TURCATO, Giulio
(App. III, II, p. 997)
Pittore italiano, morto a Roma il 22 gennaio 1995. Dopo lo scioglimento del Fronte Nuovo delle Arti (1950), entrò a far parte del Gruppo degli Otto, sostenuto da L. Venturi, che espose nella Biennale di Venezia di quello stesso anno e, in Germania, nella Mostra itinerante promossa da W. Grohmann (1952); aderì poi al gruppo Continuità (1960-62). Dal 1953 al 1982 insegnò al Liceo artistico di Roma. Negli anni Ottanta ebbe inizio l'attività nell'ambito della scenografia: risalgono al 1984 le scenografie per l'8° Concerto di G. Petrassi all'Opera di Roma; sempre nel 1984 T. curò la rappresentazione di Moduli in viola/Omaggio a Kandinsky (con regia della moglie V. Caruso e musiche di L. Berio), che inaugurò il settore delle Arti visive alla Biennale di Venezia. Oltre che a varie edizioni della Biennale di Venezia, della Quadriennale di Roma (con un'importante retrospettiva nel 1992), e della Biennale di Alessandria d'Egitto, T. partecipò a una serie di mostre dedicate a Forma 1 in Italia e all'estero (1986-88). Dopo la prima mostra antologica dedicatagli nell'ambito del Festival dei Due Mondi a Spoleto (1973), sono da ricordare le grandi esposizioni a Roma nel 1974 (Palazzo delle Esposizioni) e nel 1986 (Galleria nazionale d'Arte moderna), e nel 1990 a Venezia, alla Galleria nazionale d'Arte moderna di Ca' Pesaro. Tra i numerosi riconoscimenti, ricordiamo il premio nazionale per la pittura della Biennale di Venezia (1958), il premio del Fiorino a Firenze (1963), il primo premio della Quadriennale di Roma (1966), il premio di pittura alla Biennale di Alessandria d'Egitto (1980). Un nucleo significativo delle opere di T. è presente nella collezione posseduta dalla moglie.
Nell'itinerario artistico di T. resta sempre fondamentale la sua vocazione di colorista, legata all'ambiente veneziano, su cui s'innesta l'esperienza di H. Matisse; l'attenzione per le avanguardie e l'apertura internazionale, già presenti nell'attività dell'Art Club (1945) e di Forma 1 (1947), dei quali era stato tra i fondatori, è alimentata soprattutto dall'esperienza del suo primo soggiorno parigino (1946), da cui riporta determinanti suggestioni da A. Magnelli e V. Kandinskij. La scelta dell'astrattismo e l'opzione formalista non sono messe in dubbio in T. dalla volontà di svolgere tematiche sociali, sia pure trattate in modo che fu considerato eretico.
Del 1948-49 sono le serie delle Rovine di Varsavia e dei Comizi, dove le forme astratte e rigorosamente bidimensionali evocano elementi figurali simbolicamente identificati; dello stesso periodo le Rivolte (dal 1948), le Miniere (dal 1950), Primo maggio (1952, collezione privata). In seguito il riferimento iconografico esplicito viene progressivamente abbandonato, nelle Fabbriche (dal 1954) e poi nei Reticoli (dal 1954). In questi anni alcune opere testimoniano la forte seduzione avvertita da T. per il mondo scientifico: le serie degli Insetti del 1952 e dei Giardini di Miciurin, così detta dal celebre biologo russo, del 1953. Le suggestioni di un viaggio in Estremo Oriente (1956) incidono sulla sua pittura, già sensibile alla ricerca sul segno, sottolineandone l'aspetto scritturale; a partire dalla fine degli anni Cinquanta s'intensificano le sperimentazioni forma/colore e segno/colore: in Mosche cinesi (1957, collezione privata), nelle serie degli Arcipelaghi e del Deserto dei Tartari (1957) la forma si muta in porzioni di colore continuamente intersecantisi oppure si sviluppa nel tipico motivo reticolare. La ricerca sulla luce e sulla superficie conduce T. alla sperimentazione di nuovi materiali e tecniche: in Astronomica (1959, collezione privata) e Bava (1959, Milano, Museo civico d'Arte contemporanea) il segno è libero e dinamico, e l'uso della sabbia colorata, della polvere di vetro o di pigmenti fluorescenti rendono il quadro un organismo polimorfo e sensibile all'incidenza della luce. Alla ricerca sul colore è legata l'importante serie Fuori dello spettro (dal 1962), mirata a utilizzare colori non classificabili all'interno dello spettro. In Trittico fosforescente (1965, collezione privata) l'uso di pigmenti fluorescenti permette una doppia percezione del dipinto, visibile, con forme e colori differenti, anche al buio. L'apertura al polimaterismo si spinge fino al collage, all'assemblaggio (Ottovolante e Motociclista, 1963, collezione privata) e all'immissione nel quadro di oggetti veri e propri, che perdono il loro valore oggettuale per divenire puri elementi di visione (nelle serie del S. Rocco, dal 1958, dei Tranquillanti, dal 1961, de La pelle, dal 1962). L'interesse per la superficie della pittura conduce a un'altra fortunata serie tematica, le Superfici lunari (dal 1966), in cui il supporto è la gommapiuma: T. scopre le possibilità sorprendenti del materiale, dalla superficie naturalmente variegata, sulla quale creare nuovi effetti luminosi e coloristici. Agli anni Settanta risale la creazione delle prime serie plastiche: pure forme colorate liberamente disposte nello spazio, come le Oceaniche (dal 1972) e le Libertà (dal 1973), o libere strutture come Finestra o Cuccagna (1973, collezione privata). Nei quadri di questo periodo torna sulla ricerca forma/colore, talora con la ripresa dell'elemento figurativo (Passeggiata, 1972, collezione privata; la serie Testa di moro, dal 1973) o rigorosamente astratti, come Tunnel (1974, collezione privata). Sulla stessa linea di ricerca, nelle ultime opere T. predilige ampie stesure cromatiche, su cui intervengono dinamiche incursioni del segno e della forma o strutturazioni e figurazioni geometriche (la serie dei Cangianti, dal 1983; Conseguente, 1986; Trasmigrazione, 1988; Dune, 1992, tutte in collezioni private). Vedi tav. f.t.
Bibl.: G. De Marchis, Turcato, Milano 1971; F. Gualdoni, Turcato, Ravenna 1982 (con scritti dell'artista); La pittura in Italia. Il Novecento/2, Milano 1993, sub voce. Cataloghi di mostre: Giulio Turcato, Roma 1974; Turcato, ivi 1986; Giulio Turcato (Venezia), Milano 1990 (con bibliografia); Giulio Turcato. ''Vedendo'', Roma 1992.