ROMA, Giulio
– Nacque a Milano il 16 settembre 1584 da Paolo Camillo e da Caterina Corio.
La sua famiglia, insediata a Milano nel XV secolo, aveva origini lombarde; nondimeno, vantando una discendenza dal lignaggio Orsini, aveva preso il cognome De Ursinis de Roma ed era giunta ai vertici del locale patriziato: alla metà del Quattrocento, il giurista Cedrone aveva tenuto la carica di vicario del podestà di Pavia; suo figlio Francesco, sposato con Caterina Birago, era entrato nel Consiglio generale di Milano nel 1513. L’ascesa era culminata con Paolo Camillo, il padre di Giulio, che dopo la metà dello stesso secolo era entrato a far parte del Senato (il più alto organo giurisdizionale del Ducato).
Giulio studiò presso i gesuiti a Brera (Milano) e nel collegio Borromeo di Pavia; si laureò giovanissimo in diritto civile e canonico a Perugia. Fu quindi chiamato nella corte del cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano. Dopo l’elezione di Paolo V (avvenuta il 16 maggio 1605), si trasferì a Roma. Secondo antiche ricostruzioni biografiche, sarebbe stata proprio l’udienza avuta da papa Borghese a costituire il passo iniziale della sua carriera in Curia: durante il colloquio, infatti, Paolo V apprezzò molto che nel nome del padre di Giulio si trovassero riuniti il suo nome di battesimo (Camillo) e quello che aveva preso dopo l’elevazione al soglio; per questo, dopo averlo invitato a fermarsi a Roma, lo aveva «onorato del grado di famigliare della casa Borghese» (Battaglini, 1701). Mancano elementi per confermare questa ricostruzione: appare invece probabile che sugli esordi di Roma in Curia abbia maggiormente pesato l’attività di suo padre, amministratore delle entrate dell’abbazia di Chiaravalle per conto del cardinal nipote Scipione Caffarelli Borghese.
Nel 1607 fu nominato avvocato concistoriale. In questa veste, al termine del processo di canonizzazione di Carlo Borromeo, tenne il discorso pronunciato in Concistoro il 14 settembre 1610: nell’occasione, secondo gli Avvisi di Roma dello stesso giorno, «orò elegantissimamente» (cit. in Turchini, 1984, p. 21), rimarcando l’esemplarità della vita di Borromeo e non mancando di ricordare chi sosteneva la conclusione del procedimento (avvenuta il 1° novembre dello stesso anno): i re di Spagna e Polonia, i signori svizzeri cattolici, i duchi di Savoia, di Mantova e di Parma.
Il 17 marzo 1617, Roma fu quindi nominato referendario della Segnatura di grazia e della Segnatura di giustizia. Il ruolo introduceva a incarichi di vertice nell’amministrazione dello Stato della Chiesa. Effettivamente, seguirono anni di intenso impegno come governatore di alcune importanti città della provincia pontificia: Jesi tra il marzo 1617 e il maggio 1618; Orvieto da maggio 1618 a luglio 1619; Camerino dall’agosto al dicembre 1619; Perugia dall’11 dicembre 1619 fino a tutto il dicembre 1620.
L’11 gennaio 1621 fu creato cardinale: la morte del papa (il 28 dello stesso mese) lo obbligò tuttavia a entrare in conclave l’8 febbraio prima che gli fosse assegnato un titolo. Egli apparteneva alla fazione Borghese, era cioè tra i porporati fedeli al cardinal nipote del pontefice defunto; tuttavia non si spese per il principale candidato del gruppo (il cardinal Pietro Campori) ma favorì l’elezione di Alessandro Ludovisi (avvenuta il giorno seguente). Ebbe così dal nuovo papa, Gregorio XV, il titolo di S. Maria sopra Minerva e il 17 marzo 1621 fu creato vescovo della diocesi di Loreto e Recanati. Consacrato dal cardinale Giovan Battista Leni due mesi più tardi nella basilica patriarcale Liberiana (S. Maria Maggiore), prese possesso della diocesi in maggio. Nonostante la sua formazione e i suoi precedenti incarichi, si impegnò a fondo nell’attività pastorale, mostrandosi sin dai primi provvedimenti del tutto aderente alla nuova figura del vescovo delineata dai decreti del Concilio di Trento e incarnata da Carlo Borromeo.
Così, a Recanati, si concentrò innanzi tutto sulla cattedrale: i canonici del Capitolo e gli altaristi – divisi da un’accesa lite giudiziaria – furono esortati a una maggiore partecipazione alle celebrazioni; a tutti i beneficiati della diocesi fu ricordata la disposizione di versare una parte degli introiti alle casse della chiesa; persino la recitazione dell’ufficio fu oggetto di un riordinamento. Nel gennaio 1623, indisse quindi un sinodo diocesano: ne scaturirono una serie di provvedimenti relativi soprattutto, di nuovo, al Capitolo della cattedrale e alle feste peculiari della diocesi (come quella di s. Vito martire e del patrono s. Flaviano). Seguirono altri sinodi a Loreto, l’8 gennaio 1626, e a Recanati, il 15 novembre 1632 e il 18 aprile 1633: in queste occasioni furono trattate perlopiù questioni di disciplina del clero. Altri provvedimenti, a Recanati, si ebbero in campo assistenziale: Roma riformò l’orfanotrofio femminile già esistente presso la chiesa di S. Maria di Castelnuovo e nel luglio 1626 lo trasferì in un monastero di sua istituzione, intitolato alla Madonna Assunta. Commissionò altresì lavori alla cattedrale di S. Flaviano, con la realizzazione di un nuovo coro ligneo, completato da un organo pneumatico.
Fu trasferito alla diocesi di Tivoli il 21 agosto 1634. Qui ripeté il suo modello, raggiungendo concreti risultati: una nuova regolamentazione delle pratiche liturgiche, un incremento delle iniziative assistenziali, la demolizione e la ricostruzione della cattedrale, con lavori durati dal 1635 al 1640, l’edificazione di un nuovo palazzo per il seminario. Compose altresì i conflitti giurisdizionali fra la comunità di Tivoli e l’abbazia di Subiaco. Dal sinodo celebrato il 18 dicembre 1636 scaturirono le Constitutiones sinodales civitatis, & dioecesis Tiburtinae (stampate a Roma da G. Facciotti nel 1637 sotto il titolo Dioecesana Synodus Tiburtina).
In questo testo, diviso in 26 capitoli, erano riepilogate e adattate al contesto particolare le prescrizioni tridentine relative all’amministrazione dei sacramenti, al corretto svolgimento dell’ufficio divino quotidiano, alla disciplina del clero; Roma accentuò altresì il suo controllo sulle processioni, sulle confraternite laicali, sulla moralità pubblica.
Gli impegni di governo spirituale non intralciavano troppo la sua presenza nei dicasteri della Curia romana: a partire dal 1629, infatti, prese parte alle congregazioni del Buon governo, della Sacra Consulta e del Concilio tridentino. Urbano VIII lo chiamò altresì nella congregazione per gli affari di Portogallo (istituita nel 1641 dopo la separazione dei due principali regni iberici). Nell’agosto del 1643, Roma presiedette altresì la congregazione cardinalizia sulle scuole pie degli scolopi, Ordine che a suo giudizio sarebbe stato più opportuno trasformare in semplice congregazione, sottoposta ai vescovi. A partire dal 1644, infine, entrò nella congregazione dell’Inquisizione (ma era stato consultato anche in precedenza per questioni inquisitoriali relative allo Stato di Milano). In qualità di «uno de’ generali inquisitori», emanò il 31 gennaio 1647 un editto per contrastare il contrabbando nella tenuta di Conca, tra Anzio e Velletri, le cui entrate contribuivano a finanziare il S. Uffizio. Egli aveva peraltro assunto la protezione dell’Arciconfraternita dei lombardi a Roma, di cui nel 1642 aveva siglato gli statuti.
Promosso cardinale vescovo, il 13 luglio 1644 fu trasferito alla diocesi di Frascati. Entrò in conclave dopo la morte di Urbano VIII, avvenuta il 29 luglio. Le sue qualità lo avrebbero fatto considerare un candidato idoneo alla tiara, ma era ritenuto troppo apertamente filospagnolo (ne aveva dato prova, del resto, anche in occasione del grave incidente tra le rappresentanze diplomatiche portoghese e spagnola avvenuto a Roma nell’estate del 1642). Il nuovo pontefice, Innocenzo X, lo trasferì il 23 ottobre 1645 alla diocesi di Porto, dove ebbe modo di patrocinare la costruzione di un ospedale. Il 23 aprile 1652 gli venne assegnato il titolo della diocesi suburbicaria di Ostia, come decano del Sacro Collegio: presto si attivò per promuovere la costruzione di un nuovo edificio per il seminario.
Morì tuttavia poco dopo, il 16 settembre 1652 nel palazzo Baldassini (la sua residenza romana). Ebbe esequie solenni, in ragione della sua carica di decano del Sacro Collegio: il suo corpo fu portato con solenne cavalcata fino alla chiesa di S. Carlo in Corso, dove fu poi seppellito nella cappella di S. Filippo.
La sua morte precedette di poche settimane l’emanazione della bolla Instaurandae regularis disciplinae del 15 ottobre 1652, con la quale Innocenzo X soppresse i conventi con un numero troppo esiguo di monaci. Roma – pur senza entrare nelle congregazioni cardinalizie sullo stato dei regolari tenute fra il 1649 e il 1652 – aveva effettivamente dato prove di incoraggiare i tentativi del Papato seicentesco di porre sotto controllo la presenza degli Ordini religiosi, almeno a Roma e in Italia: in particolare, gli veniva attribuito un ruolo di rilievo nella soppressione della Congregazione agostiniana di S. Ambrogio (decisa da Urbano VIII nel 1643), insediata presso la basilica romana di S. Clemente. Così, il diarista Giacinto Gigli, per il quale il cardinal Roma «era non so come nimico delli frati», poiché proponeva nuove cancellazioni di ordini o di conventi, registrò voci secondo le quali «Iddio haveva chiamato a sé questo cardinale, acciò non si effettuasse tal cosa» (Diario di Roma 1608-1670, a cura di M. Barberito, 1994, p. 665).
Fonti e Bibl.: Epistolario di san Giuseppe Calasanzio, a cura di L. Picanyol, II, Roma 1951, pp. 280 s.; G. Gigli, Diario di Roma 1608-1670, a cura di M. Barberito, Roma 1994, ad ind.; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen (1621-1623), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici (1605-1621), a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad indicem.
M. Battaglini, Annali del sacerdozio, e dell’imperio, I, Venezia 1701, p. 345; G.C. Crocchiante, L’istoria delle chiese della città di Tivoli, Roma 1726, pp. 102 s.; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa romana Chiesa, VI, Roma 1793, pp. 209-212; J.A. Vogel, De Ecclesiis Recanatensi et Lauretana earumque episcopis…, I, Recineti 1859, pp. 383-388; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, XII-XIII, Roma 1930-1931, ad indices; R.U. Montini, Un grande vescovo di Tivoli: il Cardinale G. R., in Atti e Memorie della Società tiburtina di storia e d’arte, XXX-XXXI (1957-1958), pp. 77-88; G. Drago - L. Salerno, Ss. Ambrogio e Carlo al Corso e l’arciconfraternita dei lombardi in Roma, Roma 1967, p. 18; A. Turchini, La fabbrica di un santo: il processo di canonizzazione di Carlo Borromeo e la controriforma, Casale Monferrato 1984, pp. 20 s.; Ch. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus Congregationum…, Rom-Freiburg-Wien 1991, ad ind.; Römische Mikropolitik unter Papst Paul V Borghese zwischen Spanien, Neapel, Mailand und Genua, a cura di W. Reinhard, Tubingen 2004, ad ind.; S. Giordano, Note sui governatori dello Stato pontificio durante il pontificato di Paolo V (1605-1621), in Offices et papauté, XIV-XVII siècle: charges, hommes, destins, a cura di A. Jamme - O. Poncet, Rome 2005, pp. 885-938 (in partic. pp. 891, 904); S. Tabacchi, Il Buon governo. Le finanze locali nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Roma 2007, p. 168; W. Reinhard, Paul V. Borghese (1605-1621). Mikropolitische Papstgeschichte, Stuttgart 2009, ad ind.; Id., R., G., in Requiem-Datenbank, http://requiem-projekt.de/db/suche.php?function= p_ausgabe& kaID=296 (14 ottobre 2016).