RASPONI, Giulio
RASPONI, Giulio. – Nacque a Ravenna il 20 febbraio 1787, primo di cinque fratelli, dal conte Pietro e dalla nobildonna Antonietta dal Sale.
Appartenente a una delle famiglie più influenti nella storia di Ravenna fin dal Trecento, nel 1808 entrò giovanissimo nel Consiglio comunale sotto il Regno Italico, restando in carica ininterrottamente fino al 1859.
Come molti ricchi possidenti e borghesi romagnoli Rasponi fu fautore di una modernizzazione in senso liberale dell’ordinamento dello Stato pontificio, la cui legislazione arretrata era considerata un ostacolo al progresso civile ed economico delle Legazioni.
Assertore della causa nazionale, mantenne sempre un orientamento moderato, mai aderendo alle sette segrete che facevano proseliti tra le classi colte locali. Tuttavia il matrimonio contratto il 25 ottobre 1825 con Luisa Murat, figlia di Gioacchino e di Carolina Bonaparte, gli attirò i sospetti del governo.
In una scheda del Libro nero della polizia di Ravenna del 1843-44 (Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Raccolte Piancastelli, Carte Risorgimento, b. 87, 14, p. 35), s’incolpava la moglie d’averlo sviato dalla devozione alla S. Sede; ma è più probabile che agisse in lui la nostalgia dell’era napoleonica e che si fosse sentito attratto da Luisa in quanto figlia del defunto re di Napoli, il cui mito era ancora vivo in Romagna dopo il proclama di Rimini del 30 marzo 1815.
Giulio condivise con Luisa gli interessi culturali; con lei portò avanti il rinnovamento di un’ala del proprio palazzo nell’odierna piazza Kennedy, poi detto Rasponi-Murat, già intrapreso intorno al 1820. Risultato fu uno splendido appartamento neoclassico, decorato da artisti in voga, tra cui i pittori Filippo Agricola, Tommaso Minardi, Pelagio Palagi, Giovan Battista Wicar, Pietro Piani, Francesco Nenci, Antonio Basoli e dal giovane Giovanni Barbiani. Per contattarli Rasponi si servì anche di intermediari, come Gordiano Perticari, fratello di Giulio, e Gino Capponi, da lui conosciuto a Roma. Dopo la morte di Carolina Bonaparte (1839), vi giunsero cimeli murattiani, esposti in una vetrina e ammirati dai liberali che là si ritrovavano. Rasponi e la moglie furono accademici di merito dell’Accademia di belle arti di Ravenna fin dalla sua fondazione (1829) in quanto donatori di opere d’arte (fra cui i calchi delle gemme medicee, tratte dalla collezione della Imperial e Regia Galleria di Firenze).
Rasponi fu tra i protagonisti dei moti del 1831 a Ravenna, distinguendosi come garante e difensore dell’ordine pubblico. Quando il 6 febbraio 1831, seguendo l’esempio di Bologna, i ravennati insorsero spingendo il legato monsignor Giuseppe Antonio Zacchia a cedere loro il potere, fu vicepresidente della commissione provvisoria di governo, fino all’insediamento di un prefetto il 18 marzo 1831. Gonfaloniere nei primi mesi del 1832, si trovò a gestire il passaggio degli eserciti pontificio e austriaco per la città, riuscendo a limitare gli episodi di violenza. Il 5 gennaio 1832 fu a Bologna come deputato per il Congresso generale delle Legazioni, assemblea che si sciolse subito per il veto opposto da Roma.
Nel 1839 fu promotore, con Carlo Arrigoni, Giambattista Codronchi Ceccoli e Ippolito Rasponi, della fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna, di cui fu a lungo consigliere e presidente dal 1849 al 1850. L’iniziativa s’inseriva in un movimento nato in Toscana, oggetto dell’analisi teorica di Raffaello Lambruschini. All’epoca Rasponi era in contatto con Lambruschini, al quale affidò l’istruzione dei figli Gioacchino e Pietro, mandati alla scuola che l’abate aveva aperto presso Figline Valdarno. Il conte ravennate era fra coloro che guardavano a Firenze, sentendosi in sintonia con l’operazione condotta da Giovan Pietro Vieusseux – del quale Rasponi fu corrispondente – e da Gino Capponi: sprovincializzare la cultura italiana e preparare il terreno per un’evoluzione politica in senso liberale e costituzionale. Negli anni Quaranta Rasponi e la moglie erano ancora sorvegliati dal governo; «la donna più rivoluzionaria che esiste nelle Romagne» (Mellano, 1977, p. 265), secondo il legato di Bologna cardinale Vincenzo Macchi, era ritenuta politicamente pericolosa, sia come simbolo vivente per i nostalgici dell’era napoleonica, sia per i rapporti che aveva con la madre (della quale – dopo la morte – tentò di portare le ossa a Bologna), con la sorella Letizia (sposata con Guido Taddeo Pepoli) e con il fratello Luciano, per il quale le sorelle cercavano appoggi alla candidatura al trono che era stato del padre. Rasponi partecipò attivamente alle mosse di Luisa, accompagnandola in Francia per chiedere una proroga della pensione concessa alla suocera dal governo francese e accollandosi i debiti del cognato, dimostratosi indegno delle speranze riposte in lui dai murattiani. Durante i moti del 1845 furono scoperti dalla polizia, in casa del conte Badessi a Ravenna, scritti inneggianti ai Rasponi-Murat, tra cui un sonetto in onore del figlio Gioacchino, di cui si auspicava l’ascesa al trono delle province liberate dal dominio pontificio.
All’inizio del 1848 Rasponi esercitò per breve tempo le funzioni di gonfaloniere. Sotto la Repubblica Romana, il 2 marzo 1849 fu eletto anziano durante la prima seduta del Consiglio comunale, ma rifiutò l’incarico; poi fu consigliere provinciale e addetto all’organizzazione della guardia civica. In vista dell’arrivo delle truppe austriache fu richiesta la sua opinione per l’adozione di provvedimenti per la sicurezza della città. Nel 1857 appose per primo la firma in calce a una petizione consegnata a Pio IX in visita a Ravenna, inascoltato cahier de doléances dei ravennati che si lamentavano degli abusi dell’amministrazione e dell’inadeguatezza delle leggi. Nel luglio del 1859, dopo lo scioglimento delle magistrature pontificie, il commissario straordinario di Bologna nominò Rasponi presidente della commissione provvisoria municipale, che resse Ravenna fino all’arrivo del commissario regio. In quegli anni Luisa continuò a mantenere contatti con i patrioti, come Niccolò Tommaseo e Giuseppe Pasolini, mentre il figlio Gioacchino, amico di Luigi Carlo Farini, divenne presidente del locale comitato della Società nazionale. Dopo la caduta del governo pontificio, Rasponi fu primo presidente della Congregazione di carità.
Gravemente menomato nella vista e nell’udito da oltre sei anni, morì a Firenze il 18 luglio 1876.
Rasponi e Luisa ebbero quattro figli: Gioacchino, Pietro, Letizia (1832-1906) e Achille (1835-1896).
Sotto il Regno d’Italia il primogenito Gioacchino intraprese una brillante carriera politica che lo portò alla vicepresidenza della Camera dei deputati. Sedettero in Parlamento anche Pietro e Achille.
Fonti e Bibl.: Ravenna, Archivio storico comunale, Atti consiliari, 1811-1859; Biblioteca Classense, A. Tarlazzi, Vita e opere del conte G. R.; Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Raccolte Piancastelli, Carte Romagna, bb. 159-228 (carteggio con il banchiere Laudadio Dalla Ripa), 360, 366, 367, 451, 453 e 642; Carte Risorgimento, b. 87, 14; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Carteggio Lambruschini (14.65, 67-74); Carteggio Vannucci (13.31); Carteggio Vieusseux (87.167-170); Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Carteggio F. Rangone, B.2797, B.2804, B.2808, B.2817, B.2820, B.2824, B.2826, B.2831; Fondo P. Palagi, 28.5; Arezzo, Archivio storico dell’Accademia Petrarca, Fondo Nenci, L II 146, cc. 21, 644-645, 735, 897, 901; necr., Il Ravennate, 20-21 luglio 1876; Nei rinnovati funerali del conte G. R. Iscrizioni, Forlì 1877.
Atti della provinciale Accademia di belle arti in Ravenna, Ravenna 1835-1861, ad indices; P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna 1855, p. 398; L. Miserocchi, Ravenna e i ravennati nel secolo XIX, Ravenna 1927, pp. 170 s.; L. Rava, Le “Memorie” della nipote di Giovacchino Murat, in Nuova Antologia, 1° febbraio 1930, pp. 332-348; G. Natali, Il Congresso generale delle legazioni di Bologna, Forlì e Ravenna nel gennaio 1832, in Atti e memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province di Romagna, s. 4, XXII (1931-1932), pp. 251-335; U. Melloni, I moti di Romagna del 1845, in Il Comune di Bologna, XIX (1932), 10, p. 107; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, p. 619; A. Guiccioli, I Guiccioli (1796-1848). Memorie di una famiglia patrizia, II, Bologna 1935, pp. 154-156; G. Maioli, R. G., in Dizionario del Risorgimento nazionale dalle origini a Roma capitale, IV, Milano 1937, p. 25; F. Ercole, Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, IV, Roma 1942, p. 39; L. Cavalcoli, Ravenna e la sua Cassa di Risparmio, Faenza 1956, ad ind.; U. Foschi, Case e famiglie della vecchia Ravenna, Faenza 1970, pp. 27-31; M.F. Mellano, Documenti vaticani su alcuni membri della famiglia Murat (1839-40), in Rassegna storica del Risorgimento, LXIV (1977), 3, pp. 259-284; U. Foschi, Corrispondenza epistolare fra il conte G. R. ed alcuni artisti neoclassici, in Studi romagnoli, XXXI (1980), pp. 191-202; G. Viroli, L’arte figurativa e la dignità del “silenzio”, in Storia di Ravenna, V, Venezia 1996, pp. 43-80; La gipsoteca dell’Accademia di belle Arti di Ravenna, Luisa Rasponi Murat e la collezione delle impronte in gesso di pietre preziose della I. e R. Galleria di Firenze, s.l. 1998, pp. 13-17; A. Varni - C. Giovannini, Storia della Cassa di risparmio di Ravenna, Roma 2000, ad ind.; B. Casini, I cavalieri degli Stati italiani membri del Sacro militare ordine di S. Stefano, II, Pisa 2001, p. 480; G. Rossi, Ravenna la città dei Rasponi. XVI-XIX secolo, Ravenna 2012; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna dalla fine del secolo XII a tutto il secolo XIX, Ravenna 2013, p. 334.