e smaliziato, per lo spirito prevalentemente borghese, per la morale spregiudicata e scanzonata, per quella sensibilità ribalda e caricaturale, un po' grossolana e sempre vagabonda: in Richeut - il più antico favolello - si respira quest'atmosfera; in quello Des putains et des lecheors si fa una descrizione miserevole della loro sorte umana; la maggior parte d'essi si rivelano di vera e propria fattura giullaresca. Molti, i più fini e i più originali, da giullari diventano "menestrelli": si legano alla persona di un principe, fissano la loro dimora in una corte, ne godono gli agi e gli ozî, perfezionano la loro tecnica poetica; si determinano vere e proprie personalità di artisti, con una loro consapevole dignità umana: Jouglet del romanzo Guillaume de Dole e Pinçonnet del Cléomadès sono biografie di giullari concepite e idealizzate dagli stessi menestrelli. Molti dei trovatori, del resto, hanno origini giullaresche, dai più antichi Cercamon e Marcabrun, ai più raffinati Peire Vidal e Raimbaut de Vaqueiras; ma quasi tutti, almeno i principi, affidano ai giullari le loro rime, che essi portano per la Provenza, nelle corti della Spagna e dell'Alta Italia. Anzi, alla fine del sec. XII, i trovatori Giraut de Cabrera e Guiraut de Calanson forniscono di proposito qualche sapiente ensenhamen per eccellere tra i signori e nelle piazze. C'è perfino Giraut Riquier, uno degli ultimi trovatori, che supplica, nel 1274, Alfonso X di Castiglia perché si voglia distinguere il trovatore dal giullare, e questi dal buffone, evitando la dannosa concorrenza e l'illegale confusione dei termini.
Alla fine del Duecento e nei primi del Trecento il loro numero è stragrande: nel romanzo di Flamenca se ne contano a centinaia, e in genere nei poemi d'avventura e nelle cronache principesche essi figurano a schiere interminabili; la reciproca concorrenza li obbliga a dividersi il campo d'attività, a chiedere dei privilegi, a costituirsi degli ospizî, fino a creare delle vere corporazioni: a Parigi nel 1321; ad Arras (dove sorgono da una confraternita la cui storia si segue fin dal 1191); a Beauvais, dove ottengono perfino un feudo; nei centri maggiori, dove istituiscono delle scolae mimorum o scolae ministrorum. L'ascensione del giullare segue la parabola della letteratura romanza: da giocoliere a trovatore; da mimo a vero commediante; dalla poesia anonima a quella segnata da una forte individualità; dai giullari che non hanno nome o ne portano uno posticcio e grottesco (Tranchecoste, Malebranche, Chevrete, Grimoart, ecc.) a quelli più gentili (Watriquet, Jean de Condé, Jacques de Baisieux) fino a Rutebeuf (v.), il tipo più complesso per la varietà delle opere e l'originale irregolarità della vita. Così in Spagna si distingue la poesia in mester de juglaría, popolare e anonima, e in mester de clerecía, dotta ed elaborata: e alla molteplicità di motivi giullareschi e letterarî si ricollega quel Juan Ruiz, Arcipreste de Hita (v.), che nel Libro de Buen Amor, ai primi del sec. XIV, sembra sigillare con arte consapevole e personalissima la figura e gli atteggiamenti del giullare e del goliardo. E giullari rimangono - nella vita e nella poesia - quel Villasandino, che si spinge oltre il 1425, e quel Juan Poeta, cantore di romances a metà del Quattrocento.
Anche in Italia i giullari sono ornamento di magioni e di feste popolari, e frequentano le corti dei Savoia, dei Malaspina, dei Monferrato, degli Ezzelino, della Marca Trivigiana soprattutto; si spingono, attraverso le piazze di Genova, Pisa, Bologna, Firenze, verso il Mezzogiorno; sono largamente accolti alla corte di Federico II; scendono in un secondo periodo al seguito di Carlo d'Angiò; figurano più tardi a Napoli e a Palermo alla corte aragonese: sempre, i più e i migliori sono di origine francese e provenzale, e non poco dovettero contribuire al primo formarsi della letteratura italiana, tutta impregnata di motivi e forme d'oltralpe. Dai primi ritmi dialettali e dai primi sirventesi politico-morali, ancora rozzi e inesperti; dai detti e dai monologhi drammatici alle prime canzoni di "malmaritata" fino al contrasto di Cielo d'Alcamo di fattura più squisita, il tono artistico è palesemente giullaresco. Ma se in Italia, durante il Medioevo e giù giù fino alla civiltà del Rinascimento, il giullare opera e s'inserisce come nel resto del territorio romanzo, tuttavia resta e presto ridiscende alla condizione di mimo e di buffone, ché la letteratura italiana ignora quel periodo iniziale di poesia anonima e interprete di idealità collettive ed elementari, ma sale subito nella sfera dell'individualità lirica: e i poeti italiani sono notai, giuristi, laici dotti, uomini politici, primi umanisti. E se nell'Emilia, nelle Marche, nella Romagna e specie in Toscana, i "canterini" o "cantastorie" o "cantimbanchi" continuano l'arte dei giullari e sono assoldati stabilmente dagli stessi comuni per divertire e intrattenere il popolo minuto, sicché il loro numero è ricco per tutto il sec. XIV e XV e varia e dilettevole è la materia dei loro cantari - di cui è preziosa rassegna il Cantare dei cantari del tardo Trecento - tuttavia nel distacco determinatosi tra poesia popolaresca e letteratura colta essi rimangono da questa sempre più estranei e il loro repertorio narrativo e cavalleresco serba della grande poesia medievale soltanto qualche trama e qualche ultima eco.
Bibl.: Abbé de La Rue, Essai historique sur les bardes, les jongleurs, ecc., Caen 1843, specie il vol. I; A. Schultz, Das höfische Leben zur Zeit der Minnesänger, voll. 2, Lipsia 1889; L. Gautier, Les épopées françaises, II: Les propagateurs des chansons de geste, 2ª ed., Parigi 1892, pp. 3-225; V. Le Clerc, Auteurs des fabliaux, in Hist. littér. de la France, 2ª ed., Parigi 1895, p. 88 segg.; E. K. Chambers, The medieval Stage, Oxford 1903, voll. 2; H. Reich, Der mimus, I, Berlino 1903; E. Faral, Les jongleurs en France, Parigi 1910; J. Bédier, Les fabliaux, 3ª ed., Parigi 1911; W. Hertz, Spielmannsbuch, 4ª ed., Stoccarda 1912; R. Menéndez Pidal, Poesía juglaresca y juglares, Madrid 1924. Per la musica, P. Aubry, Trouvères et troubadours, Parigi 1909. Per l'Italia, oltre la bibl. cit.: G. Bonifacio, Giullari e uomini di corte nel '200, Napoli 1907; P. Rajna, Il Cantare dei Cantari e il Serventese del Maestro di tutte l'Arti, in Zeit. f. rom. Philol., II (1878), pp. 220-54, 419-37; V (1891), pp. 1-40; E. Levi, I cantari leggendari del popolo ital. nei sec. XIV e XV, Torino 1914; e i testi, Bari 1914; V. De Bartholomaeis, Rime giullaresche e pop. d'Italia, Bologna 1926.