TURCATO, Giulio
– Nacque a Mantova il 16 marzo 1912 da genitori veneziani, Carlo – commissario del Regio deposito dei monopoli di sali e tabacchi – e Margherita Sartorelli.
Nel 1920 si trasferì con la famiglia a Venezia, dove iniziò a dipingere all’età di quattordici anni i primi paesaggi e nature morte. Dal 1928 al 1933 frequentò l’Istituto d’arte e, l’anno seguente, compì gli studi alla Libera scuola di nudo. Dopo aver esposto a Venezia in una prima mostra collettiva nel 1932, viaggiò a Torino, Bologna, Firenze, Milano, e nel 1934 fu a Palermo per compiere il servizio militare nel corso allievi ufficiali. Nel 1936 si stabilì a Milano, dove condusse un’esistenza errabonda, e trovò impiego presso lo studio dell’architetto Giovanni Muzio. Nella città lombarda entrò in contatto con il sodalizio artistico antifascista di Corrente: sebbene non vi aderì, la sua produzione degli esordi ne mostra l’influsso espressionista (Maternità, 1942).
Dopo un periodo di insegnamento presso una scuola professionale di Portogruaro, nel 1943 soggiornò a Roma, dove si unì alla Resistenza e s’iscrisse al Partito comunista italiano (PCI). Quell’anno partecipò per la prima volta alla Quadriennale nazionale d’arte di Roma con Natura morta (1943). Nell’agosto del 1944 si tenne alla Galleria di Roma la mostra «Arte contro la barbarie», patrocinata da L’Unità, cui Turcato prese parte assieme a Renato Guttuso, Leoncillo Leonardi, Mario Mafai e altri, reinterpretando un dipinto del pittore realista russo Aleksandr Deineka, La difesa di Pietroburgo. Nella primavera del 1945 Turcato presentò paesaggi e figure dall’impianto postcézanniano alla galleria del Secolo, dove, alla fine del 1946, sottoscrisse il Manifesto del neocubismo con Antonio Corpora, Pericle Fazzini, Guttuso e Sante Monachesi. Dopo la guerra si stabilì definitivamente nella capitale, sistemandosi in uno studio in via Margutta.
Tra il 1945 e il 1947 Turcato contribuì alla fondazione di gruppi artistici che svolsero un ruolo determinante per il rinnovamento della pittura italiana del dopoguerra. Nel 1945 fondò con Enrico Prampolini, Joseph Jarema e altri l’associazione d’avanguardia Art Club, partecipando ai dibattiti e alle iniziative espositive fino al 1948. Nella primavera del 1946 prese a frequentare i prossimi compagni di avventura di Forma 1: Piero Dorazio, con cui strinse una durevole amicizia, Achille Perilli, Pietro Consagra, Antonio Sanfilippo, Mino Guerrini, Ugo Attardi e Carla Accardi, che procedevano per proprio conto al superamento del realismo attraverso una scomposizione coloristica. Sui giovani artisti romani, sensibili al modernismo internazionale, ebbe una profonda influenza la mostra «Pittura francese d’oggi» (1946) presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, con opere, tra le altre, di Pablo Picasso, Georges Braque e Henri Matisse, artista che svolse un ruolo di primo piano negli anni formativi di Turcato. In un viaggio a Parigi nell’inverno del 1946, insieme con Consagra, Sanfilippo e Accardi, Turcato trasse determinanti suggestioni dall’astrazione di Paul Klee e di Vasilij Kandinskij, e visitò gli studi di Picasso, Fernand Léger e Alberto Giacometti.
Intanto a Venezia, nell’ottobre di quell’anno, aveva sottoscritto il manifesto della Nuova secessione artistica italiana (Renato Birolli, Bruno Cassinari, Guttuso, Leoncillo, Carlo Levi, Ennio Morlotti, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova, Alberto Viani), formazione di respiro nazionale che conciliò temporaneamente le tendenze espressioniste e astratte. La primavera del 1947 segnò per Turcato e gli artisti romani la fondazione di Forma 1, il cui manifesto venne pubblicato sull’unico numero della rivista Forma (aprile 1947). I firmatari si dichiararono «formalisti e marxisti» e, rigettando il realismo, procedettero a una rifondazione del linguaggio dell’astrazione, di cui furono tra i primi esponenti nella pittura italiana del dopoguerra.
Nell’arte di Turcato maturarono allora il distacco dal neocubismo e la scelta fondamentale dell’astrattismo, preannunciata nel 1946 in quadri quali Paesaggio di Roma, che si coniugò con le tematiche sociali e politiche. Tra il 1947 e il 1948 il pittore esplicitò l’opzione formalista nel gruppo di dipinti Composizione, eseguito con forme geometriche e curvilinee a larghe campiture di colore, come in talune tele di Giacomo Balla. A Composizione con fabbrica e Cantiere navale (1947) seguirono nel 1948 opere di più esplicito impegno politico, quali La presa delle terre, le versioni di Rivolta (1948-49) e la nota serie dei Comizi (1948-50), visioni bidimensionali di iconiche bandiere rosse. Nella primavera del 1948 Turcato partecipò alla mostra «Arte astratta in Italia» organizzata dall’Art Club alla Galleria di Roma.
Dalla compagine della Nuova secessione si era intanto costituito a Milano il Fronte nuovo delle arti, con artisti neocubisti e astrattisti, cui Turcato aveva aderito dall’esordio presso la galleria della Spiga nel giugno del 1947. Il pittore prese parte alle storiche mostre del Fronte nel 1948: la XXIV Biennale di Venezia, che celebrò il gruppo con una sala dedicata, e la I Mostra nazionale d’arte contemporanea, organizzata dall’Alleanza della cultura di Bologna, che suscitò la nota requisitoria di Roderigo di Castiglia, alias Palmiro Togliatti, contro le tendenze artistiche astratte, sulle pagine di Rinascita (novembre 1948). Turcato, che in quell’occasione aveva esposto un Comizio (1948), si unì agli artisti firmatari di una lettera in risposta all’attacco di Togliatti e, insieme con Corpora e Consagra, organizzò una mostra alla galleria del Secolo di Roma (1949), per chiarire la propria posizione rispetto ai dettami di un’estetica di partito. Vi presentò opere dal ciclo Rovine di Varsavia (1948-50), originate da un viaggio del 1948 in Polonia, dove aveva visitato anche Cracovia, Auschwitz e Łódź, con la delegazione italiana del Congresso della pace, che incluse intellettuali come Salvatore Quasimodo, Natalia Ginzburg, Ernesto Treccani e Leoncillo. A seguito delle vicende del Fronte, che ne determinarono lo scioglimento, Turcato tentò per lungo tempo di conciliare la libertà creativa con la militanza comunista, ma infine lasciò il PCI.
Nel 1952 aderì al Gruppo degli otto (con Afro Basaldella, Birolli, Corpora, Mattia Moreni, Morlotti, Santomaso, Vedova), sostenuto dal critico d’arte Lionello Venturi, che vi aveva riunito i dissidenti astratti del Fronte nell’intento di superare l’antinomia tra realismo e astrazione. Nello stesso anno Venturi ne presentò le opere alla XXVI Biennale di Venezia, dove Turcato espose cinque dipinti del 1952, opere cardine della sua produzione, quali Massacro al napalm, Il lenzuolo delle indulgenze e Gli insetti dell’epidemia. La fascinazione per il mondo scientifico, costante della sua poetica, si rifletté nelle forme organiche del microcosmo e della vita embrionale, come nel ciclo dei Giardini di Miciurin (dal 1952), ispirato al celebre biologo russo, e nei successivi Composizione (1958) e Batteriologico (1960). Nel 1954 riprese il soggetto del Lenzuolo delle indulgenze (1952), una processione religiosa vista in Italia meridionale, nella serie Ricordi di san Rocco, in cui dipinse il santo ricoperto di banconote che, in versioni più tarde, divennero veri e propri inserimenti oggettuali. Nei gruppi di opere Fabbrica (dal 1954) le composizioni persero i riferimenti iconografici, caratteristici dei temi socialmente affini delle Miniere (1950), per rendersi forme strutturali di puro colore. I Reticoli (dal 1954) registrarono una prevalenza del segno sullo sfondo, contestualmente a una riflessione sullo spazio interno al quadro.
Da un viaggio in Cina, compiuto nel 1956 con una delegazione del PCI, Turcato riportò profonde suggestioni che si tradussero in pitture segniche, ispirate agli ideogrammi (Mosche cinesi; Ciò che si vede, 1957). Nella serie Deserto dei tartari (1957) esplorò il potere immaginifico del colore e quello evocativo del titolo (dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati, 1940). Nel 1958 la Biennale di Venezia tributò al pittore la sua prima sala personale e l’anno seguente egli espose alla seconda edizione della Documenta di Kassel. Tra il 1960 e il 1962 condivise l’esperienza di Continuità, formazione promossa da Giulio Carlo Argan, che si proponeva il superamento dell’informale. In quell’ambito partecipò a varie collettive e ottenne una mostra personale presso la New Vision Gallery di Londra nel 1961, stesso anno in cui espose alla VI Biennale di Tokyo.
Prolifico sperimentatore di tecniche e materiali, alla fine degli anni Cinquanta Turcato pervenne a una ricerca polimaterica sui valori luministici della superficie pittorica, con l’impiego di colle, sabbie, polveri fluorescenti e cangianti, come in Astronomica (1959), La bava (1959), Cosmogonia (1960). In quel periodo si appassionò all’astronomia e seguì le imprese degli astronauti Jurij Gagarin e Alan Shepard attorno all’orbita terrestre nel 1961. Iniziò allora a immaginare la percezione del colore nello spazio cosmico, oltre lo spettro solare, e dal 1962 elaborò un filone d’indagine cromatica e visionaria nella serie Fuori dello spettro. All’idea di un colore spaziale si collegano opere successive, quali Trittico fosforescente (1965), ottenuto con minerali fluorescenti che lo rendono visibile nell’oscurità. In parallelo, Turcato avviò una fase ludica e sottilmente dissacrante della sua produzione, e inserì nei dipinti oggetti d’uso quotidiano (Tranquillanti per il mondo, 1961). Dal 1963 passò alla costruzione di congegni e assemblaggi (Otto volante, 1963; Il busto di santa Caterina, 1964) che, sensibili all’ironia del Nouveau réalisme, fecero riferimento al denaro, ai premi e alle medaglie, come pure alle polemiche suscitate al XII Convegno internazionale artisti, critici e studiosi d’arte tenutosi a Verucchio nel 1963 (Macchinette, 1964).
In lavori eseguiti tra il 1963 e il 1965, dal titolo Ricordo di New York, l’artista rielaborò le impressioni ricevute da un soggiorno del 1962 nella città statunitense. Vi impiegò collage e polveri che conferirono alla superficie un’inedita vibrazione luminosa. Li espose nel 1965 alla galleria romana Marlborough insieme al ciclo La pelle (1961-63), anch’esso a collage, con il quale perseguì il tentativo di trasporre nel medium artistico le imperfezioni e le lacerazioni dell’uomo contemporaneo.
Nel 1964 si unì in matrimonio con la cineasta Vana Caruso, sua compagna per l’intera esistenza, che nel 1972 fondò con l’artista l’Archivio storico-fotografico, dedicato alla vita e all’opera di Turcato, dirigendolo fino al 1995, anno della sua scomparsa. Sempre nel 1964 viaggiò in Egitto e creò il gruppo di dipinti che incluse il trittico Porta d’Egitto (1964), dai prevalenti toni ocra, e Pronunciamento (1965). Nel 1966 ottenne il primo premio alla IX Quadriennale nazionale d’arte, in occasione della quale l’opera Composizione (Superficie lunare) fu acquisita dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Esposto nella sala personale della XXXIII Biennale di Venezia (1966), il ciclo Superficie lunare, tra le stagioni più felici dell’artista, segnò una momentanea interruzione dal lavoro su tela in favore del supporto in gommapiuma, atto a riprodurre crateri e protuberanze del paesaggio lunare, percorso nel 1969 dagli astronauti dell’Apollo 11.
Nonostante l’attenzione della critica più avveduta a partire dal dopoguerra (Argan, Emilio Villa, Nello Ponente, Cesare Vivaldi e Carla Lonzi), l’approfondimento della figura di Turcato ebbe inizio nel 1971 con la monografia di Giorgio De Marchis (Milano). Due anni più tardi, in occasione del Festival dei due mondi di Spoleto, ebbe luogo la prima mostra antologica, con opere prodotte dal 1954, e nel 1974 il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedicò una rassegna di ampio respiro. In quel periodo Turcato licenziò la seconda serie scultorea della sua carriera, le strutture lignee ascensionali dal titolo Libertà, presentate al Palazzo delle Prigioni vecchie di Venezia (1974). Le prime sculture, le forme colorate Oceaniche, le aveva prodotte a seguito di un viaggio in Kenya nel 1970 ed esposte nella sala personale della XXXVI Biennale di Venezia (1972). A questa stagione creativa appartengono le ironiche strutture La porta e La finestra, entrambe del 1973, mentre nei dipinti del periodo Turcato approfondì la relazione tra forma e colore con l’inserto di elementi figurativi (La passeggiata, 1972; Testa di moro, 1970-73), oppure con l’astrazione di tele quali Tunnel (1970), Alla libertà (1970), Stellare (1973).
Dalla fine degli anni Settanta sviluppò, con la serie dei Cangianti, il lavoro sui pigmenti fluorescenti e conferì connotazioni calligrafiche alle tele, soggette a particolari condizioni di visione. Negli anni Ottanta, negli esemplari denominati Ipnotici, Turcato rielaborò il tema dell’opera quale apparizione fenomenica (Ipnotico viola, 1981), nel motivo della linea curva connesso alla sua concezione di uno spazio sferoide (Ipnotico, 1981). Intanto la sua opera fu oggetto di antologiche internazionali nei musei di Bucarest nel 1979 e di Ginevra nel 1980. In quest’ultimo anno vinse il premio di pittura alla XIII Biennale internazionale del Mediterraneo ad Alessandria d’Egitto. Nel 1986 la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma gli dedicò un’ampia esposizione, cui seguì la personale veneziana presso il Museo d’arte moderna di Ca’ Pesaro (1990).
Negli anni Ottanta Turcato svolse anche attività nell’ambito della scenografia, curò la rappresentazione di Moduli in viola / Omaggio a Kandinskij (con musiche di Luciano Berio e regia di Vana Caruso) nel settore Arti visive della Biennale di Venezia (1984) e al teatro greco-romano di Taormina (1985). In pittura, l’artista protrasse fino agli anni Novanta una ricerca sensibile alle suggestioni della quarta dimensione (Evocazione, 1986), in visioni fantascientifiche (Viaggio astrale, 1989; Paesaggio altro, 1990) e dalle figurazioni archetipiche (Dune, 1992).
Morì a Roma il 22 gennaio 1995.
Nello stesso anno la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma rese omaggio alla sua figura, centrale nel panorama e nel dibattito artistico del dopoguerra. Nel 1998 si tenne un’esposizione congiunta presso il Palazzo della Ragione di Mantova e la Palazzina dei Giardini di Modena. Nel 2012, in occasione del centenario della nascita, il MACRO (Museo d’Arte Contemporanea ROma) espose un nutrito corpus di opere nella mostra «Giulio Turcato. Stellare». Suoi dipinti sono conservati presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, il Museo del Novecento di Milano, il MAMbo (Museo d’Arte Moderna Bologna), la GAM (Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea) di Torino, e altre istituzioni museali.
Dal 1972 la casa romana dell’artista è sede dell’Archivio Giulio Turcato.
Fonti e Bibl.: G. T., a cura di F. Gualdoni, Ravenna 1982; T. (catal.), a cura di A. Monferini, Roma 1986; G. T. (catal., Venezia), Milano 1990; G. T. (catal., Mantova-Modena), a cura di F. D’Amico - W. Guadagnini, Mantova 1998; Forma 1 e i suoi artisti: Accardi, Consagra, Dorazio, Perilli, Sanfilippo, T. (catal.), a cura di S. Lux - E. Cristallini - A. Greco, Roma 2000; G. T., a cura di F. Gualdoni, Cinisello Balsamo 2002; G. T. Stellare (catal., Roma), a cura di B. Carpi De Resmini - M. Caruso, Macerata-Roma 2012; G. T. Inventare spazi (catal., Milano-Firenze), a cura di W. Guadagnini, Pistoia 2016.