PAVESI, Giulio
– Nacque nel 1510 a Quinzano (Brescia), da genitori bergamaschi di cui non è noto il nome.
Entrò fra i domenicani nel convento di S. Clemente a Brescia e divenne magister di teologia e di diritto. Nel 1541 si spostò a Napoli al convento di S. Caterina a Formiello, passato ai domenicani della provincia lombarda, ne fu priore dal 1541 al 1543 e dal 1546 al 1548. Fu molto vicino al movimento degli spirituali del Circolo di Valdés guidato da Giulia Gonzaga, come si ricava soprattutto dai processi di Pietro Carnesecchi e Gian Francesco Alois. Secondo quest’ultimo egli nutriva considerazione per il «cammino di Lutero» (Cantù, 1866, p. 29) e lodava il Sommario della S. Scrittura, messo all’Indice. Nonostante ciò ebbe la stima del cardinale Gian Pietro Carafa, il quale anche a seguito del suo Adversus haereses sui temporis, opera non pervenuta, lo prosciolse dalle accuse di partecipazione agli spirituali; il 20 maggio 1553 lo nominò consultore dell’Inquisizione diocesana a Napoli e, una volta papa, il 23 agosto 1555 lo elesse vescovo di S. Leone in Calabria; lo trasferì al vescovato di Vieste in Puglia (2 ottobre 1555) e poi il 20 luglio 1558 all’arcivescovato di Sorrento, di cui Pavesi fu ordinario fino alla morte. Sostenuto anche dal domenicano Michele Ghislieri, dal 1551 stretto collaboratore di Carafa, divenne in breve l’ecclesiastico più potente del viceregno: amministratore e vicario generale di Napoli (8 ottobre 1555), confermato dal 1558 al 1561 da Alfonso Carafa, nuovo arcivescovo di Napoli e nipote del papa, e dal 13 dicembre 1565 al 27 marzo 1566 dal nuovo arcivescovo Mario Carafa. Fu commissario dell’Inquisizione napoletana, nunzio apostolico e collettore delle decime del Regno di Napoli, con la facoltà di risolvere conflitti su questioni di spogli e di assolvere i chierici promossi ai sacri ordini in difetto d’età, purché non impediti da immoralità e scarsa preparazione. Fece parte della Compagnia dei Bianchi della giustizia, che assisteva i condannati a morte, e sottoscrisse la richiesta di sanzioni disciplinari per i soci colti nel gioco d’azzardo.
Pur di «carattere felice, arguto, franco e benevolo» (De Maio, 1961, p. 130), in qualità di vicario arcivescovile di Napoli fu poco indulgente verso i preti ‘criminali’, infliggendo anche pene severe, come nel caso dei chierici Marco Antonio Roccamora e Luigi de Volame, accusati di omicidio premeditato. Come commissario dell’Inquisizione si adoperò nel preparare, organizzare e rafforzare l’Inquisizione romana nel Regno di Napoli. In stretto rapporto epistolare con il tribunale centrale e soprattutto con Ghislieri, segnalava a Roma i casi d’eresia, ricevendone indicazioni su modalità d’intervento e procedure, che trasmetteva agli altri tribunali ecclesiastici. Tra i casi più importanti affrontati da Pavesi si ricordano quelli di Mario Galeota, Giovanni Bernardino Bonifacio, ma soprattutto del protonotario Pietro Carnesecchi, per il quale raccolse nel 1560 le testimonianze locali, e la vicenda del massacro dei valdesi di Calabria, in cui mediò tra Ghislieri e funzionari inquisitoriali di Cosenza, il vicario Orazio Greco e il cappellano di S. Sisto, proponendo l’eliminazione degli ostinati. Nonostante che le autorità politiche spagnole, come il duca Pedro Afan De Ribera, duca di Alcalà, viceré di Napoli, e il segretario del Regno Juan de Soto, lo guardassero con sospetto per l’amicizia con Giulia Gonzaga e Girolamo Seripando, ritenuti di idee ereticali, molto credito gli riservò il S. Uffizio romano che in diverse occasioni gli rimise cause sottoposte al tribunale centrale (processi di Stefano Cavallo, Rocco di Taranto e Giovanni Vincenzo de Caro, causa di Arcangelo Raimondo contro Scipione Acuto). Durante la sua attività collazionò (1561) in undici volumi gli atti di abiura resi in sua presenza. Come nunzio apostolico e collettore delle decime mediò tra Roma e i vescovi del Regno, e intervenne in questioni di spoglio (tra Seripando e i parenti di Ludovico de Torres, suo predecessore); a favore della Confraternita della Madonna dei cattivi nella raccolta di elemosine per il riscatto dei catturati dai turchi; contro prevaricazioni di alcuni esattori delle decime a Salerno.
Come vicario generale di Napoli si distinse per il suo impegno riformatore, improntato a «sapienza e intelligenza» (De Maio, 1957, p. 31). Ordinò ai chierici in minoribus di riprendere talare e tonsura, di abbandonare l’uso delle armi e il privilegium fori; istituì quattro tribunali per esaminare la preparazione di preti e religiosi circa la celebrazione della messa, l’amministrazione della confessione e la predicazione; fece verificare la validità e la liceità delle ordinazioni di sacerdoti, la loro capacità nell’esercizio dei ministeri, la sufficienza nelle lettere, il grado di alfabetizzazione, evidenziando un alto tasso d’ignoranza e diffuso analfabetismo. Nel 1557 Pavesi iniziò la visita pastorale, ispezionando la cattedrale e le quattro chiese maggiori della città. Non la portò a termine per la nomina ad arcivescovo di Sorrento (20 luglio 1558, un mese dopo il saccheggio dei turchi). Nella nuova sede contribuì alla ricostruzione della città restaurando cattedrale e palazzo vescovile. Terminato l’ufficio di vicario di Napoli, partecipò all’ultima fase del Tridentino dietro insistenza di Seripando, che vedeva in lui un alleato. Intervenne ai lavori rimanendo, forse, fino alla XXIII sessione (luglio 1563).
A Trento fece parte della commissione di teologi e canonisti deputata a rivedere il catalogo dei libri proibiti. Sulla questione del calice – sollevata dal partito imperiale, favorevole alla concessione del calice a tutti e non soltanto ai preti celebranti – propose di non definirla per evitare l’opposizione di quanti sostenevano che fosse necessario alla salvezza ricevere il sacramento dell’eucarestia sotto le due specie, del pane e del vino. Pavesi promosse un’apertura a condizione che si fossero accettate le conclusioni conciliari, che fosse riconosciuta la prassi tradizionale della Chiesa e che non si conservasse il vino consacrato.
Sulla messa si pronunciò a favore della concezione sacrificale, ma non della definizione del valore ed essenza del sacrificio; sostenne l’istituzione del sacerdozio nell’ultima cena. Nei dibattiti sull’ordine si schierò a favore dello ius divinum di residenza e giurisdizione. Riteneva che tale posizione non minasse la primazia papale e che la residenza fosse base e fondamento di tutta la riforma della chiesa; chi l’avesse trasgredita avrebbe commesso peccato mortale e sarebbe stato meritevole di scomunica.
Ritornato in diocesi fece costruire chiesa e convento dell’Annunziata, ove chiamò i padri agostiniani di Napoli. Visitò quattro volte la piccola diocesi: nel 1559, 1561, 1566, per mezzo del vicario Giacomo Pavesi, e nel 1567. Tenne il primo sinodo provinciale con i suffraganei di Castellammare, Vico Equense e Massalubrense (11-15 maggio 1567), trattando in particolare il rinnovamento della pastorale del clero; nei riguardi delle monache impose l’osservanza della clausura e la vita comune, la riduzione dei cinque monasteri di Sorrento a due e un nuovo regolamento disciplinare, basato su quello borromaico; al laicato richiese frequenza alla catechesi.
Dal marzo al luglio del 1566 ebbe dal papa l’incarico di legato a latere nei Paesi Bassi, con il mandato di prendere informazioni sulla situazione politico-religiosa in fermento e di incontrare a Vienna l’imperatore Massimiliano II per coinvolgerlo in una lega contro i turchi. Visitò religiosi, teologi di Lovanio, vescovi, ecclesiastici, Margherita di Parma, reggente dei Paesi Bassi, e Guglielmo d’Orange; assicurò alla prima il sostegno papale nella difesa del cattolicesimo, al secondo consegnò un breve pontificio di invito a farsi difensore della fede nel suo principato dopo i disordini avuti con i calvinisti. Richiamato da Roma, sulla via del ritorno, senza passare per Vienna, si fermò a Dillingen ove esaminò con Guglielmo Nadal e Pietro Canisio lo stato del cattolicesimo in Germania.
Morì a Napoli l’11 febbraio 1571; fu sepolto nella chiesa di S. Caterina a Formiello.
Fonti e Bibl.: Sorrento, Archivio della Curia arcivescovile, Constitutiones et decreta condita in provinciali Synodo surrentina sub R. M. D. Iulio Pavesio Arch.; Atti delle visite pastorali, anni 1559, 1561, 1566, 1567; Napoli, Archivio dei Bianchi, Stipo III, Lettere, I, 68s.; Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova Collectio, II, Friburgi Brisgoviae 1911, ad ind.; III, 1931, ad ind.; VIII, 1911, ad ind., IX, 1924, pp. 5, 112; C. Cantù, Gli eretici d’Italia. Discorsi storici, III, Torino 1866, pp. 29, 31; L. von Pastor, Storia dei papi, Roma: VII, 1923, pp. 238, 490; VIII, 1924, pp. 107, 325-326, 625; M. Cassese, Girolamo Seripando e i vescovi meridionali, II, Corrispondenza, Napoli 2002, ad indicem.
L. Amabile, Il Sant’Officio della Inquisizione in Napoli, I-II, Città di Castello 1892, pp. 147, 221-261, 264, 269; G. Russo, L’attività riformatrice di Giulio Pavesi arcivescovo di Sorrento (1510-1571), Sorrento 1956; R. De Maio, Le origini del seminario di Napoli, Napoli 1957, pp. 31-33; Id., Alfonso Carafa, cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, pp. 31, 129-136 e ad ind.; M. Firpo - D. Marcatto, I processi Inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), I, Città del Vaticano 1998, pp. 315-316; P. Scaramella, L’inquisizione romana e i valdesi di Calabria (1554-1703), Napoli 1999, pp. 41-43, 59-62, 67, 81, 187-188, 194-195, 200; M. Miele, I concili provinciali del Mezzogiorno in età moderna, Napoli 2001, pp. 113-118; M. Cassese, Girolamo Seripando e i vescovi meridionali, I, Napoli 2002, pp. 114-118, 248-249; S. Ricci, Il Sommo Inquisitore. Giulio Antonio Santori tra autobiografia e storia (1532-1602), Roma 2002, pp. 107, 128.