VITELLI, Giulio
– Nacque nel 1458 a Città di Castello, figlio naturale di Niccolò. Il nome della madre è ignoto.
Il padre, coinvolto nei rivolgimenti politici interni della città, fu cacciato da Sisto IV nel 1474 e andò in esilio con la famiglia a Castiglion Fiorentino. Non sappiamo se Giulio, in quegli anni, abbia seguito il padre. Tornato in patria con l’aiuto fiorentino nel giugno del 1482, Niccolò poté contare sull’abilità militare dei figli Giovanni, Camillo, Paolo e Vitellozzo, che si distinsero nella difesa della città dai fuorusciti appoggiati dal papa.
Certamente Giulio – coetaneo di Camillo, che dopo la morte del padre (1486) e del primogenito Giovanni (1487), restò a capo della famiglia – studiò legge e rivestì varie cariche pubbliche a Città di Castello. La prima informazione sicura su di lui risale al 1488, quando figura nel Consiglio dei trentadue. L’anno successivo fu tra i vessilliferi della città, nel 1490 tra i Sedici e nel 1491 di nuovo fra i Trentadue. Negli stessi anni intraprese la carriera ecclesiastica. Nominato protonotario apostolico sul finire del pontificato di Innocenzo VIII, nel 1491 risulta prevosto della cattedrale di S. Florido, e nel 1494 rettore di S. Angelo di Citerna.
Tra i vari benefici ecclesiastici di cui godette vi fu anche la badia camaldolese di S. Bartolomeo ad Anghiari, che lo portò, nell’estate del 1496, a scontrarsi con il conte Berardino da Chitignano. Quando il conte ricorse al governo fiorentino per lamentare i modi violenti con cui Vitelli aveva affermato le proprie ragioni, questi replicò che si era limitato a riscuotere quanto gli spettava di diritto, senza intenzione «di fare villania, né offendere a la persona di Berardino», aggiungendo significativamente che se tale fosse davvero stata la sua intenzione, non gli «sirieno mancati mezi et luoco et tempo da posserlo fare» (Nicasi, 1916, doc. 148).
A Giulio, uomo d’armi più che di Chiesa, fu affidato il controllo della città in assenza dei fratelli, impegnati al servizio prima di Carlo VIII, durante la sua discesa italiana, e in seguito di Firenze, nella guerra per la riconquista di Pisa. Agli inizi del 1499 un rappresentante dei Vitelli, Francesco Feriani, fu inviato a Roma per trattare con Alessandro VI l’assegnazione del vescovato tifernate a Giulio. Per ottenere la nomina i Vitelli pagarono alla Camera apostolica 3000 ducati (ottenuti in prestito dal fiorentino Giuliano Gondi), mettendo a tacere l’opposizione del precedente vescovo Ventura Bufalini, trasferito nello stesso anno alla sede di Terni (Benzoni, 2011, p. 17).
Il 17 aprile 1499 Vitelli fu nominato vescovo di Città di Castello. Il 30 maggio, giorno del Corpus Domini, fece leggere pubblicamente nella cattedrale la bolla della sua elezione, e rimase in seguito vescovo eletto, senza ottenere (o cercare) la consacrazione. Il 1° giugno nominò suo vicario generale don Lucantonio di Anghiari, dottore in decretali, cui affidò l’amministrazione della diocesi, mentre egli si occupava del governo della città durante le frequenti assenze dei fratelli. Nei mesi successivi si occupò della nuova fabbrica della cattedrale di S. Florido e continuò a rivendicare energicamente i propri diritti e benefici, ogni volta che li trovò contestati, sia nel territorio aretino sia nella diocesi di Orvieto (dove intervenne militarmente appena tre giorni dopo l’elezione episcopale).
Il 1° ottobre 1499 Paolo Vitelli, capitano generale dell’esercito fiorentino, fu condannato a morte per tradimento e decapitato a Firenze. Giulio appoggiò l’ultimo fratello superstite, Vitellozzo – postosi intanto al servizio di Cesare Borgia – nei suoi piani di vendetta, che si concretizzarono nel giugno del 1502 in occasione della breve ribellione di Arezzo e della Valdichiana al dominio fiorentino. Dopo averlo seguito ad Arezzo, nell’autunno dello stesso anno Giulio fu a fianco di Vitellozzo anche nella congiura della Magione, dove vari condottieri già al servizio del duca Valentino si riunirono per concordare una linea politica comune volta a ridimensionare le mire di lui (e di suo padre Alessandro VI) sull’Italia centrale. Il Valentino riuscì tuttavia abilmente a rappacificarsi con i congiurati, attirandoli quindi a Senigallia, dove il 31 dicembre 1502 fece uccidere, tra gli altri, Vitellozzo.
La morte di Vitellozzo provocò a Città di Castello, nei primi giorni del 1503, una rivolta che costrinse Giulio e i nipoti – tra cui Vitello – ad abbandonare la città, per rifugiarsi insieme al duca di Urbino Guidobaldo da Montefeltro prima presso i Baglioni, a Perugia, e quindi a Siena. Da qui Giulio decise di inviare i nipoti a Pitigliano, per partire insieme a Guidobaldo alla volta di Venezia.
A Venezia, il 20 febbraio 1503, Vitelli fu accolto benevolmente dal doge Leonardo Loredan, cui chiese aiuto a nome non solo della propria famiglia, ma anche degli Orsini, dei Baglioni e dei Petrucci, per contrastare il Valentino. Marino Sanuto (1880-1888) lo descrive, all’arrivo, come «picolo» di statura, «vestito da soldato, con una capa» (IV, col. 746).
Impegnato militarmente, in prima persona, nel Montefeltro, Vitelli fu privato da Alessandro VI del titolo episcopale di Città di Castello, assegnato il 4 agosto 1503 a Antonio Ciocchi Del Monte. Con la morte, il 18 agosto seguente, di Alessandro VI, e la malattia e poi uscita di scena di Cesare Borgia, il panorama politico del centro Italia mutò radicalmente: Guidobaldo si riappropriò del Ducato di Urbino, e i signorotti cacciati dal Valentino rientrarono anche a Camerino, Senigallia e Città di Castello, dove i Vitelli ripresero il potere alla fine di agosto.
Vitelli tornò a capo, di fatto, della diocesi tifernate durante il breve pontificato di Pio III e nei primi anni di Giulio II, finché fu da questi definitivamente sostituito, nel 1506, con Achille Grassi. Il nuovo e bellicoso pontefice gli affidò comunque incarichi di rilievo, seppure di natura militare più che ecclesiastica.
Al servizio, durante la guerra di Ferrara, di Francesco Maria I Della Rovere, nipote del papa, Vitelli fu da quest’ultimo incaricato, nel 1510, di difendere Bologna dall’assedio dell’esercito francese guidato da Gian Giacomo Trivulzio (e intenzionato a ristabilire in città il governo bentivolesco). Rinchiuso nel castello di Galliera, a corto di uomini, di munizioni e di vettovaglie, sul finire di maggio del 1511 Vitelli si arrese ad Annibale II Bentivoglio dietro il compenso di 3000 ducati.
L’anno seguente subì un nuovo assedio a Ravenna, dopo l’importante battaglia vinta l’11 aprile dall’esercito francese (aiutato dalle artiglierie del duca di Ferrara Alfonso I d’Este) contro le truppe veneziane, spagnole e pontificie. Rispetto all’assedio bolognese, nel cassero ravennate Vitelli poté contare su ampi rifornimenti, oltre che su duecento uomini scelti. Dopo la resa del capitano Marcantonio Colonna, tuttavia, Vitelli riuscì a resistere al bombardamento francese solo fino all’inizio di maggio del 1512. Rifiutata una prima proposta di pace, fu costretto a capitolare, consegnando la fortezza al cardinale Federico Sanseverino. Raggiunta Rimini via mare, fu perentoriamente incaricato da Della Rovere di riconquistare Ravenna («Vui sete sta’ quello che l’avete persa; vui la recuperarete, se no vi farò taiar la testa»; Sanuto, 1880-1888, XIV, col. 238). Alla fine del mese Vitelli rientrò in città dopo aver negoziato la resa con il castellano, ma, senza rispettare gli accordi, infierì sulla guarnigione francese, i cui ufficiali fece seppellire vivi fino alla testa. Nel settembre dello stesso anno tornò a Città di Castello per i funerali del nipote Giovanni.
Dopo la morte di Giulio II (febbraio 1513), anche il neoeletto Leone X continuò ad affidare incarichi di rilievo a Vitelli, che fu inviato come commissario apostolico a Gubbio. Nella primavera del 1516, ebbe l’incarico di commissario generale dell’esercito pontificio e di luogotenente di Lorenzo de’ Medici il quale, dopo la rapida conquista di Urbino, lo nominò governatore del nuovo Ducato. Nel 1517 il precedente duca Della Rovere, grazie anche all’appoggio della popolazione, riuscì a rientrare in città, facendo prigioniero Vitelli. Una volta liberato, ormai sessantenne, questi fece definitivamente ritorno in patria.
A Città di Castello rimase per il resto della sua vita come prevosto commendatario della cattedrale di S. Florido, continuando a risiedere nel palazzo di famiglia. Tra il 1522 e il 1529 sovvenzionò la nuova fabbrica della cattedrale e contribuì anche alla ristrutturazione della Pieve de’ Saddi (verso Pietralunga). Nel maggio del 1529, ad Arezzo, partecipò alle trattative che si conclusero con la cessione della cittadella agli abitanti, ribellatisi con l’appoggio imperiale all’ultima Repubblica Fiorentina.
Morì a Città di Castello nel 1530 e fu sepolto nella cappella di S. Anna, nella cattedrale, in una tomba priva di iscrizione.
Ebbe tre figlie naturali: Aurelia, Adeodata, che entrò in monastero, e Imperia, che sposò Antonio de’ Bonori.
Fonti e Bibl.: P. Bembo, Della historia vinitiana, Venezia 1552, c. 175v; G. Rondinelli, Relazione sopra lo stato antico e moderno della città di Arezzo al serenissimo granduca Francesco I l’anno 1583, Arezzo 1755, pp. 144, 187 s.; A. Fabretti, Note e documenti che servono ad illustrare le biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, Montepulciano 1842, pp. 420-422; G. Muzi, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, III, Città di Castello 1843, pp. 50-54; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, I, Firenze 1858, pp. 239, 245, 405; Dispacci di Antonio Giustinian ambasciatore veneto in Roma dal 1502 al 1505, a cura di P. Villari, Firenze 1876, I, pp. 319, 340, III, pp. 186 s.; M. Sanuto, I diarii, a cura di R. Fulin et al., IV-XXIII, Venezia, 1880-1888, ad indices; G. Gozzadini, Di alcuni avvenimenti in Bologna e nell’Emilia dal 1506 al 1511 e dei cardinali legati A. Ferrario e F. Alidosi, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, VII (1886), pp. 219 s.; J. Burckard, Liber notarum ab anno MCCCCLXXXIII usque ad annum MDVI, a cura di E. Celani, Città di Castello 1907-1942, in RIS, XXXII, 2, p. 137; S. di Branca Tedallini, Diario romano dal 3 maggio 1485 al 6 giugno 1524, a cura di P. Piccolomini, Città di Castello 1911, ibid., XXIII, 3, pp. 331, 367; G. Spadari, Racconto della ribellione aretina del 1529, in Annales Arretinorum maiores et minores (1192-1343). Con appendice di altre croniche e di documenti, a cura di A. Bini - G. Grazzini, Città di Castello 1912, in RIS, XXIV, 1, p. 249; G. Nicasi, La famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repubblica fiorentina fino al 1504, Perugia 1916, passim; C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 168; G. Milli, L’Umbria. Storia della sua gente e delle sue città, Perugia 1975, pp. 388 s.; A. Massimi, I Vitelli signori dell’Amatrice, Roma 1979, p. 10; F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di E. Mazzali, Milano 1988, II, pp. 1016, 1133, 1427; B. Buonaccorsi, Diario dall’anno 1498 all’anno 1512 e altri scritti, a cura di E. Niccolini, Roma 1999, pp. 85, 125-127, 136, 211, 231, 270, 357; C. Benzoni, Lo studio e la catalogazione delle carte di Paolo e Vitellozzo Vitelli conservate all’Archivio di Stato di Firenze, tesi di dottorato, Università degli studi di Firenze, 2011, https://flore.unifi.it/handle/2158/580097#.XpxnyhfOOkk, pp. 17, 49-51.