GIULIO
Non conosciamo il luogo della sua nascita, avvenuta presumibilmente agli inizi del XII sec. e si ignora anche la sua origine familiare. In una pergamena vescovile del 1156 (Cerracchini) compare tra i sottoscrittori uno "Julius", associato al titolo di magister e alla carica di suddiacono e canonico della cattedrale. È ipotizzabile che si tratti di G., sulla cui vita anteriore all'elezione alla sede vescovile di Firenze non abbiamo altre notizie.
G. fu eletto vescovo come successore di Ambrogio, morto il 20 maggio 1158. Del 13 agosto del medesimo anno è la prima attestazione del suo ufficio, contenuta in una carta di donazione relativa ad alcune terre situate nel Comune e territorio di Bivigliano, a nord di Firenze.
L'azione di G. a capo della diocesi fiorentina si inquadra nel contesto del lungo conflitto che contrappose l'imperatore Federico I alla Chiesa romana e ai Comuni dell'Italia centrosettentrionale. Nei primi tre anni del suo episcopato G. appare decisamente schierato a fianco del papa Alessandro III. Egli per esempio non si recò al concilio di Pavia del febbraio 1160, convocato dall'imperatore, che confermò l'elezione del papa filoimperiale Vittore IV, avvenuta nel settembre 1159 e contrapposta a quella di Alessandro III. L'iniziativa pose i vescovi italiani di fronte all'obbligo di scegliere una delle due parti in lotta. Nel novembre 1160 G. si recò a Casole d'Elsa, dove partecipò insieme con il vescovo di Volterra Galgano e con l'arcivescovo pisano Villano alla consacrazione della chiesa collegiata. Quel convegno aveva in realtà intenti di natura politica, nel tentativo di coordinare la condotta dei tre maggiori prelati filopapali della Tuscia.
Il rifiuto di riconoscere Vittore IV esponeva i vescovi non soltanto all'estromissione dall'ufficio da parte dell'autorità imperiale, ma anche a possibili rappresaglie all'interno della propria città e della propria diocesi, dove clero e popolo andavano schierandosi sull'uno o sull'altro fronte. Divisioni del genere si verificarono anche a Firenze, interessando anche la Chiesa cittadina. Poco dopo il convegno di Casole G. ebbe a scontrarsi duramente con il capitolo della cattedrale a proposito di una sanzione disciplinare da lui comminata al monastero femminile di S. Felicita per motivi non accertati. La liceità del provvedimento fu contestata formalmente dai canonici, dai quali l'ente religioso dipendeva, aprendo così in seno all'alto clero fiorentino un conflitto che rese necessario l'intervento solutore di Alessandro III. Con lettera del 18 genn. 1161 il papa richiamava all'obbedienza il capitolo, ma si dissociava dall'azione illegittima di Giulio.
È probabile che questo grave episodio fosse il sintomo di lacerazioni preesistenti, che andavano al di là dello stretto ambito clericale, ed è altrettanto plausibile che esso abbia ulteriormente esacerbato l'ostilità nei confronti del vescovo. Sta di fatto che alcuni mesi più tardi G. fu costretto ad abbandonare Firenze, lasciando la cattedra episcopale a Zanobi. Tali avvenimenti, tuttavia, si spiegano soprattutto nel più generale contesto della vittoriosa avanzata delle istanze imperiali tra la fine del 1161 e i primi mesi del 1162, che obbligarono alla fuga anche Alessandro III, che si rifugiò in Francia.
Si ritiene che l'esilio di G. abbia avuto luogo, almeno in parte, nel Mugello, dove alcuni nobili del contado gli assicurarono la loro protezione in cambio di concessioni fondiarie. La supposizione si basa principalmente su un documento assai posteriore ai fatti, una lettera pontificia del 12 dic. 1205, nella quale papa Innocenzo III rievocava la vicenda all'allora successore di Giulio. Tuttavia, il liber iurium trecentesco dei vescovi fiorentini, noto come Bullettone, riferisce di alcuni atti giuridici di G. in questo periodo (pubblicati dal Lami), quali l'assunzione di denaro in mutuo e un accordo per il castello di Pagliericcio presso Vicchio, che sembrano avvalorare questa ipotesi.
Resta incerta, comunque, la durata dell'esilio. La presenza in carica di Zanobi è infatti ricordata nel Bullettone solo da un atto di locazione di terra presso Sesto Fiorentino, datato 9 dic. 1161 (Lami, II, p. 765). Sembra tuttavia da escludere l'ipotesi che G. sia rientrato in possesso del suo ufficio soltanto nel 1173, come ritenuto da Cerracchini. La documentazione superstite dimostra infatti che egli riprese il suo posto non più tardi del 1164, allorché si registra il suo consenso accordato alla chiesa fiorentina di S. Andrea a contrarre un debito per far fronte ai contributi imposti dal legato imperiale Rainaldo da Dassel. Proprio il contenuto di quest'ultimo atto rivela il conciliante atteggiamento assunto allora da G. nei confronti del regime istituito dal Barbarossa. Anzi, il fatto che egli non venisse nuovamente deposto dopo che Rainaldo scese in Italia per ottenere il riconoscimento di Vittore IV lascia sospettare una sua adesione almeno formale a quest'ultimo.
Le fortune imperiali mutarono improvvisamente nel 1167, quando un'epidemia di peste intorno a Roma obbligò Federico I a un precipitoso ritorno in Germania, proprio nel momento in cui la costituzione della Lega lombarda riorganizzava le forze a lui avverse. A quel punto in Firenze prevaleva un orientamento filoimperiale, tanto che l'imprevisto mutamento di scena indusse Alessandro III a rivalersi sui Fiorentini con una serie di interventi ostili in questioni di politica ecclesiastica (favore alla diocesi senese nelle dispute di confine con quella fiorentina; trasferimento a Figline della sede vescovile di Fiesole per sottrarla all'influenza di Firenze). Non sappiamo quale sia stato il ruolo di G. in questa crisi nei rapporti tra il Papato e Firenze. B. Quilici ipotizza che nell'occasione egli fosse stato esiliato per la seconda volta dai suoi concittadini, che lo avrebbero considerato troppo fedele ad Alessandro III. La sua rinnovata lealtà nei confronti di quest'ultimo appare comunque accertabile per il 1170-71 grazie a una lettera dello stesso G., in cui si accenna all'incarico conferitogli dal papa per la reintegrazione degli scismatici nella Chiesa ufficiale e per il riordinamento dei monasteri della diocesi. Sintomatico in quegli stessi anni che un patto segreto tra il Comune di Firenze, ormai tornato allo schieramento antimperiale, e alcuni ribelli di San Miniato fosse stato sottoscritto proprio nel palazzo vescovile. E nel 1172 lo stesso G. presenziò nella chiesa di S. Pancrazio alla condanna inflitta ai Firidolfi di Montegrossoli e ad altri nobili del contado alleati dell'Impero, che negli anni precedenti avevano infierito sulle comunità monastiche del territorio.
Resta invece oscuro il ruolo svolto da G. rispetto alle importanti vicende che segnarono l'ultimo decennio del suo episcopato: l'interdetto lanciato nel 1173 su Firenze da Alessandro III a causa del diffondersi dell'eresia, il conflitto con Siena risolto dalla pace del 1176, la lunga guerra civile tra la fazione degli Uberti e il regime consolare capeggiato dai Giandonati (1177-80).
L'azione di G., tuttavia, si segnala anche per il consistente allargamento della proprietà fondiaria vescovile nel territorio della diocesi attraverso una serie di donazioni e di acquisti, che interessarono particolarmente la Val di Pesa e il Mugello. Citiamo per tutti l'acquisto nel 1165 del castello di Petroio in Val di Pesa, già appartenente ai Rossi della consorteria dei Buondelmonti, cui si aggiunse l'attribuzione al vescovo dello ius patronatus sulla vicina chiesa parrocchiale. Peraltro, la crescita del patrimonio terriero vescovile si accompagnò a una maggiore esigenza di protezione da parte dell'autorità laica, come dimostra il fatto che G. dovette rivolgersi al tribunale comunale di Orsanmichele per fare catturare alcuni uomini di Campi che avevano occupato le proprietà vescovili nei dintorni di Sesto.
Sull'anno di morte di G. sussistono due versioni che attribuiscono tale evento al 1181 o al 1182: un documento relativo a G. datato 18 marzo 1182, riportato nel Bullettone (Lami, II, p. 767) esclude però la prima ipotesi; il giorno e il mese della morte di G. risultano dal registro del cimitero di S. Reparata, in cui G. fu sepolto: il terzo giorno prima delle none di aprile. G. morì quindi il 3 apr. 1182.
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