CARTARI, Giulivo
Nacque ad Orvieto l'11 nov. 1559 da Flaminio e Virginia Polidori e si addottorò a Perugia nel 1582. Esercitò quindi a Roma l'avvocatura per conto dello studio paterno, ma senza quelle tensioni tra pratica forense e ambizioni culturali, che segnarono la tipica formazione umanistica di Flaminio.
In questo senso, la lettera che indirizzava al padre il 2 sett. 1588 (Arch. di Stato di Roma, Arch. Cartari-Febei, busta 12) costituisce un documento significativo del mutamento profondo negli orizzonti di un giurista della fine del Cinquecento, che s'inseriva nelle prospettive nuove e concrete apertesi per il suo ceto lungo la strada degli uffici e delle clientele.
Prescelta la via degli uffici, divenne uditore generale di monsignor Ratta, governatore di Campagna. In tale veste ebbe infatti alcuni incarichi straordinari nel 1591, come quello conferitogli durante la carestia dal vescovo di Ferentino, "di pigliar nota de' grani de' Preti in detta Città per beneficio publico", e quello di commissario in una causa del Comune di Alatri, conferitogli dal vescovo di Veroli (ibid., busta 2).
La continuità dell'attività forense, tuttavia, non subì interruzioni. Prima il padre, poi il fratello s'incaricarono di assicurare una presenza a Roma, resa necessaria dal volume e dalla qualità degli affari trattati. Il C. si giovava, frattanto, per la sua ascesa attraverso gli uffici, delle relazioni e delle amicizie influenti che lo studio professionale aveva creato intorno a sé, e del quale, di lì a poco, egli avrebbe assunto nei fatti la direzione.
Alla fine del 1592 il C. divenne luogotenente di Maffeo Barberini, governatore di Fano, fissando così per la prima volta i termini di un rapporto che avrebbe largamente contribuito alle sue successive fortune. Accettò quindi l'ufficio di luogotenente del governatore di Ascoli, da dove informava il fratello, il 3 sett. 1593, d'essere uno dei "tre giudici delle sigurtà, e paci rotte" (ibid., busta 1). Nel 1595, dopo un soggiorno ad Orvieto per curare gli interessi della famiglia, che sarebbero divenuti via via più cospicui con il crescere dei successi professionali, accettò l'ufficio di vicario criminale del cardinale Borromeo a Milano, dove rimase fino al giugno del 1602. Nel 1600 si era preoccupato, frattanto, di ottenere per privilegio il riconoscimento dello stato di chierico, che gli consentiva di godere di una posizione di maggior vantaggio nelle carriere dello Stato ecclesiastico.
Dopo il soggiorno a Milano, le necessità dello studio e del patrimonio della famiglia lo richiamarono a Orvieto. Nel 1604 morì il fratello Papirio, sul quale soprattuttoesse avevano pesato negli ultimi anni, e il C. dové prendere la tutela dei figli minori. Nel dicembre 1606 sposò Lavinia Beccoli, di Gubbio, con una dote di 2.500 scudi, che fu oggetto però di contrasti e di liti. Ad Orvieto il C. ottenne anche vari riconoscimenti: probabilmente fu estratto gonfaloniere fin dal 1608, e comunque sicuramente nel 1612, nel 1623 e nel 1628. Nel febbraio 1608, frattanto, aveva ricevuto il breve di nomina ad uditore del Torrione a Bologna, sotto la legazione del card. Barberini. Prese possesso della carica il 7 marzo e vi rimase fino all'ottobre del 1614, lasciando ad Orvieto diversi procuratori, con i quali intrattenne una fitta corrispondenza per l'amministrazione del suo patrimonio. Successivamente rifiutò la carica di uditore nella Rota di Genova, che gli era stata offerta per il 1616, e si recò invece a Norcia come prefetto dal novembre 1615 fino al gennaio 1620. Fu quindi governatore a Faenza per un anno, a partire dal febbraio 1620, e passò in seguito, sotto Gregorio XV, col cardinale Spinola, uditore di Camera, come luogo tenente criminale generale. Nel 1623 il papa però l'inviò di nuovo a Bologna come uditore del Torrione, ma l'elevazione alla tiara del suo antico protettore, Maffeo Barberini, lo richiamò a Roma come fiscale generale della Camera già alla fine dello stesso anno.
La nuova funzione assunta a Roma, eminente e vantaggiosa, gli permise di riorganizzare lo studio, per il quale si serviva ormai di un numero consistente di collaboratori. Anche la sua posizione economica divenne molto più solida, come dimostrano le compere di questi anni nel territorio di Orvieto e le speculazioni a Roma sui censi ed i luoghi di Monte. Dal 1625 una nuova dimora sul Campidoglio testimoniava visibilmente del successo raggiunto, mentre fin dal dicembre 1626 si diffondevano con insistenza le voci di una prossima nomina a senatore. La nomina invece si fece attendere ancora, e gli toccò di adempiere nel frattempo ad un nuovo incarico affidatogli dal pontefice. Partì perciò per Ferrara, dove fu giudice criminale dal 16 aprile al 25 novembre 1627; il giorno seguente, poi, assumeva ancora una volta la carica di uditore del Torrione a Bologna, dove rimase fino al 2 maggio 1628. Raccolse le pronunce emesse in questi due uffici, non credo a scopo di pubblicazione, in alcuni fascicoli intitolati Resolutiones criminales Curiae Ferrariensis e Resolutiones criminales Curiae Turroni Bononiae (ibid., busta 131). Raggiunse infine l'ambito titolo di senatore agli inizi del 1629, ed in tale carica la morte lo colse a Roma il 16 apr. 1633. Seguirono funerali assai solenni ed una sepoltura in Aracoeli.
Delle sue opere uscirono postume a cura del figlio Carlo le Decisiones criminales fori Archiepiscopalis Mediolanensis, Romae 1638, certamente tra le più importanti del primo Seicento. Sempre a cura del figlio Carlo, apparve a Roma nel 1648 una Disputatiode foro competenti adversus iudices administros aliosque ecclesiasticos laicam iurisdictionem perturbantes, che affrontava, con un'inclinazione politica certo assai arretrata e conservatrice, un tema destinato a larghi dibattiti nel corso del secolo, e che testimonia d'una riflessione dottrinale già matura, costruita sostanzialmente sull'esperienza delle pronunce giurisdizionali dei tribunali maggiori. Ad un uso del tutto pratico, invece, dovevano servire i frammenti di un repertorio criminalistico, conservati nell'Arch. Cartari-Febei, busta 131.
Fonti e Bibl.: Fonte principale sono le carte sciolte conservate nell'Arch. di Stato di Roma, Arch. Cartari-Febei, specialmente buste 1, 2, 4, 6, 7, 10, 12, 14, 16, 17, 19, 38, 39, 43, 44, 49, 131. Alcune notizie biogr. si leggono in C. Cartari, Advocatorum Sacri Consistorii Syllabus, Romae 1656, pp. 272 s.;Bibl. Apost. Vat., Vat. lat.9278: [G. B.Febei], Notizie d. scrittori orvietani per il signor conte Mazzucchelli, cc. 61v-62r; S. De Colli, L'Arch. Cartari-Febei, in Notizie degli Arch. di Stato, IX(1949), p. 65;Id., Orvietani senatori di Roma, in Boll. dell'Ist. storico-art. orviet., V (1949), p. 11.