SEGNI, Giulio
SEGNI (Signa, de Signis, Biondini), Giulio (Giulio da Modena). ‒ Nacque a Modena nel 1498. L’anno di nascita è dedotto per calcolo sottrattivo dall’epigrafe della lapide tombale ‒ «Vixit an(nos) lxiii Obiit [...] an(no) salutis mdlxi» (Roncaglia, 1942, p. 297) ‒ ed è confermato in un documento del 13 marzo 1514 laddove si dice che «el puto [...] l’à anni sedeci» (p. 298).
Mancano notizie sulla cerchia parentale, tranne qualche ragguaglio sullo zio don Gaspare Segni, il quale, in una lettera del 25 ottobre 1498 al cardinal Ippolito I d’Este, si dichiarava rettore a Modena della chiesa parrocchiale di S. Lorenzo (Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto estense, Cancelleria, Carteggi di particolari, b. 1306). Zio e nipote sono talvolta caratterizzati, nelle carte modenesi, dall’alias Biondini (con le varianti Biondin, Biondino), termine agnatizio che segue o surroga la forma cognominale prevalente. Favorite dalla protezione del cardinale estense, le frequentazioni formative di Giulio Segni sono esplicitate nello scambio epistolare intercorso all’inizio del 1514 tra il porporato, don Gaspare e il noto organista-compositore modenese Giacomo Fogliano (Roncaglia, 1942, pp. 298 s.). Dal carteggio si evince che Giulio, sebbene fanciullo, aveva più volte soggiornato a Ferrara per un importante tirocinio vocale sotto la guida dell’insigne cantore Antonio Collebaudi, detto Bidon da Asti, ricavandone proficuo apprendimento.
Alcuni suoi trasferimenti erano esposti a incognite di viaggio, con trepidazione palesata dall’agente modenese Girolamo Camangerini al cardinal Ippolito il 15 novembre 1511: «[...] per Julio cantore [...] pover puto», e il successivo 18: «[...] mandai domenicha nocte Julio a Vostra Eccellenza e mai più non ho intexo che ne sia, s’el sia gionto [...], ben sto dubioso et in gran pensiero perché la nocte possino essere molti periculi et per esser morto et per esser anegato» (Archivio segreto estense, Casa e Stato, b. 386, carte sciolte non numerate).
Su istanza di don Gaspare e approvazione del cardinale, nel 1512 il giovinetto rientrò stabilmente a Modena per studiare con Fogliano, più che altro l’organo e il clavicembalo, perché nel campo della vocalità egli appariva ormai così esperto da attendere nel 1513 al «canto figurato» della cappella della cattedrale (Roncaglia, 1957).
Il 4 febbraio 1514, tuttavia, lo zio scrisse all’alto prelato, soggiornante a Roma, per chiedere lumi sul da farsi, giacché «mio nepote [...] per essa virtù et sua voce perfetta m’è stato richiesto da signori e gran maestri a’ quali gli ho recusato sempre reputando esser mancipato a sua Ill.ma et Rev.ma Signoria» (Roncaglia, 1942, p. 299). Piuttosto di cedere il suo favorito ad altri mecenati o insegnanti, Ippolito d’Este risolse di prorogarne gli studi con Fogliano, al quale inviò le seguenti righe, datate il 29 di quel mese: «[...] noi mandassimo un putto a don Gaspar da Signa per causa che il dovesse imparar musica sotto di voi che siamo certi che con lo aiuto vostro il riescerà optimo musico. Per tanto voi ne fareti piacer grandissimo [...] non solo in insegnarli canto quanto ancor ad insegnarli di sonar perché desideremo che il vaglia in ambi dua li campi, persuadendovi che al presente non ne potresti fare cosa che più ci fussi grata et acepta» (Archivio segreto estense, Casa e Stato, b. 138, minuta di lettera in registro). Con lettera del 13 marzo, Fogliano rispose di essersi dedicato all’allievo da ben lungi, anche con «insegnar di sonare», e che il discepolato poteva dirsi concluso. Infine, il precettore suggeriva al cardinale di convocare Giulio a Roma, sia per saggiarne i progressi musicali, sia per ammirare gli ultimi bagliori della sua emissione sopranile, ormai prossima alla muta della voce (Roncaglia, 1942, p. 298).
Non è possibile stabilire quando il giovane partì per Roma e se poté ivi giovarsi di qualche lezione dell’organista-clavicembalista Vincenzo Lusignani, detto Vincenzo da Modena, come volle invece argomentare lo storiografo Girolamo Tiraboschi (1786) commentando un passo del Tractatus astrologicus di Luca Gaurico (Venezia 1552). Se l’intervento didattico ebbe corso, fu comunque di breve durata, perché il maestro si spense a Roma nel marzo del 1517.
A fronte di riscontri biografici lacunosi, taluna isolata notizia rivela che Segni cresceva in notorietà, non più per l’aderenza a Ippolito d’Este, defunto nel 1520, bensì per l’evidente perizia musicale, esplicata in istituzioni e luoghi di prestigio: nella corte ducale di Ferrara durante il 1528 (non nel 1530, come si legge in Cavicchi, 2013, p. 428), segnatamente da gennaio ad agosto (Archivio segreto estense, Camera ducale, Bolletta dei salariati, registro 40), quindi nella corte di papa Clemente VII.
Lì, come attestano i Ragionamenti accademici di Cosimo Bartoli (Venezia 1567), avvenne che Giulio, messosi una sera a suonare il clavicembalo, attirò l’attenzione di quattro illustri astanti ‒ il papa, il suo segretario Giovanni Battista Sanga, il cardinal Ippolito de’ Medici e Alfonso d’Avalos marchese del Vasto ‒ tanto da placare un’accesa disputa che essi andavano agitando nelle adiacenze. Bartoli riportò l’episodio a suggello di un suo giudizio critico: «vago è il sonare di Iulio [all’organo]; ma egli vale molto più in su gli instrumenti di penna» (p. 38v), giudizio peraltro condiviso da Pietro Aretino nel Marescalco (Venezia 1534, atto V) e da Ortensio Lando nei Sette libri de cataloghi (Venezia 1552, pp. 510 s.).
Altrettanto prestigiose furono la chiamata di Segni alla tastiera dell’organo vecchio di S. Marco a Venezia, con titolarità dal novembre del 1530 al marzo del 1533, e ‒ stando a quanto riportano due lettere indirizzate all’Aretino il 12 febbraio e 4 dicembre 1531 ‒ la rosa di letterati e artisti (tra i quali lo stesso Aretino, Giovan Francesco Valerio, Iacopo Sansovino, Sebastiano del Piombo, Tiziano) ch’egli frequentò nella città lagunare.
Abbandonata Venezia, si diresse forse direttamente a Roma, ove rimase per il resto della vita. È però plausibile che sia ritornato più volte a Modena: di sicuro nell’ottobre del 1534, per visitare l’anziano don Gaspare (che morì poi il 16 giugno 1635) e accettare la rendita del beneficio parrocchiale di S. Lorenzo, rinunciatagli volontariamente dallo zio (Lancillotti, 2017, pp. 91, 208).
In realtà, il motivo principale che indusse Segni a stabilirsi definitivamente a Roma fu il legame instauratosi con il cardinal Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, suo nuovo protettore e amico, presule animato non solo da propositi autocelebrativi, ma anche da sincera passione per la musica. In forza di tale legame, l’artista modenese ricusò nell’aprile del 1541 l’invito a riprendere l’incarico in S. Marco, stimando altresì insufficiente il salario di 80 ducati che gli veniva proposto dai procuratori veneziani. Di fatto, il suo talento musicale assurse a emblema e vanto per la corte dello Sforza, come del resto allude la lettera del 29 maggio 1543 di Anton Francesco Doni al cardinale (Lettere, Venezia 1544, p. 34).
Morì a Roma il 23 luglio 1561 e fu sepolto nella parrocchiale di S. Biagio della Pagnotta in via Giulia, poco distante dalla residenza dello Sforza. Il mecenate procurò di erigere la stele sepolcrale su cui fece incidere un solenne encomio (Roncaglia, 1942, p. 297).
La fama del musicista fu legata anche alla rilevante qualità delle sue pagine strumentali, scritte sulla base di dettami compositivi ricevuti probabilmente da Fogliano e pubblicate in allestimenti sia individuali (citati nella Libraria di Doni, Venezia 1550, ma oggi dispersi) sia collettivi. Si trattò di ricercari vuoi organistici vuoi per più strumenti, un genere cui Segni diede piena maturazione e autonomia, sfumando i rimandi al mottetto polifonico da un lato e alla toccata dall’altro. Se infatti il musicista modenese adottò l’impianto accordale-improvvisativo in un suo ricercare giovanile, conservato manoscritto a Castell’Arquato (Archivio musicale della Collegiata dell’Assunta; edizione moderna in Organum italicum, I, a cura di A. Macinanti - F. Tasini, Bergamo 2003, pp. 62-64), predilesse in seguito, a partire almeno dalla Musica nova (1540), il linguaggio imitativo, strutturato su uno o più temi sviluppati contrappuntisticamente in sezioni successive, elaborando un modello rimasto poi in auge fino alle composizioni di Claudio Merulo (1567), Sperindio Bertoldo (ante 1570) e Andrea Gabrieli (ante 1585).
Tredici ricercari a quattro voci videro la luce nella collettanea Musica nova accommodata per cantar et sonar sopra organi et altri strumenti (Venezia, al Segno del Pozzo, 1540; edizione moderna a cura di H.C. Slim, Chicago 1964): si trattò della prima edizione musicale italiana per più strumenti. Undici ricercari furono poi riediti in Musicque de joye appropriée tant a la voix humaine que pour apprendre a sonner espinetes, violons et fleustes (Lyon, Jacques Moderne, 1550 ca.). Alcuni furono ripresi in intavolature, in particolare uno nel libro I dell’Intabolatura de Lauto di Giovanni Maria da Crema (Venezia, Antonio Gardane, 1546) e tre, di cui uno sotto il nome di Antonio [de Cabezón?], nel Libro de cifra nueva para tecla, harpa y vihuela di Luis Venegas de Henestrosa (Alcalá, Joan de Brocar, 1557; edizione moderna a cura di H. Anglès, Barcelona 1944); un altro, con fioriture aggiunte, è in un manoscritto della Biblioteca universitaria di Coimbra (edizione moderna in Antologia de organistas do século XVI, a cura di C.R. Fernandes - M.S. Kastner, Lisboa 1969, pp. 123-126). Altri ricercari intavolati da Giovanni Maria da Crema, riconducibili a originali perduti, sono nel libro VII di Intabolatura de lautto di Francesco da Milano (Venezia, Hieronimo Scotto, 1548); uno di questi è ristampato, con il titolo di Fantasie, nel Premier livre de tabulature de leut di Guillaume Morlaye (Paris, Fezandat, 1552).
La Missa Julia per doppio coro a 8 voci, attribuita a Segni nel 1861 dal musicografo Angelo Catelani, è da espungere perché opera, assai più tardiva, del conterraneo Orazio Vecchi.
Fonti e Bibl.: G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, VI, Modena 1786, pp. 595 s.; G. Roncaglia, Di J. Fogliani e G.S.: documenti, in Rivista musicale italiana, XLVI (1942), pp. 294-299; Id., La cappella musicale del duomo di Modena, Firenze 1957, p. 18; S. Dalla Libera, Cronologia musicale della basilica di S. Marco in Venezia, in Musica sacra, s. 2, VI (1961), p. 26; O. Mischiati, Tornano alla luce i ricercari della “Musica nova” del 1540, in L’organo, II (1961), pp. 73-79; A.J. Ness, The Siena lute book and its arrangements of vocal and instrumental part-music, in Proceedings of the International Lute Symposium Utrecht, 1986, a cura di L.P. Grijp - W. Mook, Utrecht 1988, pp. 34, 36; H.C. Slim - K. Marshall, S., J., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXIII, London-New York 2001, pp. 39 s.; O. Mischiati, S., J., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XV, Kassel-Stuttgart 2006, coll. 522 s.; C. Cavicchi, Antonio Capello e le relazioni musicali fra gli Este e i pontefici nel primo Cinquecento, in Atti del Congresso..., Roma... 2011, a cura di A. Addamiano - F. Luisi, I, Città del Vaticano 2013, p. 428; T. Lancillotti, Cronaca di Modena, a cura di R. Bussi - C. Giovannini, VII (1534-1535), Modena 2017, pp. 91, 208.